mercoledì 19 novembre 2014

L'ONDA PERFETTA

 “Si può tornare solo dopo che si è partiti” è una frase che ho letto in questi giorni tra le tante parole di un moderno esploratore del mediterraneo di cui amo leggere le considerazioni quotidiane sullo scrivere e l’andar per mare.

Dopo una partenza, reale o immaginaria, si torna sempre e comunque? Per quanto auspicato, un vero ritorno è sempre realizzabile? Infine, se si ha il coraggio di tornare, in quale punto si approda esattamente?

Una cosa è certa, qualunque sia il  luogo del ritorno, esso non può coincidere con quello della partenza: la tua storia lo dimostra così come la mia e quella di chiunque abbia vissuto un commiato attuato in prima persona o subito.

Ulisse salpa verso la terra dell’ignoto dove si misura tra imprese mirabolanti e guerre violente esattamente come accade a chiunque lasci le proprie certezze per affrontare ciò che ancora non conosce. Abbandonare la propria zona di confort conduce inevitabilmente in uno stato d’inquietudine e disagio colmo di demoni e paure che non lasciano indenni.

Lui torna, dopo aver vissuto avventure mirabolanti e visionarie, ma il luogo in cui approda non è più la stessa casa che aveva lasciato vent'anni prima.  La sua Itaca è in mano ai Proci, tu, Penelope, sei una donna invecchiata seppur ancora bella e ricca di un amore anch'esso mutato e vostro figlio non ha più le sembianze di un fanciullo, si è trasformato in uomo. Un’oasi diversa lo accoglie, uno sfondo dai colori mutati come la tua tela, amica ingegnosa, che cambia immagine e forma ad ogni sussulto della tua anima.

Anche io ho lasciato gli ormeggi, Penelope, lo sai. Navigo a vista, ormai da tempo, in un mare immenso, brulicante di vita meravigliosa e pacificata solitudine. Mi ritengo una donna errante del mio tempo  e, in quanto tale,  combatto quotidianamente contro i miei demoni e le tempeste che questa condizione mi impone. Gli uomini che viaggiano per mare hanno la scorza dura, amica, volta a proteggerli dalle sferzate improvvise di vento e sviluppano una capacità intuitiva tale da permettere loro di prevedere e schivare i pericoli. Ecco, io sto imparando tutto questo. Sono in cammino verso una libertà che assaporo, a tratti , tra una tempesta e l’altra, e sto temprando mente e spirito durante questo fantastico percorso.

Si parte sempre lasciando un “dietro” colmo di luoghi a cui fare ritorno, affetti a cui rendere conto o semplicemente odori e abitudini da dimenticare. Si parte per lasciare qualcosa o qualcuno oppure si parte e basta. Ricerca di un altrove fatto di ALTRO

Mille vite sono in una sola ed è nostro dovere scoprirle tutte

L’emozione a cui non rinuncio è quella del cercare, sperimentare, curiosare, misurarmi in questo  tempo che allontana ed avvicina i traguardi a seconda di quanto sono disposta ad imparare.

Tu, Penelope, sei mai partita per un viaggio che fosse solo tuo? Almeno con la fantasia, sei riuscita a evitare di raggiungere Ulisse nei suoi non luoghi per fuggire in quelli solo tuoi? Ci vuole un gran coraggio. Tu lo possiedi.

In te c’è tutto, in ognuno di noi c’è già tutto: presente e futuro, domande e risposte, uomo e donna, conscio e inconscio. Per una strana alchimia d’immagini, l’idea di partenza contiene in sé quella dello spaziare da un punto all'altro di noi per proseguire addirittura oltre, fuori, al di là dei nostri veri o presunti confini e nulla meglio dell’acqua si presta alla raffigurazione di un tale atavico ed ancestrale itinerario. Il viaggio dentro se stessi è quello che tu e il tuo Ulisse avete condotto, per vent'anni, sulle onde fisiche del mare e quelle figurate dell’anima.

