domenica 29 dicembre 2013

HO MESSO DA PARTE

Che bella sensazione un anno che finisce. Ti sembra di aver portato qualcosa a casa, di aver costruito e messo da parte. Un pezzo di vita, una porzione  di strada che si consolida in una data da incasellare tra le altre.

Tu Penelope, donna fuori da ogni dove e ogni quando, che senso hai dato al tuo tempo? 

Dicono di te che attendesti Ulisse per venti lunghi anni. Un tempo lunghissimo in cui voglio credere tu abbia combattuto le tue guerre e vinto le tue sfide. Sorprendimi e dimmi che non hai pensato unicamente a lui. Sii mia complice confessandomi che hai cercato altrove. Non si vive per un uomo.

Quest’anno finisce e, per la prima volta dopo molto tempo, non ho la necessità impellente che volga al termine per sancire la fine di eventi spiacevoli. Termina semplicemente, in modo lieve, un anno di faticosa ricostruzione e ricomposizione dei pezzi andati fuori posto. Si estinguono questi trecentosessantacinque giorni lasciandomi in bocca il sapore dolce di nuove sfide che pian piano mi si prospettano davanti e di belle persone che aleggiano intorno e dentro me. Angeli radiosi o sofferenti che ho imparato ad amare per ciò che sono e perché ci sono.

Gli ultimi anni della mia vita sono costellati da incontri speciali. Ho imparato a recepire davvero le persone, a mostrarmi, a non risparmiare nulla, a limitare le aspettative dando valore a ciò che fuoriesce da me.

Qualche tempo fa ho cercato di descrivere l’essenza di un incontro con parole che sanno di antico ma che mi sono sgorgate con la naturalezza che solo la verità ti regala:

“C’è stata una sera in cui, in quella casa costruita con faticoso accanimento, il fuoco ha iniziato a scaldarne il cuore. In quella sera, ogni angolo della casa si è animato di una luce nuova dando vita ad un luogo di mistica e intensa verità:lì, da quel momento, accadono miracoli e prodigi. Lì l’uomo si spoglia dell’inutile e giunge alla dimensione dell’autentico. Li non esiste il timore di guardare in faccia il dolore e restare in lui per vincerlo e procedere oltre. E’ trascorso il tempo dei travestimenti e ci si affaccia a quello della rivelazione: ogni istante inizia ad essere scandito da ritmi vitali e l’aria profuma di legno e fiori, di scorza secca gettata a terra e sostanza palpitante di vita. Solo in quel luogo della casa il fluire delle parole e delle emozioni si concretizza in momenti di pienezza assoluta vissuti con la sapiente lentezza di chi resta e gusta. Da quel luogo si parte per altre dimensioni da cui non pare esserci ritorno: quando arrivi in territori così celesti difficilmente si delibera di fare un passo indietro. Le anime che hanno l’ardire di partire per un tale viaggio si riconoscono dall'odore e si scrutano vicendevolmente alla ricerca di un segreto che sa di buono e sorprendentemente semplice: ogni anima ha un nome per quel segreto e lo custodisce come il più prezioso dei tesori.”

Ecco cosa celebro alla fine di quest’anno: la capacità di incontrare in questo modo.

Riconosco alla vita il dono della trasformazione nel viaggio attraverso l’altro e dentro se stessi. Perché le mutazioni e le creazioni più belle avvengono per opera di entrambe gli attori dell’incontro. Poco importa la natura del rapporto; si tratti d’amore, d’amicizia o di semplice confronto, l’empatia, quella vera, è la sola forza davvero trasfigurante e magica. Questo entrare nell'altro e, allo stesso tempo, farsi altro da sé ha il potere di dar vita a relazioni vere e durature, quelle a cui tutti aneliamo.

In questo 2013 metto da parte, proprio dalla mia parte, gli incontri empatici con le persone che intuitivamente ho scelto e con quelle che la vita mi ha gratuitamente donato.

Porto a casa il calore e la pienezza di certe anime.

Custodisco il mio tesoro con cura sapendo che gli incontri vanno coltivati e innaffiati di gratuità e rispetto senza soffocarli con richieste inutili ed egoistiche.

Infine porto a casa un altro traguardo, Penelope, che è la dissolvenza sempre più consistente della paura. 

Quella brutta bestia che assomiglia ad un perenne senso d’inadeguatezza: inizio a guardare le cose dall'alto, da una prospettiva nuova.

Me lo suggeriscono anche i sogni. Spesso mi trovo in alto rispetto a ciò che osservo e finalmente i volti, finora sempre evitati, mi si fiondano davanti al muso con sfacciataggine quasi violenta.

Voglio guardare, Penelope!

I miei quarant'anni, tanto temuti, mi hanno regalato l’uscita allo scoperto. 

