domenica 29 dicembre 2013

HO MESSO DA PARTE

Che bella sensazione un anno che finisce. Ti sembra di aver portato qualcosa a casa, di aver costruito e messo da parte. Un pezzo di vita, una porzione  di strada che si consolida in una data da incasellare tra le altre.

Tu Penelope, donna fuori da ogni dove e ogni quando, che senso hai dato al tuo tempo? 

Dicono di te che attendesti Ulisse per venti lunghi anni. Un tempo lunghissimo in cui voglio credere tu abbia combattuto le tue guerre e vinto le tue sfide. Sorprendimi e dimmi che non hai pensato unicamente a lui. Sii mia complice confessandomi che hai cercato altrove. Non si vive per un uomo.

Quest’anno finisce e, per la prima volta dopo molto tempo, non ho la necessità impellente che volga al termine per sancire la fine di eventi spiacevoli. Termina semplicemente, in modo lieve, un anno di faticosa ricostruzione e ricomposizione dei pezzi andati fuori posto. Si estinguono questi trecentosessantacinque giorni lasciandomi in bocca il sapore dolce di nuove sfide che pian piano mi si prospettano davanti e di belle persone che aleggiano intorno e dentro me. Angeli radiosi o sofferenti che ho imparato ad amare per ciò che sono e perché ci sono.

Gli ultimi anni della mia vita sono costellati da incontri speciali. Ho imparato a recepire davvero le persone, a mostrarmi, a non risparmiare nulla, a limitare le aspettative dando valore a ciò che fuoriesce da me.

Qualche tempo fa ho cercato di descrivere l’essenza di un incontro con parole che sanno di antico ma che mi sono sgorgate con la naturalezza che solo la verità ti regala:

“C’è stata una sera in cui, in quella casa costruita con faticoso accanimento, il fuoco ha iniziato a scaldarne il cuore. In quella sera, ogni angolo della casa si è animato di una luce nuova dando vita ad un luogo di mistica e intensa verità:lì, da quel momento, accadono miracoli e prodigi. Lì l’uomo si spoglia dell’inutile e giunge alla dimensione dell’autentico. Li non esiste il timore di guardare in faccia il dolore e restare in lui per vincerlo e procedere oltre. E’ trascorso il tempo dei travestimenti e ci si affaccia a quello della rivelazione: ogni istante inizia ad essere scandito da ritmi vitali e l’aria profuma di legno e fiori, di scorza secca gettata a terra e sostanza palpitante di vita. Solo in quel luogo della casa il fluire delle parole e delle emozioni si concretizza in momenti di pienezza assoluta vissuti con la sapiente lentezza di chi resta e gusta. Da quel luogo si parte per altre dimensioni da cui non pare esserci ritorno: quando arrivi in territori così celesti difficilmente si delibera di fare un passo indietro. Le anime che hanno l’ardire di partire per un tale viaggio si riconoscono dall'odore e si scrutano vicendevolmente alla ricerca di un segreto che sa di buono e sorprendentemente semplice: ogni anima ha un nome per quel segreto e lo custodisce come il più prezioso dei tesori.”

Ecco cosa celebro alla fine di quest’anno: la capacità di incontrare in questo modo.

Riconosco alla vita il dono della trasformazione nel viaggio attraverso l’altro e dentro se stessi. Perché le mutazioni e le creazioni più belle avvengono per opera di entrambe gli attori dell’incontro. Poco importa la natura del rapporto; si tratti d’amore, d’amicizia o di semplice confronto, l’empatia, quella vera, è la sola forza davvero trasfigurante e magica. Questo entrare nell'altro e, allo stesso tempo, farsi altro da sé ha il potere di dar vita a relazioni vere e durature, quelle a cui tutti aneliamo.

In questo 2013 metto da parte, proprio dalla mia parte, gli incontri empatici con le persone che intuitivamente ho scelto e con quelle che la vita mi ha gratuitamente donato.

Porto a casa il calore e la pienezza di certe anime.

Custodisco il mio tesoro con cura sapendo che gli incontri vanno coltivati e innaffiati di gratuità e rispetto senza soffocarli con richieste inutili ed egoistiche.

Infine porto a casa un altro traguardo, Penelope, che è la dissolvenza sempre più consistente della paura. 

