domenica 29 giugno 2014

QUEL POSTO CHE NON C' È

“Occhi dentro occhi, mani dentro mani, bocca dentro bocca” l’illusione di aver trovato un posto magico in cui respirare dalla stessa pancia è roba da innamorati Penelope.  È capitato a tutti, a te , a me, al mondo là fuori. Eppure, la certezza di potersi fidare ed affidare all'altro è davvero un posto che non c’è, come dice la canzone dei Negramaro sottolineando la realtà di tutti gli amori anche quelli più belli e sinceri.

Il luogo illusorio della non separatezza  non cerchiamolo dentro l’altro o assieme all'altro. Credo davvero non esista più quel luogo mitico di unione e fusione che è stato nostro all'origine e poi mai più.

Ognuno ha un posto dentro sé con cui deve farei conti, ma solo. Oserei dire “indissolubilmente solo”.

Parlo spesso delle donne, Penelope, l’universo a cui appartengo e a me più famigliare ed affine. L’unico attraverso il quale intravedo un varco di comprensione verso il maschile e il solo al cui interno possa sentirmi “tenuta” e sostenuta.

L’altra parte dell’emisfero è maschile, paterna, virile. Altro da me.

Parto dall'uomo per eccellenza di ogni donna; il padre.

Riappropriarsi della memoria dei padri, perduti e non, è un passo fondamentale per ogni donna che desideri giungere ad una corretta visione del suo rapporto con il maschile. Corretta? Ma che dico? Accettabile e consapevole. Non potrà mai esserci il modo esemplare per amare o farsi amare perché veniamo da madri e padri imperfetti che, a modo loro, arrancando faticosamente, hanno cercato di “tenerci” perpetrando  continui e inconsapevoli abbandoni. Non so se vale per tutti. Mi piacerebbe sperare che per i miei figli questa non debba essere una dolorosa ovvietà ma, se devo dirla tutta, non ne sono convinta fino in fondo.  Eppure li amiamo, li amiamo tanto. Credo che il segreto, se un segreto esiste, sia accoglierli, esserci, amarli e confessare questo amore con passione, ogni giorno.

Infondo è questo che avremmo  desiderato. Chi se ne frega dei genitori “corretti” o falsamente perfetti, li avremmo voluti solo “innamorati” di noi. E a modo loro lo sono sicuramente stati; a modo loro per l’appunto.

Sorrido e inorridisco davanti a coloro che si sentono figli , genitori o esseri umani ineccepibili, immuni da “certe scomode ferite” che poi, guarda caso, infliggono in modo seriale al prossimo. Sono coloro che non trovano mai un posto perché credono di doverlo cercare nell'altro o peggio ancora nel mondo ideale, quello dei sogni, quello che viene a svegliarti e a dirti “seguimi, questa è la strada … tu non devi fare nessuna fatica”.

Che figata! Dov'è questo posto magico? Penelope dammi due sberle, svegliami e portami lì perché allora non ho davvero capito nulla.

Questa storia che chi abbandona non si sente in realtà abbandonato a sua volta ma solo più forte, davvero non mi convince. La forza vera sta nel restare non nell'andare via, noi lo sappiamo bene.

La mia amica dice che non c’è differenza tra abbandonare e venire abbandonati: le ho chiesto di non spiegarmi cosa intende perché ci sono vicina, ci sto arrivando da sola e non voglio suggeritori. Solo se tocco con mano un traguardo questo mi appartiene davvero e nessuno potrà più privarmi di tale conquista.

Senza sudore e lacrime non s’impara nulla, si resta fermi come certe mamme davanti a scuola che credono che il mondo finisca lì tra una crostata e il corso di tennis dei figli. Non sarò mai solo quello. Devo rassegnarmi e, con me, anche i miei figli o chiunque mi voglia “solo quella roba lì”.

Sono pronta a faticare per comprendere il punto nodale che mi sfugge e non mi sottraggo all'indagine di ciò che sembra ovvio e banale rifiutandomi di negare qualsivoglia verità a me stessa asserendo “io  con quella cosa lì non centro nulla”.  Ogni cosa ci riguarda e da nulla siamo immuni soprattutto dalle false certezze che  abbiamo bisogno di sventolare per sentirci accettabili e saldi almeno davanti a noi stessi.