Mostro il volto e guardo dritto in faccia ciò che c’è.

Forse si chiama coraggio o, più semplicemente, vita.

Fa ancora paura, lo ammetto. Ma io, indietro, non ci torno.






lunedì 23 dicembre 2013

SULLE TRACCE DI BABBO NATALE

Buon Natale figli miei!

Come ogni anno, arrivano questi giorni densi di commissioni da sbrigare, persone da salutare, feste a cui partecipare, biscotti da preparare e regali dell’ultimo minuto da acquistare. Finalmente, come ogni anno, arriva anche la pace di quel buio surreale che è la notte di Natale: voi andate a dormire tardi ed io affollo il pavimento del salotto con i doni che tutti, famigliari e amici, hanno portato per voi. Solo pochi anni fa io e papà avevamo l’abitudine di lasciare sulla credenza accanto all'albero, le tracce di un Babbo Natale che, nella foga delle consegne natalizie, abbandonava dietro di sé qualche caramella scartata e un paio di dolcetti appena addentati. Poi, da quando alla più piccola di casa è stata crudelmente svelata la vera identità di Babbo Natale, non c’è stato più bisogno di messe in scena. E tutto è diventato tristemente concreto, privo di sogno.

Babbo Natale, nell'ideale comune, è simbolo di tutti quei doni sotto l’albero e di una festività votata al consumismo mentre Gesù bambino incarna un'immagine più rassicurante  e pura del Natale. Ci si sente più buoni a credere in Gesù Bambino e la sua figura ci fa sentire meno colpevoli. Senza contare che la grotta, il bue e l’asinello che scaldano il neonato con il calore del loro fiato e i due genitori che vegliano su di lui rappresentano la casa, il porto a cui approdare, il luogo indiscusso dell’accoglienza. Perché è questo che una famiglia, ordinaria o meno, deve essere: culla e calore. Insomma, Gesù bambino rassicura tutti quanti e ci riporta a quel "senso" che, a stento, percepiamo dietro tanto baccano di luci e colori.

Quando ero piccina non credevo a Babbo Natale ma a Gesù bambino. Lo immaginavo in veste di un angioletto bianco, etereo e svolazzante che entrava in casa dei nonni attraverso la serratura, senza fare rumore, e abbandonava lì i doni da me tanto agognati. Era una figura leggera e silenziosa che non lasciava tracce del suo passaggio, un po’ come ero io da piccola. Ci somigliavamo noi: lui volava come un folletto, io camminavo in punta di piedi per non dare disturbo. Ma questa è un’altra storia.

Per voi, ragazzi miei, desidero una figura più ingombrante, pesante e consistente a cui affezionarvi. Odio il Natale consumistico, anche se non riesco a sottrarmi ai suoi macchinosi ingranaggi, ed oggi amo irrimediabilmente la figura paciosa e rassicurante di quell'omone bianco e grassottello che elargisce sorrisi e sogni con inesauribile energia.

Assomigliate a lui nel vostro incedere: lasciate traccia ragazzi miei e fate meraviglie di questa vostra vita.

Una vi è stata donata ma mille possono essere vissute in quest’una.

Costruite ma non disdegnate la distruzione quando serve, viaggiate ma conservate la capacità di restare e allontanate da voi l’arroganza prediligendo la pratica della gentilezza.

Evolvete sempre e fate esperienza di tutto ciò che vi è possibile. Ma sopra ogni cosa, fate in modo che verità e coraggio siano le vostre fedeli compagne di viaggio.


Quest’anno Babbo Natale passerà di qua, tesori miei, e ve ne accorgerete dalle orme che lascerà sul tappeto.

Non mi affannerò a ripulirle, ve lo prometto.






domenica 22 dicembre 2013

QUESTIONE DI SGUARDI

Al termine di questa avventura ti avrò incontrata, Penelope, e avrò svelato ogni tuo segreto. Il viaggio nei panni di questa nuova me è incerto e nebuloso. La tua presenza costante e discreta mi da’ una direzione. Sei l’incontro per eccellenza.

Il tuo è stato quello con Ulisse.

Il mio quello con te.

In questa avventura mi faccio guidare dai segni. La vita stessa è una creazione costante e le tracce che incontro sulla via costituiscono l’aiuto, il suggerimento che ho imparato ad ascoltare. Anche per scrivere questi brevi pezzi  mi sintonizzo sulle “imbeccate” di giornata.

Oggi alla radio ho ascoltato per la prima volta “L’infinito” di Battiato. Mi ha talmente coinvolto il refrain “è in certi sguardi che si vede l’infinito” che ho voluto vederci un’indicazione per questo mio breve post.

Questa volta, allora, è una questione di sguardi.