Quella brutta bestia che assomiglia ad un perenne senso d’inadeguatezza: inizio a guardare le cose dall'alto, da una prospettiva nuova.

Me lo suggeriscono anche i sogni. Spesso mi trovo in alto rispetto a ciò che osservo e finalmente i volti, finora sempre evitati, mi si fiondano davanti al muso con sfacciataggine quasi violenta.

Voglio guardare, Penelope!

I miei quarant'anni, tanto temuti, mi hanno regalato l’uscita allo scoperto. 

Mostro il volto e guardo dritto in faccia ciò che c’è.

Forse si chiama coraggio o, più semplicemente, vita.

Fa ancora paura, lo ammetto. Ma io, indietro, non ci torno.






lunedì 23 dicembre 2013

SULLE TRACCE DI BABBO NATALE

Buon Natale figli miei!

Come ogni anno, arrivano questi giorni densi di commissioni da sbrigare, persone da salutare, feste a cui partecipare, biscotti da preparare e regali dell’ultimo minuto da acquistare. Finalmente, come ogni anno, arriva anche la pace di quel buio surreale che è la notte di Natale: voi andate a dormire tardi ed io affollo il pavimento del salotto con i doni che tutti, famigliari e amici, hanno portato per voi. Solo pochi anni fa io e papà avevamo l’abitudine di lasciare sulla credenza accanto all'albero, le tracce di un Babbo Natale che, nella foga delle consegne natalizie, abbandonava dietro di sé qualche caramella scartata e un paio di dolcetti appena addentati. Poi, da quando alla più piccola di casa è stata crudelmente svelata la vera identità di Babbo Natale, non c’è stato più bisogno di messe in scena. E tutto è diventato tristemente concreto, privo di sogno.

Babbo Natale, nell'ideale comune, è simbolo di tutti quei doni sotto l’albero e di una festività votata al consumismo mentre Gesù bambino incarna un'immagine più rassicurante  e pura del Natale. Ci si sente più buoni a credere in Gesù Bambino e la sua figura ci fa sentire meno colpevoli. Senza contare che la grotta, il bue e l’asinello che scaldano il neonato con il calore del loro fiato e i due genitori che vegliano su di lui rappresentano la casa, il porto a cui approdare, il luogo indiscusso dell’accoglienza. Perché è questo che una famiglia, ordinaria o meno, deve essere: culla e calore. Insomma, Gesù bambino rassicura tutti quanti e ci riporta a quel "senso" che, a stento, percepiamo dietro tanto baccano di luci e colori.

Quando ero piccina non credevo a Babbo Natale ma a Gesù bambino. Lo immaginavo in veste di un angioletto bianco, etereo e svolazzante che entrava in casa dei nonni attraverso la serratura, senza fare rumore, e abbandonava lì i doni da me tanto agognati. Era una figura leggera e silenziosa che non lasciava tracce del suo passaggio, un po’ come ero io da piccola. Ci somigliavamo noi: lui volava come un folletto, io camminavo in punta di piedi per non dare disturbo. Ma questa è un’altra storia.

Per voi, ragazzi miei, desidero una figura più ingombrante, pesante e consistente a cui affezionarvi. Odio il Natale consumistico, anche se non riesco a sottrarmi ai suoi macchinosi ingranaggi, ed oggi amo irrimediabilmente la figura paciosa e rassicurante di quell'omone bianco e grassottello che elargisce sorrisi e sogni con inesauribile energia.

Assomigliate a lui nel vostro incedere: lasciate traccia ragazzi miei e fate meraviglie di questa vostra vita.

Una vi è stata donata ma mille possono essere vissute in quest’una.

Costruite ma non disdegnate la distruzione quando serve, viaggiate ma conservate la capacità di restare e allontanate da voi l’arroganza prediligendo la pratica della gentilezza.

Evolvete sempre e fate esperienza di tutto ciò che vi è possibile. Ma sopra ogni cosa, fate in modo che verità e coraggio siano le vostre fedeli compagne di viaggio.


Quest’anno Babbo Natale passerà di qua, tesori miei, e ve ne accorgerete dalle orme che lascerà sul tappeto.

Non mi affannerò a ripulirle, ve lo prometto.






domenica 22 dicembre 2013

QUESTIONE DI SGUARDI

Al termine di questa avventura ti avrò incontrata, Penelope, e avrò svelato ogni tuo segreto. Il viaggio nei panni di questa nuova me è incerto e nebuloso. La tua presenza costante e discreta mi da’ una direzione. Sei l’incontro per eccellenza.