Nel frattempo vivo, incontro persone, creo, m’innamoro, rivivo abbandoni o abbandono io per prima ritornando incessantemente  all'idea, sempre più concreta, dell’inesistenza di “ quel posto che non c’è”  in cui “tu hai mandato solo me”.

Ci si arriva da soli o con un bel calcio nel culo ma quello è il traguardo a cui tutti giungiamo, lo dico senza cinismo: c’è un luogo dentro noi in cui non c’è madre o padre ma solo il nostro seme.

Ho scavato faticosamente là infondo alla terra più nera e fangosa e sono arrivata  nel punto più abissale in cui se lascio andare il mio seme, e non quello di un uomo o di un padre, so che attecchirà.





lunedì 23 giugno 2014

IDEALE-REALE: ZERO A ZERO PALLA AL CENTRO

Sono giorni che combatto una lotta senza pari contro gli ideali, anzi, contro la parola “ideale”. Me la ritrovo ovunque, mi toglie il sonno, e ciò mi basta per essere certa che vada affrontata, sviscerata e poi deposta nel giusto luogo dentro me.

L’ideale, per definizione, è relativo al piano delle idee e si contrappone a quello della realtà, Penelope.

Il mondo astratto e teorico non può non fare a pugni con il contingente e il concreto. Tu, meglio di chiunque altro, puoi comprendere.

Hai atteso un amore ideale composto di tutte le “voci da manuale” oppure  reale, vivo, concreto, fatto di baci e quotidianità? Ulisse lontano per vent'anni non ha potuto che trasformarsi in un’ideale di uomo: non può essere altrimenti.  Non sapevi più nulla di lui e a quel tempo non esistevano  certo i cellulari.

Ho casualmente partecipato ad una mostra di dipinti che ritraevano volti di donne che si sono sottoposte ad interventi di chirurgia estetica per raggiungere un ideale di bellezza, già in quanto tale, irraggiungibile. Non si può rimanere lisce e prive dei segni del tempo in eterno benché sia il sogno di tutte, anche il mio. Gli eventi disegnano sui nostri volti e sui nostri corpi le immagini dei dolori, delle gioie, dei figli, degli amori e cartavetrare tutte quelle linee significa solo renderle meno visibili, almeno nell'immediato, ma non cancellarle. Nessun ipocrita moralismo nelle mie parole, solo l’amara constatazione che l’ideale di perfezione a cui il mondo vuole educarci non esiste e la consapevolezza che la bellezza vera è composta da un “tutto” che include magnificenza, storture e imperfezioni.

La donna ideale e l’uomo ideale, dove sono? In quale antro marino si nascondono? E poi perché ci affanniamo tanto nella ricerca di ciò che, nella nostra testa, sarebbe perfetto? Nella testa, appunto, e il cuore dove lo mettiamo?

Cerchiamo tutti  la persona ideale con cui condividere la vita e spesso, per le donne, questa immagine ricalca il modello paterno o  se ne discosta per  reazione ad alcune mancanze subite. Idem per i maschi. In altre parole, siamo tutti infognati nella risoluzione di complessi edipici più o meno articolati che ci conducono sulle strade del conseguimento spasmodico di un fottuto ideale.

E poi? Se capita d’incontrare la persona compatibile con i nostri buchi e la nostra sensibilità ma disgraziatamente non corrisponde all’ideale, che si fa? Qualcuno ci prova, molti scappano a gambe levate.

 Ideale- realtà:  uno a  zero per l’ideale. Peccato!

In questo periodo storico vanno di moda i coach: ne esiste uno per tutti i gusti e necessità, ho scoperto. Ho ascoltato uno di loro parlare di questo argomento e mi ha stupito per chiarezza e  linearità di pensiero. L’ideale, già in quanto tale, restringe di molto il nostro campo di azione e di conseguenza la godibilità delle infinite possibilità che la realtà ci propone. Infine è l’approccio del “cercare o ricercare” l’ideale che  manda  il sistema in tilt. Qui la falla principale.

 Le cose belle delle vita, pensaci anche tu Penelope, non le abbiamo cercate ma ci hanno trovato loro! Nulla è più ostinatamente vero.

Tutte, le ricordo davvero tutte, le “cose belle” che mi hanno trovata. L’importante è saperle cogliere, non rigettarle a priori ed essere aperti  con ogni senso, contro ogni idealizzazione del “come dovrebbe essere”. Se si è in grado di salire sull’emozione di quell’istante cogliendo proprio quella opportunità allora diamo senso al nostro vivere e riempiamo di significato la parola “bellezza”. E’ bello tutto ciò che è aperto al sentire, illuminato e senza i confini delle imposizioni.