Ci si guarda per gioco , per ricerca, per necessità. Per trasmettere e ricevere calore, per sancire un patto, per dare corpo a una verità dolorosa o ad un gioioso consenso. Ci si guarda per amarsi o per odiarsi fino al midollo.

Guardami!

E poi ancora le pagine di quel libro, Shantaram, tanto lungo quanto magico, iniziato a leggere in prossimità dei miei quarant'anni. Lo riprendo in mano dopo mesi e la prima frase che leggo è:

“era una donna che suscitava ammirazione e desiderio, ma il messaggio negli occhi e nel portamento era inequivocabile: ogni mancanza di rispetto è a vostro rischio e pericolo."

Quanto ammiro le persone così, ancor più se donne. Per la maggior parte di noi trasmettere il rispetto di sé attraverso un semplice sguardo è frutto di una consapevolezza guadagnata faticosamente mentre, solo per pochi, è questione  di indole fortunata. Ancor più per una donna. Lo sguardo femminile, infatti, è spesso soggetto ad equivoci ed è istintivamente accomunato alla seduzione.  Per cui una donna che sia in grado di guardare senza bisogno di aggiungere altro è, senza dubbio, una donna forte.

Sai cosa ho capito Penelope?

La vera forza risiede nell'assenza del bisogno. Quando smetti di cercare  il consenso altrui a tutti i costi e senti di poter fare a meno di sostegno, approvazione e compagnia  per non stare solo e non sentire il mormorio dei tuoi pensieri, hai svoltato.

Diventi quel genere di persona capace di sostenere ogni genere di sguardo, anche il più scomodo. Come è capitato a me qualche mese addietro:

Scrivo a te donna, madre.
Oggi è accaduto un fatto singolare: mi sono vista con gli occhi tuoi. Non ti conosco personalmente ma questa mattina, quando hai posato il tuo sguardo su di me, ho sentito che quegli occhi mi appartenevano. La donna che ho incontrato oggi e che ho salutato di sfuggita, senza nemmeno scendere dall'auto, potrei essere io tra una quindicina d’anni. L’unico elemento che abbiamo in comune è aver generato un figlio maschio e una figlia femmina. I tuoi sono cresciuti, i miei escono appena ora dal meraviglioso limbo della prima infanzia e si affacciano al pianeta della fanciullezza ………………
Ho percepito la severità della tua occhiata, il peso della tua osservazione materna che ha istintivamente puntato il dito e non ha lasciato spazio. Ti comprendo, sono madre anche io. Non ti giudico.”

Gli occhi sono lo specchio dell’essere.

Dentro il mio cuore serbo un coro di sguardi ed ognuno conserva sfumatura rimasta indelebile dentro di me.

Vorrei essere capace di scrivere pagine capaci di donare ali alla fantasia di chi legge amplificandone ogni sensazione e vorrei che il coro di  sguardi di chi ho incontrato potesse farmi da bussola.

Guardami Penelope!

Io guardo te.




lunedì 9 dicembre 2013

LA MIA PAROLA

Credo nella forza e nell potere evocatore delle parole.

Amo sceglierle con cura e soppesarle prima di dar loro fiato. Esse possiedono  la forza di cambiare il corso delle cose e delle relazioni tra le persone. Una parola detta al momento giusto può farti innamorare o farti scappare mentre una che non arriva mai può finalmente condurti verso luoghi che credevi inaccessibili o farti dire no!

Mi affido a quelle che sento affiorare spontaneamente in me e ad altre che pronuncio per libera associazione di pensieri o semplice assonanza. Le parole nascono da dentro e, come i sogni, esprimono la parte più inconscia dell’essere. Anche il tono che usiamo per pronunciarle non è mai casuale. Ecco perché le ascolto attentamente e le analizzo con perizia.

Tracciano la via ai pensieri e permettono loro di prendere forma palesandosi prima all'anima personale e poi a quella collettiva. Nulla dona pace alla mente ricolma di concetti e riflessioni accavallate l’una sull'altra come l’espressione orale o scritta delle parole. La loro esplicitazione mette ordine.

Ne esiste una, tra le tante, che mi riempie e mi infonde un piacere quasi orgasmico.

La  parola MERAVIGLIA.

Mi riconduce ad uno stato primordiale di riscoperta delle cose del mondo come se le vedessi, sentissi e odorassi per la prima volta.

E’ un termine che ha il sapore delle fiabe e trattiene in se un po’ del luccichio delle stelle.

Meraviglioso è un tramonto, un sorriso, un incontro ma anche l’istante in cui ti nasce un figlio e i suoi occhi incontrano i tuoi per la prima volta o quello stato di  quiete e soddisfazione che ti pervade dopo uno sforzo fisico totalizzante. Sento che la meraviglia s’impadronisce di me quando intuisco la non casualità degli eventi o incontro le persone giuste al momento propizio e, ancor più meraviglioso, è quello stato psicofisico di pienezza del vivere al di là di ogni maschera.