Il tuo è stato quello con Ulisse.

Il mio quello con te.

In questa avventura mi faccio guidare dai segni. La vita stessa è una creazione costante e le tracce che incontro sulla via costituiscono l’aiuto, il suggerimento che ho imparato ad ascoltare. Anche per scrivere questi brevi pezzi  mi sintonizzo sulle “imbeccate” di giornata.

Oggi alla radio ho ascoltato per la prima volta “L’infinito” di Battiato. Mi ha talmente coinvolto il refrain “è in certi sguardi che si vede l’infinito” che ho voluto vederci un’indicazione per questo mio breve post.

Questa volta, allora, è una questione di sguardi.

Ci si guarda per gioco , per ricerca, per necessità. Per trasmettere e ricevere calore, per sancire un patto, per dare corpo a una verità dolorosa o ad un gioioso consenso. Ci si guarda per amarsi o per odiarsi fino al midollo.

Guardami!

E poi ancora le pagine di quel libro, Shantaram, tanto lungo quanto magico, iniziato a leggere in prossimità dei miei quarant'anni. Lo riprendo in mano dopo mesi e la prima frase che leggo è:

“era una donna che suscitava ammirazione e desiderio, ma il messaggio negli occhi e nel portamento era inequivocabile: ogni mancanza di rispetto è a vostro rischio e pericolo."

Quanto ammiro le persone così, ancor più se donne. Per la maggior parte di noi trasmettere il rispetto di sé attraverso un semplice sguardo è frutto di una consapevolezza guadagnata faticosamente mentre, solo per pochi, è questione  di indole fortunata. Ancor più per una donna. Lo sguardo femminile, infatti, è spesso soggetto ad equivoci ed è istintivamente accomunato alla seduzione.  Per cui una donna che sia in grado di guardare senza bisogno di aggiungere altro è, senza dubbio, una donna forte.

Sai cosa ho capito Penelope?

La vera forza risiede nell'assenza del bisogno. Quando smetti di cercare  il consenso altrui a tutti i costi e senti di poter fare a meno di sostegno, approvazione e compagnia  per non stare solo e non sentire il mormorio dei tuoi pensieri, hai svoltato.

Diventi quel genere di persona capace di sostenere ogni genere di sguardo, anche il più scomodo. Come è capitato a me qualche mese addietro:

Scrivo a te donna, madre.
Oggi è accaduto un fatto singolare: mi sono vista con gli occhi tuoi. Non ti conosco personalmente ma questa mattina, quando hai posato il tuo sguardo su di me, ho sentito che quegli occhi mi appartenevano. La donna che ho incontrato oggi e che ho salutato di sfuggita, senza nemmeno scendere dall'auto, potrei essere io tra una quindicina d’anni. L’unico elemento che abbiamo in comune è aver generato un figlio maschio e una figlia femmina. I tuoi sono cresciuti, i miei escono appena ora dal meraviglioso limbo della prima infanzia e si affacciano al pianeta della fanciullezza ………………
Ho percepito la severità della tua occhiata, il peso della tua osservazione materna che ha istintivamente puntato il dito e non ha lasciato spazio. Ti comprendo, sono madre anche io. Non ti giudico.”

Gli occhi sono lo specchio dell’essere.

Dentro il mio cuore serbo un coro di sguardi ed ognuno conserva sfumatura rimasta indelebile dentro di me.

Vorrei essere capace di scrivere pagine capaci di donare ali alla fantasia di chi legge amplificandone ogni sensazione e vorrei che il coro di  sguardi di chi ho incontrato potesse farmi da bussola.

Guardami Penelope!

Io guardo te.




lunedì 9 dicembre 2013

LA MIA PAROLA

Credo nella forza e nell potere evocatore delle parole.

Amo sceglierle con cura e soppesarle prima di dar loro fiato. Esse possiedono  la forza di cambiare il corso delle cose e delle relazioni tra le persone. Una parola detta al momento giusto può farti innamorare o farti scappare mentre una che non arriva mai può finalmente condurti verso luoghi che credevi inaccessibili o farti dire no!