Siamo tutti belli quando ridiamo e riempiamo di energia pura i gesti più usuali; una carezza sulla testa di nostro figlio, un bacio al nostro uomo, l’ascolto empatico di una confidenza o la risposta gentile ad una provocazione. Siamo tutti belli quando brilliamo dopo un incontro inaspettato e lo accogliamo con sorpresa.

Bellezza è dolcezza, quella delle donne, che prima ancora sanno essere femmine. Bellezza è fragilità, quella dei maschi che sanno anche piangere e dire “non so”.

Penelope non raccontiamoci storie e abbattiamo insieme gli ideali in favore di ciò che è radicato qui, oggi, davanti ai nostri occhi. Il concreto ha a che fare con la consapevolezza di ciò che è; ecco cosa lo rende convincente ai miei occhi.

IDEALE-REALE: ZERO A ZERO PALLA AL CENTRO.


SI RICOMINCIA.



martedì 17 giugno 2014

PROVE SCRITTE AL CHIARO DI LUNA


“Hai ragione tu. Far leggere ad un altro qualcosa scritto da te è una questione di coraggio verso se stessi e non tanto verso gli altri.”

Ieri sera, Penelope, ho partecipato ad una cena con persone che condividono, come me, la passione per la scrittura. Ecco un’ altra  delle mie esplorazioni al buio dalla quale ho fatto ritorno a casa ricaricata di gioia ed entusiasmo. Energia allo stato puro, magie di sorrisi e racconti colmi dell’entusiasmo di chi realizza se stesso attraverso le parole, creando storie. Le più diverse.

Scrivere può essere un mestiere oltre che un diletto dell’anima o una terapia per accantonare le esperienze del vissuto e procedere più fluidamente lungo il cammino. 

A quel tavolo erano sedute almeno dieci vite, dieci modi di percepire la realtà e  conferirle i connotati più diversi: scrivere è colorare gli avvenimenti più banali del quotidiano con le sfumature del proprio sentire  rendendoli  unici.

“Le trame sono roba da dilettanti” è stato detto ad un certo punto.

Nulla si decide a tavolino, ogni storia come ogni disegno prende forma, sapore e colore nell'atto stesso della creazione istantanea. Che sia questa l’essenza del creare? Dar vita e forma ad un istante, un’emozione, una sfumatura del momento senza predeterminazione alcuna.

Il tuo telaio Penelope è come un testo; si può nuotare all'infinito nel mare delle parole riannodabili, scioglibili  e sfumabili come le tinte dei tuoi fili.

L’ Ordito e la trama creano un tessuto, il tuo Penelope, quello che fai e disfi nella vana intenzione di fermare il tempo. L’impasto tra vita e parole  crea testi, storie, racconti, scorci di narrazione o presunta tale. Di parole si può vivere e morire e con le parole si può fare ordine o mescolare  fino a creare un magma disordinato e caotico; i  fili invece impongono ordine e rigore.

Siamo così diverse in questo.

Le parole sono la mia via, amica, così come i fili sono la tua mano. Non dobbiamo che scegliere le formule e le finalità con cui utilizzare tali strumenti.

A quel tavolo le modalità di descrizione di quello stesso incontro, avvenuto in quel preciso istante della vita di ognuno, avrebbero fatto la differenza tra i generi letterari e non.

La scrittrice entusiasta del suo primo romanzo, finalmente in fase di pubblicazione, ci avrebbe dipinti condendo l’atmosfera  di una sana e pungente ironia mentre lo scrittore storico avrebbe inquadrato l’incontro  all'interno di una cornice anni venti o chissà. Il blogger letterario si sarebbe dilettato con citazioni e paragoni aulici ma senza scivolare nell'ovvietà e lo sceneggiatore televisivo-cinematografico avrebbe imbastito un dialogo volto alla vivida, e vagamente cinica, caratterizzazione dei presenti. La regina della serata, colei che ci  ha riuniti, non so cosa avrebbe scritto ma la sua capacità di osservazione acuta e profonda, di cui ho avuto sensibile percezione durante tutta la sera, avrebbe connotato ognuno dei presenti con l’aggettivo più appropriato mentre la donna che, da anni tiene il suo manoscritto sotto chiave intimorita innanzitutto da se stessa, chissà: avrebbe dato un taglio vagamente  sex and the city alla sua narrazione anche se  qualcosa mi suggerisce  invece che “ci avrebbe semplicemente messo del suo”. Infine, la giovane scrittrice in erba dallo  sguardo sognante  ci avrebbe costruito una favola a lieto fine mentre la narratrice fantascientifica ci avrebbe inseriti tutti in una storia dai contorni lunari e dagli scenari improbabili ma al contempo realistici.