Meraviglia è una modalità diversa alla quale si giunge perdendo la smania del controllo a tutti i costi. Solo lasciandomi andare sono capace di meraviglia.

Qual è la tua parola Penelope?

Quella più scontata sarebbe “attesa”, quella più dolce sarebbe “presenza”, quella più dura sarebbe “abbandono”.


La tua. Voglio la tua.




venerdì 6 dicembre 2013

RITO DI PURIFICAZIONE

Prima di ripartire, cara Penelope, è necessario  purificare il cuore, il corpo e le idee.

Mi hanno consigliato di scrivere e poi gettare ogni parola nel fuoco. Il fuoco purifica.

L’ho fatto.

Ho preso un foglio protocollo a righe, uno di quelli che i bambini usano per i compiti in classe e ho scritto. Ho scritto le cose che mai avevo detto nemmeno a me stessa. L’ho fatto una sera mentre loro dormivano nella loro stanza.

Ho scritto con rabbia. I tratti della mia calligrafia risultano incomprensibili e disordinati almeno quanto l’inesistente logica dei miei pensieri.

Ho acconsentito a una tale forzatura con l'assurda volontà di liberarmi della mia vecchia vita una volta per tutte.

Tu credi sia possibile? Io no ma occasionalmente cedo alla forza delle illusioni.

Il tempo impiegato per riunire tutte quelle emozioni e metterle su carta mi è parso sprecato. Altro tempo dedicato al dolore. Altra energia rubata alla mia vera vita. 

Poi ho preso un fiammifero dall'ultimo cassetto della cucina, un giorno o l’altro dovrò cambiare posto agli oggetti di questa casa, e gli ho dato fuoco. La fiamma si è subito propagata su tutto il foglio inghiottendo le parole scritte con l’inchiostro nero e in un attimo tutto quel groviglio di segni disordinati ed isterici si è trasformato in cenere.

Sono nella mia cucina, luogo di vita e nutrimento.

E’ mercoledì sera, un mercoledì sera come tanti. I bambini dormono e io ho preso la decisione di disconnettermi dal mondo. Abolisco volutamente telefonate, tv e computer: nulla che mi dia l’illusione di non essere sola.

Stasera voglio stare sola. Felicemente sola. Assennatamente sola.

Cerco di svuotare la mente da ogni pensiero ma è un esercizio inutile: la mente è per eccellenza il luogo dove turbinii interni, mormorii e grovigli si accavallano l’uno sull'altro prendendo forme talvolta inaspettate.

Guardo questa cucina bianca e improvvisamente vorrei colorarla, arricchirla di macchie cromatiche ovunque. Non importa quale sia il colore ma basterebbe che questo finto candore scomparisse una volta per tutte. La purezza di questo bianco non mi appartiene più, non trova più posto qui. Qui dove tutto è cominciato e tutto è finito. Qui dove le anime hanno cambiato forma e messo le ali.

Mi sono sporcata finalmente e la confusione è entrata in queste stanze.

La confusione mi rassicura. La certezza mi gela dentro.

Nel caos posso decidere di cercare, rimescolare, trovare o non trovare, perdere tempo, prenderlo o fingere che non arrivi mai.

Diversamente, là dove tutto è ordine e ogni cosa ha un suo posto predefinito, non esistono alibi e nulla è comodo o ambiguo. 

La consapevolezza è ordine ed io, pur reputandomi una donna consapevole, vivo nel disordine appositamente reiterato nella cieca speranza di non dover vedere?

La mia fatica dell’anima consiste nel battezzare ogni emozione e ogni azione con il suo nome senza infiocchettarla con significati improbabili e non aderenti alla realtà.

Questa è la mia resa dei conti Penelope. L’autonomia della mia persona e la verità nuda e cruda.

Ti sto lasciando il tempo per riunire le idee e raccontarmi come è andata a te.

Ti aspetto sorella.






domenica 1 dicembre 2013

IL SEGRETO

Un libro è come un cuore. Racchiude un segreto imprescindibile da chi lo scrive.

Qual era il tuo segreto Penelope? Cosa nascondevi nel tuo cuore? Qual è il centro di te che ti ha costretta ad evolvere ed andare oltre? E soprattutto hai mai conosciuto il tuo segreto? Ti è mai stato suggerito in sogno o da qualcuno?

Cerco le risposte rivelatrici del mio “segreto” in ogni dove.

Alterno periodi in cui la mia fame di riscontri non trova sosta ad altri, più sereni,  nei quali seguo il corso delle cose e lascio che  esse semplicemente accadano. Entrambe le modalità sono importanti per giungere a quel senso di pienezza che cerco senza sosta.