Due modi diversi di percorrere lo stesso cammino, arrivare allo stesso punto, forse. Chissà quale uomo hai ritrovato nel tuo letto dopo tutti quegli anni...

I viaggi dell’anima trasformano i volti, forgiano le forze, assottigliano le priorità e danno nuova luce a ciò che è stato, senza rinnegarlo. Ecco perché è impossibile tornare nei luoghi da cui si è partiti sperando di ritrovarli intatti e immacolati. Essi si saranno trasformati a loro volta, si saranno sporcati della nostra assenza e ALTRO DA NOI li avrà animati. Questo il prezzo dell’andare.

Nulla, davvero nulla, lo dico per esperienza, torna ad essere come “prima” e, per quanto ci si sforzi, l’autenticità risiede nell'accettazione di ciò che un viaggio, desiderato, vissuto o subito, porta con sé. Il NUOVO.

Hai avuto paura nell'affrontare la vita dopo la sua partenza, lo so, ma oggi puoi guardare a te con un rinnovato orgoglio a cui non dovrai mai porre fine. Hai vissuto sola per venti lunghi anni per essere pronta a riaccoglierlo. In quel tempo hai sofferto ma hai cucito, sera dopo sera, la nuova te. Un miracolo di fili colorati e di forme cangianti dalle sfumature più impensate, quelle che t’inventi nella solitudine creativa che amplifica ogni parte dell'essere per poterti davvero aprire e sbocciare. Ho paura anche io, mia cara voce antica, ma ormai non riesco a vivere in altro modo che  non sia questo. 

C’è un momento, cara amica, un momento meraviglioso del viaggio che equivale al cavalcare l’onda più pericolosa del nostro essere in cui ogni cosa appare perfettamente a posto.


Quell'onda è vicina. 



martedì 11 novembre 2014

ULISSE E PENELOPE DEI GIORNI MIEI

Penelope, ti regalo una piccola storia dei miei giorni. Un Ulisse e una Penelope moderni, come ce ne sono tanti.

Il fatto  si ripete con altri nomi, altri volti, altre motivazioni. Ascolta...

Sono lì. L’uno di fronte all'altra.

Il porto è al suo risveglio in una gelida mattinata d’inverno. Il sole è ormai sorto ma i suoi raggi non scaldano ancora e i colori sono quelli vividi di una foto pittorica d’autore. Ogni cosa è ferma e immersa in un silenzio surreale. Persino il mare sembra non voler dare disturbo.

Giorgio ha atteso quel momento scrutando l’orizzonte, suo prossimo compagno di vita, dritto e fiero come un guerriero che si appresta ad affrontare il nemico più atteso. La sua figura si staglia imponente di fronte all'infinito che solo il mare sa raccontare e la sua fronte, solitamente aggrottata, è finalmente distesa e pacificata. Ha avuto il coraggio di scegliere. Per ora gli basta.

La sente arrivare da dietro. Sente il lento rumore dei tacchi che si avvicinano e si fermano a pochi metri da  lui. Non si volta, come faceva in passato per sorprenderla con un bacio a tradimento. Non la bacerà oggi, non è più tempo, ma sa che le sfilerà gli occhiali da sole e la guarderà dritta nei suoi occhi verde palude.

Marta è lì.

Avvolta nel suo cappotto color cammello, strizzato in vita, e coperta da quelle grosse lenti scure, il suo scudo verso il mondo. Ha i lunghi capelli raccolti e un filo di trucco appena accennato. Lo guarda fisso e pensa a  quell'uomo che è stato il suo albero, saldo, fermo, piantato nelle radici di un dolore che un tempo è stato il loro. Per un istante vorrebbe abbracciarlo da dietro e aggrapparsi a lui come si fa con un padre ma non lo fa. Non è più tempo.

Marta si ferma e Giorgio si volta. Intorno a loro il silenzio, davanti il mare immenso.