Che ricchezza di forme ed accezioni, Penelope, pensa fossimo stati in trenta? Sarebbe una bella idea quella di riunire in un manoscritto la descrizione della serata di ieri da parte dei suoi partecipanti: una prova scritta collettiva sotto la luna, un coro di punti di vista, una mescolanza di stili e ritmi. Che ricchezza!

Ho molto apprezzato l’immagine proposta dalla nostra musa regolatrice di testi e parole, secondo cui se un’idea ti ronza nella testa e non se ne va di lì nonostante il sopravvento di altre intuizioni o nuove ispirazioni, significa che quella è l’idea e, in quanto tale, necessita di essere scritta.

“Fino a che non sarà così non ti abbandonerà, sarà il tuo incubo, la tua ossessione”.

Allora scrivi! Abbi coraggio con te stessa e “clicca” su  INVIO.

Tessi la tua tela Penelope!

Scrivo per accatastare l’esperienza dell’anima ed aprire nuovi spazi dentro me, per solidificare la mia identità di donna e liberarla dei pesi che la sovraccaricano, per svincolarmi dal passato  e poter vivere pienamente nel mio presente oltre che  per sondare “altro da me”.

Le parole mi accompagnano nel viaggio alla scoperta di nuovi spazi abitati dal desiderio e dalla meraviglia, soppiantatori del puro bisogno o della mera necessità. La scrittura è apertura alla vita e alla magia ad essa connaturata.

E  tu, dolce ancella dell’attesa, da cosa ti liberi? Quale effige vedremo comparire sulla tua tela?


Sii sincera fino in fondo e assumiti ogni responsabilità di ciò che vedrai e mostrerai a me. A noi.







martedì 10 giugno 2014

LA PAROLA ALLE STELLE: "AD UN PASSO DAL POSSIBILE"

Penelope hai mai osservato le stelle  nella tua Itaca?

Chissà in quali meravigliosi cieli hai fissato lo sguardo e qual era il profumo che ti riempiva mentre ti addentravi nei meandri astrali.

Profumo di mare. Forza di vita e rinascita.

Mi hanno spiegato, con dovizia matematico scientifica, che il posizionamento dei pianeti al momento esatto della nostra nascita determina grandemente il nostro modo di essere così come il transito attuale di questi ultimi, nelle nostre dodici case, può fornirci consapevolezze nuove sui nostri modi di agire presenti e futuri. Nessuna banale predizione a cui affidarsi supinamente bensì una autorevole direzione che  i nostri passi possono attivamente imboccare.

Non voglio convincere gli scettici, li comprendo. Io invece credo a tutto questo, senza falsi pudori: è un modo di vedere le cose che mi affascina e coinvolge la mia fantasia in ogni suo aspetto.

Ogni pianeta è un mondo, un mito rappresentativo di una modalità dell’essere, mentre ogni casa è il luogo della nostra realizzazione, del talento, dell’attitudine: l’habitat di una delle tante parti che compongono la nostra variegata personalità.

Siamo popolati da incredibili sfumature amica, non ci limitiamo ad essere un blocco granitico da scolpire lungo la via. Siamo composti di spirito, arte, passioni, di realizzazioni economiche e personali, rapporti con il cibo, di amore, di paterno e materno, di occulto e religioso, d’indole fisica e istintuale, di creatività, forza e debolezza. E ancora molto, molto altro.

Le case parlano di noi e della nostra natura policroma e multiforme.

Mi affascina questo mondo Penelope e mi fa sentire legata all'universo, al cosmo. Guardarsi attraverso il cielo amplifica quel sentimento di unificazione con il tutto che tanto “consola” e, allo stesso tempo, intima all'azione consapevole e mirata.

Ricordi la consapevolezza? Lì risiede ogni risposta spogliata dei segreti o di false giustificazione: “Conosci te stesso”, dicevano gli antichi.