Mi affido a quelle che sento affiorare spontaneamente in me e ad altre che pronuncio per libera associazione di pensieri o semplice assonanza. Le parole nascono da dentro e, come i sogni, esprimono la parte più inconscia dell’essere. Anche il tono che usiamo per pronunciarle non è mai casuale. Ecco perché le ascolto attentamente e le analizzo con perizia.

Tracciano la via ai pensieri e permettono loro di prendere forma palesandosi prima all'anima personale e poi a quella collettiva. Nulla dona pace alla mente ricolma di concetti e riflessioni accavallate l’una sull'altra come l’espressione orale o scritta delle parole. La loro esplicitazione mette ordine.

Ne esiste una, tra le tante, che mi riempie e mi infonde un piacere quasi orgasmico.

La  parola MERAVIGLIA.

Mi riconduce ad uno stato primordiale di riscoperta delle cose del mondo come se le vedessi, sentissi e odorassi per la prima volta.

E’ un termine che ha il sapore delle fiabe e trattiene in se un po’ del luccichio delle stelle.

Meraviglioso è un tramonto, un sorriso, un incontro ma anche l’istante in cui ti nasce un figlio e i suoi occhi incontrano i tuoi per la prima volta o quello stato di  quiete e soddisfazione che ti pervade dopo uno sforzo fisico totalizzante. Sento che la meraviglia s’impadronisce di me quando intuisco la non casualità degli eventi o incontro le persone giuste al momento propizio e, ancor più meraviglioso, è quello stato psicofisico di pienezza del vivere al di là di ogni maschera.

Meraviglia è una modalità diversa alla quale si giunge perdendo la smania del controllo a tutti i costi. Solo lasciandomi andare sono capace di meraviglia.

Qual è la tua parola Penelope?

Quella più scontata sarebbe “attesa”, quella più dolce sarebbe “presenza”, quella più dura sarebbe “abbandono”.


La tua. Voglio la tua.




venerdì 6 dicembre 2013

RITO DI PURIFICAZIONE

Prima di ripartire, cara Penelope, è necessario  purificare il cuore, il corpo e le idee.

Mi hanno consigliato di scrivere e poi gettare ogni parola nel fuoco. Il fuoco purifica.

L’ho fatto.

Ho preso un foglio protocollo a righe, uno di quelli che i bambini usano per i compiti in classe e ho scritto. Ho scritto le cose che mai avevo detto nemmeno a me stessa. L’ho fatto una sera mentre loro dormivano nella loro stanza.

Ho scritto con rabbia. I tratti della mia calligrafia risultano incomprensibili e disordinati almeno quanto l’inesistente logica dei miei pensieri.

Ho acconsentito a una tale forzatura con l'assurda volontà di liberarmi della mia vecchia vita una volta per tutte.

Tu credi sia possibile? Io no ma occasionalmente cedo alla forza delle illusioni.

Il tempo impiegato per riunire tutte quelle emozioni e metterle su carta mi è parso sprecato. Altro tempo dedicato al dolore. Altra energia rubata alla mia vera vita. 

Poi ho preso un fiammifero dall'ultimo cassetto della cucina, un giorno o l’altro dovrò cambiare posto agli oggetti di questa casa, e gli ho dato fuoco. La fiamma si è subito propagata su tutto il foglio inghiottendo le parole scritte con l’inchiostro nero e in un attimo tutto quel groviglio di segni disordinati ed isterici si è trasformato in cenere.

Sono nella mia cucina, luogo di vita e nutrimento.

E’ mercoledì sera, un mercoledì sera come tanti. I bambini dormono e io ho preso la decisione di disconnettermi dal mondo. Abolisco volutamente telefonate, tv e computer: nulla che mi dia l’illusione di non essere sola.

Stasera voglio stare sola. Felicemente sola. Assennatamente sola.

Cerco di svuotare la mente da ogni pensiero ma è un esercizio inutile: la mente è per eccellenza il luogo dove turbinii interni, mormorii e grovigli si accavallano l’uno sull'altro prendendo forme talvolta inaspettate.

Guardo questa cucina bianca e improvvisamente vorrei colorarla, arricchirla di macchie cromatiche ovunque. Non importa quale sia il colore ma basterebbe che questo finto candore scomparisse una volta per tutte. La purezza di questo bianco non mi appartiene più, non trova più posto qui. Qui dove tutto è cominciato e tutto è finito. Qui dove le anime hanno cambiato forma e messo le ali.