La contraddizione è in me così come lo scontro tra il sentire e il volere. Dualità di abitudini e comportamenti che riflettono una donna che riordina, poco alla volta, le stanze della sua casa. Ancora terrorizzata dall'ordine, occupo il mio tempo a fare disordine fuori e dentro di me. Faccio e disfo, come te Penelope. Non porto a termine nulla. Se leggo non scrivo e se scrivo non riesco a leggere una parola, esco per non stare sola ma se decido di tentare la strada della solitudine allora chiunque risulta invadente e, ancora, alterno rigore e disciplina a caos e negligenza.

Ci somigliamo sorella Penelope?

Persino le mie letture riflettono la mia vicina distanza dalla verità. Più ho fame di conoscenza e più mi tuffo nei saggi,  a metà tra il filosofico e lo psicologico, mentre, nei periodi più fatalisti, mi concedo i romanzi, le storie di altri, anche se mai troppo lontane da me. Sono prudente con la fantasia.

E tu, cosa immaginavi mentre lui era lontano? Non temevi di eccedere immaginando? Non avevi terrore di perderti nella finzione di un'idea?

Trovo difficile mettere distanza tra me e me eppure l’evasione, reale o immaginaria, è preziosa per trovare risposte. Andare e restare; restare o andare. Mi allontano provando a leggere un capolavoro come SHANTARAM di G. D. Roberts, senza riuscirci. Non trovo appigli in me per procedere oltre. Sono ferma alla centocinquantesima pagina. Mi avvicino consolandomi tra le pagine di Hellinger, la Norwood e mille altri piuttosto che le scrittrici nostrane. Loro mi rassicurano, partono da parametri che percepisco famigliari. In qualche modo mi confortano.

Un libro su tutti mi accompagna in questi anni.

DISTACCHI di J. Viorst giace incessantemente sul mio comodino ed è l’incomodo e fastidioso simbolo del mio segreto.

Tu ne sai qualcosa sorella amica.

Il libro inizia con un capitolo sull'alto costo della separatezza fisica e psichica dalla madre per poi procedere con l’analisi delle “perdite necessarie” che servono per evolvere e trovare dell’altro.

"Una crescita sana comporta la capacità di abbandonare” ripete l'autrice come un incalzante leitmotiv.

Io ho abbandonato e sono stata abbandonata nella mia vita. Questa è la resa dei conti.

Tu ,Penelope, hai avuto la tua?



martedì 26 novembre 2013

ANGELO DI FINE ESTATE

E’ fine agosto. Sono su un treno di ritorno dalla Liguria dove ho trascorso qualche giorno di vacanza con un’amica.

Salgo sul treno con il mio solito bagaglio esagerato e mi siedo accanto a due donne. Loro si conoscono e parlano distrattamente insieme. Una delle due è assonnata, l’altra ha lo sguardo vispo e sorride. Mi siedo lì.

Mi accomodo e inizio a sfogliare la mia rivista di moda comprata per dare spazio alle ultime frivolezze vacanziere.

Ad un certo punto la guardo: quella donna attira la mia curiosità per i suoi modi gentili. 

Guarda il mare, come me. Lo saluta con gli occhi, gli stessi con cui un istante dopo mi sorride.

Iniziare a parlare con lei è stato naturale e lieve. Ci siamo raccontate le nostre esistenze in quattro ore di viaggio dando ragione al luogo comune che descrive gli sconosciuti come esseri "facilitati" nel raccontarsi gli uni agli altri.

Io e lei siamo state questo. Ci siamo riconosciute.

Quella donna ama la Francia e la lingua francese. Io ho una laurea in francese e ho trascorso molte estati sulla bellissima Costa Azzurra, dove lei ha una casa meravigliosa a picco sulla scogliera . Quella donna ama l’arte e dell’arte ha fatto la sua vita. Viaggi e studio hanno caratterizzato il suo percorso professionale e privato. Io mi avvicino all'arte, in particolare moderna, in questi ultimi anni; ne sono attratta. Frequento le mostre e mi documento per capire, per entrare in un mondo fino ad ora estraneo. Come estraneo, o poco meno,  mi è il mondo: ho viaggiato troppo poco nelle mia vita e lei, con i racconti dei suoi viaggi, mi ha fatto volare.

Parallelismi. Non è un caso. Lo ripeto incessantemente dentro di me.

Ha la stessa età di mia madre e ha una figlia mia coetanea che sta per mettere al mondo un figlio. Un bambino a quarant'anni anni, un mio pensiero ricorrente senza averne il desiderio consapevole.

Lei è la donna che vorrei essere tra trent'anni. O almeno le somiglia. Voglio invecchiare allenando la mente con la curiosità per tutto ciò che ancora non conosco e quella sete di vita che leggi negli occhi di certe persone affascinanti. Avere fame di esperienze ti permette di brillare di luce propria. Non necessiti di altro.