La connessione con l’universo e con la sensibilità psichica, residente oltre la contingenza, entrano a far parte di questa mia nuova vita: le accolgo come doni e conferisco loro il volto di nuovi angeli che conducono e tengono la mano verso la piena realizzazione della mia persona.

Noi ci ammaliamo Penelope e non unicamente di patologie incurabili.

Pigrizia, depressione, pesantezza, egoismo, insoddisfazione e tanti altri mali del vivere prendono il sopravvento su di noi perché non crediamo abbastanza, non abbiamo sufficiente fede nel percorso che ogni giorno ci si apre dinnanzi e nelle forze di cui siamo stati dotati per percorrerlo nel miglior modo possibile.

Ho compreso che questa fiducia la si esplicita solamente dando piena realizzazione ai propri talenti e potenzialità. La consapevolezza di chi siamo e dove stiamo andando ci dona uno sguardo intenso ed amorevole verso noi stessi e ci conduce là, a compiere il mistero per cui siamo volati su questa terra.

Da piccola credevo che un personaggio curioso della mia fantasia, dal nome altrettanto improbabile, trasportasse noi cuccioli di pancia in pancia fino a che non fossimo noi a decidere in quale fermarci, per poter crescere e poi nascere.

Eccomi qua. Sono nata, sono al mondo per realizzare la mia “cosa”, che tutto l’universo si adoperi affinché io, ed ognuno di noi, possa farcela!

Voi pianeti, voi stelle, parlateci, guidateci, indicateci la strada: sarò l’unica ed inimitabile a percorrerla, nel bene e nel male, e desidero arrivare fino in fondo, senza nulla perdere di questa meravigliosa avventura del realizzare me stessa.

Le mie vie si stanno illuminando e il mio cuore è già più pacificato: il buio è dissolto ed ora bisogna muovere i passi giusti, usare i talenti insiti in me indirizzandoli verso l’unica strada possibile.

Sono davvero “a un passo dal possibile”.





domenica 1 giugno 2014

CHE TI PROTEGGA IL MIO RICORDO

Vivere o niente, dice Vasco, e sebbene la sua musica non sia mai stata troppo nelle mi corde, devo ammettere che questa frase mi rappresenta oggi più che mai.

Ho scelto di sporcarmi le mani con ciò che “sfugge al mio controllo”, con l’irrazionalità dei sentimenti che escono ed entrano in me e  mi conducono nei luoghi della bellezza senza eguali o degli spasmi del cuore.

La musica è terapeutica, iniziatica e infinitamente ricca di suggerimenti oltre che d’innegabili e splendide suggestioni. Ho imparato ad apprezzarla e ad amarla come si ama una tisana calda prima di addormentarsi, una coperta avvolgente quando fuori fa freddo o un abbraccio inaspettato quando non ci credevi più. Ho incontrato chi mi ha insegnato ad ascoltarla, amarla, sentirla, interpretarla con curiosità e infinito rispetto: stasera la ascolto con fatica e con amore pensando a chi c’è stato insegnandomi tutto questo.

Le ricorrenze hanno un prezioso significato per la sottoscritta ed oggi, un tot di tempo fa, questo angelo meraviglioso, l’angelo della musica, entrava nella mia vita scardinandone ogni ordine ed ogni certezza stupidamente prestabilita. Le nostre vie si sono scontrate in una sera leggera in cui mi sentivo “un po’ gatta e un po’ Audry”, una sera in cui avevo bisogno di non pensare, di dimenticare e volevo solo una cosa più di ogni altra: Ballare.

E invece no.

Le ricorrenze sono bastarde, ti fanno tornare lì dove non vuoi e ti fanno piangere ma sono anche benevole perché attivano il ricordo positivo, il meraviglioso, il bello che è stato e, in qualche modo, leniscono quel dolore sordo che continui a portarti addosso come uno zaino che pian piano si svuota e ti lascia raddrizzare la schiena.

La musica, la mia musica  dice ”cambia il vento, cambia il tempo” ma dice anche “spero che là dove ora vivi per te sia facile il cammino, che tu non conosca la paura, la tristezza, l’abbandono..che ti protegga il mio ricordo … che tu possa ora riposare” perché il meraviglioso del vivere sta anche nel continuare a gioire e ad amare in silenzio, da lontano, nel solo mondo possibile per certe anime.

 L’amore, per coloro che decidono di vivere e non per chi ha scelto il niente,  è non  avere paura di dire e di salvare la meraviglia di ciò che stato e non è più.


Stai con me stasera, Penelope.