“Marta” dice lui con la voce ferma ed emozionata al contempo. Lei risponde con un sorriso e si sfila da sola gli occhiali precedendolo.
Giorgio la vede di nuovo bella dopo tanto tempo e la guarda. Dopo tre anni di lontananza, la guarda come si guarda una donna che si ha amato. Quell'istante, fatto di silenzio e di scollegamento dalla vita reale racchiude in sé la possibilità di un avvicinamento puro, scevro da ogni dolore, parola o spiacevole ricordo. Un momento fuori dal tempo, una goccia di splendore.

Non avevano mai più avuto un istante così dal giorno del funerale. Quello è stato l’ultimo giorno in cui le loro anime si sono prese per mano.

È arrivato il momento Giorgio?- chiede lei come a volerne avere la  prova.

- Si. Grazie di essere venuta. Sei la sola che voglio qui oggi- dice Giorgio ma, mentre pronuncia quelle parole, la sua mente vaga nei meandri solitari degli ultimi anni in cui dinnanzi ad ogni richiesta di avvicinamento e condivisione di lei, ad ogni pianto, ad ogni lacrima lui ha sempre solo chiuso, anzi, sbattuto  le porte. I suoi interminabili no vengono ripagati dal si gratuito di lei oggi. Qui, con lui, dietro sua esplicita richiesta.

Lui ha la solita sensazione di sempre “sono lo stronzo delle situazione. Io lo stronzo, lei la buona. Ti prego Dio fa che s’incazzi almeno ora!”

-Sono rimasta francamente stupita della tua richiesta- aggiunge secca Marta con un tocco di aggressività trangugiata.

-Sono tre anni, tre interminabili anni, che ti rifiuti di comunicare con me! Perché ora? Il tuo andare via ti da la forza? Tanto sai che qualsiasi cosa verrà detta ora non potrà avere ripercussioni perché tu non ci sarai. Dove andrai?

Eccola la mia Marta, pensa Giorgio in un istante di riconnessione con la realtà. La donna che non molla, la donna dei perché sviscerati e delle verità snocciolate con impeto: la  stessa che ha amato per gran parte della sua vita, la stessa con cui ha condiviso la grandezza e le miserie di un sentimento che si è sfilacciato, la madre di Clara. La loro meraviglia scomparsa.

In un attimo di commozione estrema la rivede in lei. Clara aveva i suoi stessi occhi chiari e profondi al tempo stesso, la stessa espressione da cerbiatta impaurita: Marta l’ha persa ora. Non ha più paura di nulla ormai. Sopravvivere alla morte di un figlio ti cambia i connotati dell’anima oltre che quelli fisici.

Silenzio. È il mare a rispondere e il sole, che inizia a scaldare, sembra sciogliere la rigidità iniziale. Sono di nuovo loro, con le domande che si susseguono arrovellandosi su se stesse senza risposte e con le lacrime dell’impotenza che solcano i loro volti. Anche Giorgio piange.

Piangono insieme per la prima volta, dopo quel maledetto giorno, tenendosi per mano davanti a colui che metterà distanza tra loro.Il mare. Una distanza cercata da Giorgio e combattuta fino allo stremo ma poi accettata da Marta. Son circa tre anni che Giorgio vive in un'altra casa, non ce l’hanno fatta a reggere ognuno anche il dolore dell’altra: è stato troppo. Quello di oggi, però, ha le sembianze di un vero addio. Un altro. L’ennesimo.

L’elastico che li ha tenuti legati in tutti questi anni sta per spezzarsi e non ci sono garanzie sul fatto che, finito di tirare, le estremità sbatteranno nuovamente l’una contro l’altra e ritorneranno a toccarsi. Lui lo tirerà verso le terre sconosciute del mondo e lei verso una realtà nuova fatta di sé e di chissà cos'altro.

Giorgio parte, fugge, scappa. Marta resta.

-Solo una promessa, ti scriverò- le sussurra all'orecchio dopo averla tenuta stretta un ultima volta per moltissimo tempo.