Mi sono sporcata finalmente e la confusione è entrata in queste stanze.

La confusione mi rassicura. La certezza mi gela dentro.

Nel caos posso decidere di cercare, rimescolare, trovare o non trovare, perdere tempo, prenderlo o fingere che non arrivi mai.

Diversamente, là dove tutto è ordine e ogni cosa ha un suo posto predefinito, non esistono alibi e nulla è comodo o ambiguo. 

La consapevolezza è ordine ed io, pur reputandomi una donna consapevole, vivo nel disordine appositamente reiterato nella cieca speranza di non dover vedere?

La mia fatica dell’anima consiste nel battezzare ogni emozione e ogni azione con il suo nome senza infiocchettarla con significati improbabili e non aderenti alla realtà.

Questa è la mia resa dei conti Penelope. L’autonomia della mia persona e la verità nuda e cruda.

Ti sto lasciando il tempo per riunire le idee e raccontarmi come è andata a te.

Ti aspetto sorella.






domenica 1 dicembre 2013

IL SEGRETO

Un libro è come un cuore. Racchiude un segreto imprescindibile da chi lo scrive.

Qual era il tuo segreto Penelope? Cosa nascondevi nel tuo cuore? Qual è il centro di te che ti ha costretta ad evolvere ed andare oltre? E soprattutto hai mai conosciuto il tuo segreto? Ti è mai stato suggerito in sogno o da qualcuno?

Cerco le risposte rivelatrici del mio “segreto” in ogni dove.

Alterno periodi in cui la mia fame di riscontri non trova sosta ad altri, più sereni,  nei quali seguo il corso delle cose e lascio che  esse semplicemente accadano. Entrambe le modalità sono importanti per giungere a quel senso di pienezza che cerco senza sosta.

La contraddizione è in me così come lo scontro tra il sentire e il volere. Dualità di abitudini e comportamenti che riflettono una donna che riordina, poco alla volta, le stanze della sua casa. Ancora terrorizzata dall'ordine, occupo il mio tempo a fare disordine fuori e dentro di me. Faccio e disfo, come te Penelope. Non porto a termine nulla. Se leggo non scrivo e se scrivo non riesco a leggere una parola, esco per non stare sola ma se decido di tentare la strada della solitudine allora chiunque risulta invadente e, ancora, alterno rigore e disciplina a caos e negligenza.

Ci somigliamo sorella Penelope?

Persino le mie letture riflettono la mia vicina distanza dalla verità. Più ho fame di conoscenza e più mi tuffo nei saggi,  a metà tra il filosofico e lo psicologico, mentre, nei periodi più fatalisti, mi concedo i romanzi, le storie di altri, anche se mai troppo lontane da me. Sono prudente con la fantasia.

E tu, cosa immaginavi mentre lui era lontano? Non temevi di eccedere immaginando? Non avevi terrore di perderti nella finzione di un'idea?

Trovo difficile mettere distanza tra me e me eppure l’evasione, reale o immaginaria, è preziosa per trovare risposte. Andare e restare; restare o andare. Mi allontano provando a leggere un capolavoro come SHANTARAM di G. D. Roberts, senza riuscirci. Non trovo appigli in me per procedere oltre. Sono ferma alla centocinquantesima pagina. Mi avvicino consolandomi tra le pagine di Hellinger, la Norwood e mille altri piuttosto che le scrittrici nostrane. Loro mi rassicurano, partono da parametri che percepisco famigliari. In qualche modo mi confortano.

Un libro su tutti mi accompagna in questi anni.

DISTACCHI di J. Viorst giace incessantemente sul mio comodino ed è l’incomodo e fastidioso simbolo del mio segreto.

Tu ne sai qualcosa sorella amica.

Il libro inizia con un capitolo sull'alto costo della separatezza fisica e psichica dalla madre per poi procedere con l’analisi delle “perdite necessarie” che servono per evolvere e trovare dell’altro.

"Una crescita sana comporta la capacità di abbandonare” ripete l'autrice come un incalzante leitmotiv.

Io ho abbandonato e sono stata abbandonata nella mia vita. Questa è la resa dei conti.

Tu ,Penelope, hai avuto la tua?