Amo le parole ma ultimamente tendo a pensare che ne vengano pronunciate e scritte troppe, su tutto. Sono io la prima a farne di inutili.
Mi ritrovo con sorpresa a godere
della semplificazione, dell’abbattimento delle barriere che troppe parole, inevitabilmente, creano. Sì insomma, contro ogni aspettativa, credo nel decluttering intensivo e continuativo delle cose, delle parole e
dei pensieri inutili.
Facilitiamo le cose Penelope!
Un caro amico, ieri, mi ha
informata di aver rasato via tutto, barba e capelli, e alla mia stupida domanda
“Perché?” mi ha risposto “perché rappresentavano il superfluo, ciò che non
desidero più nella mia vita”. E alla mia piuchestupida
obiezione “Si, ma stavi bene! Ti piaci ora?” lui risponde “Certo. Ci sono nato
così”.
Nulla di più ovvio. Siamo nati
privi di peli e orpelli ed è proprio quello stato primitivo di natura che
dovremmo recuperare un po’ tutti e in tutti i sensi.
Siamo bombardati, ormai da tempo,
dalla filosofia virtuale volta allo sbarazzarsi del superfluo per vivere
meglio: ovunque si parla incessantemente di “decluttering”, di sgomberare gli spazi esterni e
interni dalle zavorre per fare spazio al nuovo e ricollocare i vari elementi
con un ordine dissimile al precedente.
Ma innanzitutto, Penelope, cosa è
superfluo? E poi, serve davvero eliminare oggetti e pensieri per fare spazio al
nuovo? Tu cosa hai gettato nel tuo percorso di vita e perché?
Credo che la concezione stessa di
anima possa dare tutte le risposte.
Per anima intendo la parte vitale e
spirituale di un essere vivente, l’IO, la coscienza, l’essere nella sua
accezione più profonda.
Lasciandola decantare così come
si fa con un buon vino d’annata, ossigenandolo per qualche istante, è l’anima
stessa, la nostra essenza vitale, a mostrarci chiaramente cosa sia superfluo e
cosa no. Quando si consapevolizza la presenza di questo particolare sensore dentro di noi la scelta diventa
quasi obbligata e improvvisamente tutto ciò che non combacia con la sua natura
diventa accessorio, inutile, da gettare via. E’ una questione di aderenza, o
meglio, di coerenza istintiva. Esistono cose, situazioni e addirittura persone
la cui presenza nella nostra vita diviene, ad un certo punto, innaturale e
conduce all'inautenticità dell’essere o del rapporto stesso. Può trattarsi di
un abito che non ci rappresenta più così come di un amico che non sentiamo più
sintonizzato o di un amore che non trova più la vera motivazione del suo
esistere.
L’anima ci manda mille segnali di
insofferenza e un giorno, nel migliore dei casi, decidiamo di seguirli.
Concretizzare i dettami dell’anima
è solo questione di coraggio e quest’ultimo affinché non diventi una chimera nella
vita, va semplicemente allenato. Piccoli atti coraggiosi conducono a grandi
gesta. Qualsiasi dettame giunga da meandri tanto profondi e innati non può che
costituire la giusta direzione per la nostra nave.
Ti offro, cara Penelope, la
possibilità di rileggere la tua storia alla luce dell’anima che, se nutrita e
seguita, crea altra anima rendendo intrepido e mai noioso il nostro andare. Perché
essa non segue le logiche della ragione ma solo quelle della natura, della
terra e dei venti che agitano i mari. E a pensarci, la tua vita e quella del
tuo sposo è stata ricca di accadimenti e audace come tutti vorremmo che fosse una vita.
La risposta del mio amico “Certo
che mi piaccio. Sono nato così” traduce in modo semplice questo concetto di
integrità e naturalezza che dovrebbe essere alla base di ogni nostra scelta.
Tutto il resto appare inautentico, sleale e pertanto inutile proprio perché lontano
dalle origini della nostra fonte e dalle viscere.
In verità, ho sempre trovato
molto difficile sbarazzarsi e gettare via le cose, per natura sono una che “tiene”
e ha una scarsa capacità nel lasciar andare le cose e ancor di più le persone.
Soffro i distacchi e l’abbandono mio, degli altri o dagli oggetti a cui tengo è
lo spettro contro cui combatto la mia personale lotta da quando sono nata.
Eppure oggi, dopo un po’ di vita, ricerca e introspezione, giungo alla
conclusione che i tagli, anche quelli che rimangono incisi dentro e sanguinano senza
fine, siano necessari e salutari se supportati da una forte intuizione
interiore, da un impulso leale. Spesso il dolore da essi generato è l’unica cura.
Leggo, Penelope, leggo molto per
cercare risposte e rafforzare quelle piccole intuizioni che pian piano
diventano certezze e questa frase che trovo in Donne che corrono con i lupi
della Clarissa P. Estés mi dona aria per respirare quando serve:
“Ci vuole un cuore desideroso di morire e rinascere e morire e
rinascere e così via”.
Perché abbandonare dietro di sé qualcosa
o qualcuno è un po’ come morire ma senza quella ferita che impareremo ad amare
e riconoscere non è possibile rinascere e guarire. Così come non può esserci
vita senza la morte, non può esistere amore senza dolore e verità senza l’abbandono
di ciò che vero non è.
Chi si taglia barba e capelli e
interagisce finalmente con un volto sgombro e pulito mi ha fornito lo spunto per
riconoscere l’importanza dell’operare nella vita liberi dagli ostacoli di
qualsiasi natura senza nascondersi. Ci si deve ripulire, Penelope, dalle scorie che generano
mancanza di vita e slancio puro, accettando il rischio di sentirsi nudi, spogli, senza
barriera e difesa.
Barba e capelli folti mi
riportano all'immagine di Ulisse.
Ma tu, intrepido
eroe del mare, avresti il coraggio di tagliare tutto?
Mostrati!
Penelope, ti passo le forbici.