-Non so se leggerò.


Marta è stordita dall'emozione del distacco che si sta concretizzando davanti ai suoi occhi e non riesce a dire nulla, ogni altra parola si blocca sul fondo di sé. 

Infondo non gli crede. 




lunedì 3 novembre 2014

INTERMEZZO: QUANDO LA SEDIA SCRICCHIOLA

Ascolta, Penelope.

Stasera si va in scena.

Non so davvero cosa sia che mi spinga, ogni sera, a salire su questo palco a tremare d’ansia per la paura di dimenticare tutte le battute. Vuoto pneumatico nella testa, secchezza delle fauci, voce tremula. Perché infliggermi tutto questo? Me lo sono chiesto più e più volte, senza trovare una risposta convincente.

Tutte quelle teste lì davanti a me, nessuna esclusa, devono rimanere in tensione per l'intera durata dello spettacolo ed è mio preciso compito di attrice quello di fare in modo che nessuna delle sedie laggiù scricchioli. Nemmeno una, nemmeno per un secondo. Un compito difficilissimo, il mio.

Tutte quelle teste d’improvviso, con il calare del buio in sala, si trasformano in un'unica figura enorme e abnorme lì davanti a me: lo spettatore. Lui, solo, imperante e giudicante. Occhio che penetra l'anima. La mia.

-Sono qui per te, mio spettatore.

-Sono qui per la storia che saprai raccontarmi.

-Chi sei tu che esci di casa in questa fredda sera d’inverno per venire a sedere su quella scomoda seggiola laggiù, al buio ?

-Sono un abitante della vita, esattamente come te.

-Io sto di qua, però, e mi mostro. Io sono il soggetto fotografato.

-Io sto di là invece; mi nascondo, osservo e colgo se c’è da cogliere. Sono il tuo fotografo.

-Già, ti nascondi, non rischi nulla a startene lì celato nel buio e chiuso nel tuo silenzio. Io mi gioco tutto. Sono esposta lì sotto i riflettori e i tuoi occhi puntati addosso mi fanno sentire come sotto esame.

-Sei tu a percepire una tale pesantezza nella tua posizione; non è responsabilità mia. Io non faccio altro che stare dall'altra parte a guardare e cogliere. Stop.

-Lo so, non ricordarmelo. Cos'è,  ti prego dimmelo, cos'è che ti impedisce di annoiarti e fare scricchiolare quella sedia?

-Davvero vuoi saperlo?

-Certo. E’ il mio più pressante interrogativo.

-Le ali.

-Come le ali?

-Il soffio, il vento: io, da questa prospettiva fatta di silenzio e  buio, percepisco se indossi le vere ali dell’anima o, se invece, semplicemente fingi. Se ti spuntano le ali, ed io sono in grado di vederle con chiarezza, tu vibri e allora non dimentichi le battute perché esse sono la tua vera voce e le tue fauci non conoscono secchezza perché ti abbeveri naturalmente alla sorgente della tuo spirito per andare in scena.

-Cosa accade, invece, quando non ho ali ?

-Io mi annoio a morte e inizio a muovermi indistintamente sulla sedia facendola scricchiolare. Tu da lassù mi senti e si spezza l’incantesimo: il filo tra il tuo corpo e il tuo spirito è reciso e delle ali neanche il soffio lontano.

-Che tragedia, mio spettatore!

-Hai ragione. E’ come se non ci fosse tempo: nessun tempo per sognare, ricordare, sentire. Inutile stare qui.

-Questo è il cuore del mio mestiere. Regalare tempo per sognare, ricordare, sentire. Tempo per fotografare ed amare.

-Ora hai capito perché sali lassù ogni sera?

-Ho capito che senza ali non si vive e nemmeno si respira. Salgo qui sopra ogni sera per poterle indossare, anzi no, per sentirle spuntare dentro me. Per te mio caro spettatore.


Accomodati e goditi lo spettacolo!