Voglio brillare di luce mia.

Il nostro dialogo s’infittisce tanto che l’altra, sua cognata , finalmente si addormenta.

Proseguiamo la nostra maratona di parole.

Scopro che anche lei ha vissuto una frattura nel suo passato. Appartiene alla schiera delle donne che hanno un prima e un dopo. Un divorzio difficile con un uomo potente, uno di quelli che ti manipolano la mente. Io una separazione sofferta dall'uomo a cui avevo erroneamente delegato ogni cosa.

Questo angelo di donna ha toccato le mie giuste corde, quelle  che dovevano essere suonate in quel preciso istante: le corde della ritrovata fiducia, della forza e del coraggio.

E’ possibile superare qualsiasi dolore e andare avanti. E’ possibile ritrovarsi donne nuove a quaranta, cinquanta o più anni, colme di  progetti e stare semplicemente bene.

Anche lei è stata sorretta e aiutata nel suo periodo buio.

“Dai forma, colore , dimensione e posto al tuo dolore”, le è stato suggerito come stratagemma verso la guarigione.

L’ha fatto. Non scriverò qui la sua risposta ma la mia.

La mia risposta ieri:

“un mare immenso, profondo e blu”

La stessa domanda le è stata rivolta tempo dopo e posso dire che la sua visualizzazione non solo era diminuita di grandezza ma era addirittura scomparsa dalla stanza. Il dolore era finalmente uscito da lei.

La mia risposta oggi:

“un ruscello cristallino di montagna che scorre ancora senza sosta”

L’acqua, prima o poi, arriverà a prosciugarsi.


sabato 23 novembre 2013

LA DIREZIONE

Come molti, intuisco la presenza di qualcosa più grande di me. Qualcosa che mi guida e mi conduce verso l’unica direzione possibile. 

Oggi so che il dolore è un’esperienza che travolge la via su cui cammino per farmi avventurare in sentieri nuovi e sconosciuti. Non ne faccio più il mio centro ma gli riconosco tutto il suo valore.

Ogni mio tasto dovrà essere toccato in modo da arrivare a suonare la melodia finale. 

Voglio avere parte attiva al concerto. Decidere le partiture e toccare tutti i tasti, anche quelli duri e mal funzionanti, quelli stonati e striduli che devono essere oliati o su cui bisogna insistere maggiormente.

Gli angeli esistono. Ho protezione intorno: la caduta verso la libertà non è libera.

Tu Penelope sei uno di loro. Sei il simbolo di una forza che mi spaventa e mi attrae allo stesso tempo. La sperimento in questi ultimi anni perché la vita mi ci ha costretta. Ora voglio farne buon uso. Non voglio averne paura. 

Gli angeli sono tutte le persone che ho incontrato negli ultimi tre anni della mia vita e quelle che ci sono anche da prima: ognuno di loro ha contribuito alla mia rinascita.

Oggi fisso, in vostra presenza, i presupposti della nuova me.

Al bando la paura.

Al centro posiziono la forza che finalmente mi riconosco. Il resto è costruzione, creatività e condivisione. E ancora amore. A bando il bisogno.

Raccontare di me è parlare di voi, cari angeli.


martedì 19 novembre 2013

IL PRIMA E IL DOPO DI CERTE DONNE - UN PO' DI ME




Muoiono donne belle. Muoiono, in quest'anno, donne di valore, degne di stima. Donne solide, intelligenti, di sostanza. Donne che facevano cultura e costume ma non solo. Mai come oggi muoiono donne che facevano semplicemente le donne.

Donne, madri, nonne, amiche, compagne,amanti, regine, puttane.

Ieri scompariva Doris Lessing, premio nobel per la letteratura e "femmina" contro l’etichetta del femminismo. Qualche mese fa moriva Franca Rame, altra donna simbolo della lotta alla violenza contro le rappresentanti del nostro sesso. L’ho amata su quel palco su cui si è fatta stuprare una seconda volta dai nostri occhi avidi di curiosità ed empatia.

Donne fedeli al loro amore, fatte di fertili parole e di azioni: capaci di esempio, unico vero motore dell’educazione. Donne di viscere, incuranti dell’altrui pensiero.

Come te Penelope.

Poco più di un anno fa moriva la donna della mia vita. Una meraviglia di capelli bianchi e di gratuità in ogni  suo gesto. Parlare di me è parlare di lei. Mi sono costruita accanto a lei ed ora è ancora  lei ad indicarmi i pezzi da prendere e quelli da lasciare a terra.

La mia nuova vita di oggi è costellata di femmine meravigliose. Ho scelto le donne per condividere ed ispirarmi. Ne conosco tante. Parlo con loro e le ascolto. Ogni tanto le riunisco e altre volte le disperdo: ognuna di loro è legata a me da un filo speciale.

Una su tutte c’è da sempre. A lei devo la realizzazione di un sogno che ho fin da bambina: avere una sorella. Una persona che c’è. Punto.

Altre le ho incontrate lungo il percorso. Qualcuna mi ha conquistata, qualcuna ferita. Sono forti le donne quando seguono la luce che hanno dentro. Cascano nel vortice del buio e trovano il modo per risalire. Molte delle loro storie sono caratterizzate da un prima e da un dopo.

Come la mia:

Ieri e oggi. Prima e dopo.

La mia vita è questo: una dicotomia costante tra chi sono stata e chi sono oggi. Due fotografie scattate alla stessa persona e non più sovrapponibili.

La bambina in apparenza solare e dall'appellativo “ombrettoso” (sa un po’ di ombretto e un po’ di ombra) non può prescindere dal nome che le è stato donato all'ultimo momento, in sostituzione di un altro che forse, chi lo sa, avrebbe conferito un colore e un sapore diverso alla persona che è diventata. Questo nome raro, tratto da un romanzo ottocentesco piuttosto noto, è il vezzeggiativo, apparentemente innocuo, di un sostantivo pesante e imponente come l’OMBRA. Ecco perchè non mi è mai stato a cuore. Ecco perchè avrei sempre desiderato un nome corto e pieno allo stesso tempo. Soprattutto, privo di quelle ombre che, per anni hanno, popolato i miei sogni.

Nel prima, infatti, benchè mi trastullassi tra equilibrio e perfezione, certa di aver ottenuto dalla vita ciò che avevo sempre desiderato, attirando sguardi vagamente invidiosi, il mio mondo onirico faceva da sfondo a vicende angoscianti e sguardi indifferenti come se ci fosse in me il netto sentore che, prima o poi, quell'impalcatura dorata sarebbe crollata. E così è stato.

Uno scossone forte, falsamente inaspettato, spergiurato per anni e non accettato per almeno altrettanti, ha travolto l’equilibrista e l’ha scaraventata a terra con violenza. La piena del buio, dei non visti e dei non detti ha investito la funambola che non cadeva mai. Ogni cellula della donna perfetta, ordinata e pulita ha subito una rivoluzione e si è tramutata in fango: caos, sporcizia e sangue hanno imbrattato i muri bianchi di un anima che necessitava di crescere e mutare per non morire.

Una mattina di qualche anno fa’, i miei otoliti, gli organi regolatori dell’equilibrio, impazziscono, senza preavviso. Escono dalla loro sede naturale e ogni immagine, sino ad allora precisamente collocata in un luogo, inizia un viaggio rotatorio, violento e apparentemente senza senso alcuno. Più cerco un punto fermo più le cose e le persone intorno a me girano e il mio senso di nausea aumenta. Come su una ruota scaraventata in mezzo alla folla all'impazzata, rotolo e scivolo, senza appigli verso il fondo più scuro dell’abisso. Precipito in un vuoto che da sempre ha devastato il mio senso di persona, integrità e sicurezza: un precipizio spaventoso che, più non conosci più appare inaffrontabile.

La mancanza di appiglio, l’inconsapevolezza e la non percezione del reale: questo sono stata nel momento del dolore più acuto che ha fatto da spartiacque alla mia esistenza.



Passo da un’infanzia vissuta in punta di piedi “per non dare disturbo” ad una giovinezza vissuta nel rigore e nella serenità apparenti. Divento donna, moglie, madre accanto al mio uomo di allora e di sempre. Poi accade tutto Precipito. Arranco. Muoio. Rinasco. Vivo. 

Penelope, la mano, ti prego.



domenica 17 novembre 2013

L'AMORE A CUI TORNARE

L'inconcludenza ha a che fare con una certa idea di attesa.

Penelope, moglie fedele di Ulisse, donna in caparbia sospensione. Guidami.


Il ricordo dell'amore ti culla nelle tue notti solitarie e operose. La memoria di un bacio lontano nel tempo ti tiene viva e accesa.


Donna che tessi la tela con cura e poi la disfi. Volontariamente distruggi il lavoro compiuto nell'illusione di fermare un tempo lento e dilatato in cui lui è lontano.


Tutti hanno un amore distante in cui tornare incessantemente, almeno con il pensiero. Anche io.


Quando allontano lo spirito da quell'amore, qualcosa cede. Scricchiola. Cigola.
Basta distanziarsi un poco da se stessi ed evitare di interrogarsi su ogni variazione del tema "vita" che la paghi. La paghi in termini di incongruenza, di fastidio verso l'intero sistema e te stessa.
I primi a ricordarti che il vestito che indossi non è propriamente della tua taglia sono loro, i sogni. S'insinuano nel tuo istante di fuga dal mondo, quando pensi di essere al riparo da tutto e da tutti, e solleticano la tua memoria profonda, quella che si ammala immancabilmente di amnesia come strategia di difesa. Ti ricordano di voltare la testa nell'unica direzione possibile: il dentro. Da lì non si scappa. E' li che torniamo ogni volta. E' da lì che fuggiamo.

Penelope, guidami. Guidami nel cammino verso quel centro che raggiungerò con la tessitura del mio ordito. Non permettere che io mi allontani dall'opera.

Decido il disegno, i colori, scelgo i fili e li sovrappongo con cura l'uno sull'altro, l'uno accanto all'altro: mi abbandono all'incessante movimento che, in quanto tale, mi conduce verso il compimento della tela. Ci lavoro durante il giorno, la disfo la notte nei sogni, la riprendo il giorno seguente e, non convinta, cambio direzione del filato per ammorbidire le forme. Avanzo e retrocedo. Costruisco con fatica per approdare sempre un passo indietro.


Qual è l'amore a cui tornare? Qual è il pensiero che ci rende fedeli a noi stessi e non ci permette di crollare?

Non credo si tratti necessariamente di amore romantico.


Ciò di cui parlo consiste in quel fuoco, quel centro che segnala a noi stessi e al mondo chi siamo davvero. A quella sola e unica passione che caratterizza il nostro essere e lo fa brillare di luce propria. Siamo tutti abituati a pensare che solo l'amore di un uomo e una donna possa darci ali e coraggio per affrontare la vita. Io stessa lo sono ancora. Sempre io, che scrivo queste parole, mi interrogo e mi chiedo se è veramente possibile farcela da soli. Perchè si è soli. Si è soli sempre, anche quando si ama. Ci si deve sostenere e abbracciare soli prima di poter reggere l'abbraccio dell'altro. Ci si deve accogliere prima di poter ritagliare un posto caldo all'altro.

Penelope, guidami. Guidami nella tessitura del mio ordito. Dai voce alle mie risa e al mio pianto in questo cammino. Tienimi la mano.

venerdì 15 novembre 2013

INCIPIT

Parto dal presupposto che decidere di aprire un blog è indice di narcisismo puro. Sono sinceramente  affetta da un recuperato amore per me stessa che mi conduce, finalmente, verso il centro.
Non voglio perdere i pezzi di questa donna che si ricostruisce dopo il disastro. Ora che sono padrona dei miei  pensieri, è necessario che io li fissi: loro sono la mia direzione verso una meta ancora nebulosa  ma presente.
Questo è un blog contro l’ inconcludenza  e a servizio della rinascita. Questo è il blog di chi si era perduto e ora si è ritrovato, di chi era appendice ed ora è in lotta per diventare protagonista. Il blog di chi avanza perché ha cessato di arretrare dietro all’altro, di chi veleggia verso le incognite, seppur privo di una  rotta perfettamente impostata, ma sospinto da un vento leggero e costante. Qui si ritrovano coloro che sentono, dopo tempo immemorabile,  il desiderio e il coraggio di progettare. Progetto è costruzione, è tendere le mani verso il cielo e dare forma ai sogni. Progettare odora di solidità e fatica, di calore e casa. Progettare fa ancora paura ma non così tanto da rinunciare.
Voglio andare al centro senza tralasciare nulla. Sono sulle tracce di una vita in risveglio, di una pancia gravida di bellezza al limite della deflagrazione. Meravigliosamente infinite sono le  cose da dire, da fare e da donare.
Il  foglio è bianco, l’ordito è pronto: i fili iniziano a conversare tra loro e le parole non smettono di fluire.
Alla fine il mio abito sarà pronto ed io mi vestirò dei fili di colori che pazientemente avvicino, allontano, intreccio e tendo. E sarò pronta, come in quel sogno.

giovedì 14 novembre 2013

“Nel sogno, lei era incinta: gonfia di cose da dare che appartengono a lei, solo a lei e non all'uomo che le pone la mano sul  ventre e sorride quasi a sancire il suo diritto paterno. Lei conosce la verità: quell'uomo  la scalda con il suo sorriso e con la sua mano ma non è il padre del figlio che preme violentemente per venire al mondo. Quel figlio deve nascere.È giunta l'ora. Il suo arrivo permetterà a lei di rinascere e scoppiare di vita. Devo passare il guado del sentirmi spersa, sola, senza appigli, senza completezza data dagli altri, dai figli, da un uomo. Io posso bastare. Mi posso bastare. Devo sapere che è possibile non precipitare nel vuoto che tutto ingloba e tutto divora. Resto in questa immagine. Resto con un gamba alzata. L’altra riva del fiume è lì, pronta ad accogliere il mio arrivo”.