mercoledì 28 maggio 2014

ANIMA FEMMINA

Le cose ti ripiombano addosso sempre per una ragione; ti mettono alla prova, ti danno la misura di quanta strada hai percorso o è ancora da fare, ti segnalano la prossima via da intraprendere.

Coazione a ripetere degli eventi. Accadono sempre maledettamente uguali nella forma ma percettibilmente differenti nella sostanza.

Rivivi sguardi, situazioni, scene che hanno sapore della vita di un tempo: un vecchio film rivisto con i colori dell’oggi e scopri che, improvvisamente, non fa più tanto male.

Questo piccolo miracolo accade quotidianamente srotolandosi nell'ordinario delle giornate oppure, in modo più macroscopico, nel frangente di un sogno o di una giornata particolare. Poco importa il come: l’importante è l’impatto che un tale accadimento ha con l’anima. La tua.

La mia, Penelope.

Riuscire a reggere con una certa naturalezza ciò che un tempo credevi insostenibile  ti da la misura di chi sei diventato, così come riabilitare il passato e le persone che lo hanno nutrito riscatta innanzitutto te stesso.

Mi reputo una donna che ha raggiunto traguardi importanti “impastandomi” con la vita stessa. Un giorno sono caduta da molto in alto rompendomi quasi tutte le ossa, comprese quelle del collo. Il mare in cui ho nuotato, e tutt’ora nuoto, è spesso agitato e in tempesta ma, nel tempo, ho sviluppato una certa resistenza al freddo e una indiscussa abilità nella lotta con i grossi pesci voraci dell’oceano tanto che approdo sempre in qualche porto. Una volta lì, non torno indietro. L’orizzonte e l’avanti sono le sole direzioni possibili per vivere senza limitarsi alla mera finzione e al rimpianto sterile.

Te ne accorgi quando incontri qualcuno che è inzuppato nella finzione: è liquefatto come un biscotto dimenticato in una  tazza di latte; è molle  nello sguardo e, benché ci dia dentro come un pugile con le parole, soccombe nel suo vissuto con triste rassegnazione.

Sì. Sono loro i finti, gli inautentici. Quelli che bla, bla, bla: affermano con arroganza le loro verità ma poi non vanno oltre con le azioni e con i gesti. Mancano di proiezione verso il futuro, di spinta energica, non osano, non sbagliano, non si contraddicono; restano attaccati alla consuetudine del “si deve” e “non si deve”, o peggio ancora, del “si sarebbe dovuto”. Non si sporcano mai le mani e, se lo fanno, occultano attentamente le prove senza lasciare traccia dietro sé.

Tu, amica, sei stata capace di fingere in passato. Lo so, ti ho conosciuta già allora, ti ho osservata e so cosa significa perché l’ho fatto anche io, per molto tempo. Non ti senti mai bella quando fingi: è come indossare i vestiti di un’altra donna.

Chi non finge, invece, è meno cauto. S’inciampa in mezzo ai rovi dei fuoriprogramma e degli imprevisti perché non procede per calcoli. La sua dote risiede nel trovare soluzioni non inscatolate, per ovviare all'inatteso. Già, perché la vita è un susseguirsi di eventi, accidenti, meraviglie o disgrazie del tutto imprevedibili e non pronosticabili.

Da qui nasce la bellezza del genere umano e delle donne come te.

La bellezza di chi è autentico è data dallo sguardo che non svia, non dirotta altrove: è lì sul pezzo, consapevole, energico, emotivamente presente.

Oggi sei una donna bella, Penelope.  Ulisse ti ha attirata a sé scrutando nei  tuoi occhi intelligenti ed entusiasti , annusando la tua sapienza di femmina, di un certo genere di femmina  che odora d’intelligenza e acume emotivo,  non necessita di fronzoli o artifici ma a cui è sufficiente un gesto per raccontare quanto basta di sé.

Ti ho attirata a me perché in te ho visto fermezza e contraddizione, luce e ombra, amore e odio. 

Le discordanze ci rendono belle, amica mia, la gioia caotica e non l’utopia della perfezione; quest’ultima blocca il processo del bello, lo castra, gli toglie luce, slancio e naturalezza.

Oggi sono dalla parte del bello che brulica di antinomie e incongruenze, dell’autentico che nasce dall'incoerenza del vivere e delle femmine come te. E me.








lunedì 19 maggio 2014

IL TACCO AIUTA!

Penelope quanto è varia questa nostra umanità.

In questa fase della mia vita sono aperta al nuovo, all'inconsueto, al diverso da me: sono una bambina alla scoperta del mondo, un raggio di sole che illumina ad intermittenza colori sgargianti e figure inconsuete, un’anima che apre il dialogo tra nature provenienti da pianeti opposti.  Adoro unire e legare le storie delle persone, mischiarle tra loro ed assistere a ciò che ne viene fuori: osservo gli attori, li studio e ne colgo sfumature e fragilità. Questa azione aggregante dona linfa al mio egocentrismo e al mio spirito di condivisione. Un po’ demiurgo, un po’ animatrice sociale.

Chiunque, sradicato dalla propria consuetudine o dal proprio ambiente e posto a contatto con persone nuove e diverse, racconta di sé molto più che se lasciato a giacere comodamente nella propria culla. Siamo sempre lì: usciamo dal comfort e conosceremo la nostra vera natura.

Uscire da se stessi non significa solo frequentare ambienti diversi o imbattersi in nuove occupazioni: uscire da sé equivale anche sradicare le abitudini, sperimentare nuove dinamiche di pensiero o comunicazione, adottare strategie di sopravvivenza nel caso non lo si fosse mai fatto o, viceversa, decidere di non volersi affatto difendere. Le modalità per giungere al centro di nuove consapevolezze o modi di essere sono svariate. Nulla si decide a tavolino se si apprende l’arte dell’ascolto di sé: ogni nuovo movimento sgorgherà naturalmente da noi con un impeto tale da non poter essere ignorato.

La consapevolezza della mente ti conduce negli archivi della vita, là dove la sapienza è ben catalogata e suddivisa in faldoni: basta attingere a quello giusto. Sto comprendendo che ci sono luoghi dentro di noi, o poco al di sopra, in cui le risposte sono chiaramente scritte. Basta volerle leggere e decifrare.

Per anni, Penelope, ho cercato le risposte fuori da me. Le cercavo in mille luoghi incredibili e mutanti, primo fra tutti, gli occhi degli altri. Tu non le hai mai cercate negli occhi di Ulisse? Io l’ho fatto per molto tempo riducendomi a pensare che l’unico cervello pensante sulla terra fosse il suo. Non commettere lo stesso errore amica! L’amore per lui non c’entra nulla in questo discorso. Ciò che conta è il rispetto e la stima che  nutri per te stessa.

Che pazzia quella di riporre in altri domande e risposte senza passare dal via: tu sei la sola partenza e l’unico traguardo. L’altro può solo decidere di correrti a fianco ma le gambe su cui contare sono le tue. Ecco perché oggi adoro correre: posso fare affidamento solo sulle mie gambe e sul mio fiato.

Interroghi quell'archivio fatto della materia stessa del tuo essere e dell’essenza del mondo, raggiungi con la mente i luoghi desolati dell’inconscio e ti metti in ascolto.

Ascoltarsi amica mia è come ascoltare il mare, tu sai cosa significa.

Ti vedo assorta, affacciata alla tua finestra intenta ad interrogare quell'immensità d’acqua inquieta di fronte a te, chiedi e attendi pacifica una risposta che è già dentro di te. Se così non fosse stato, vent'anni di attesa sarebbero stati insopportabili, inaccettabili. Tu sapevi in cuor tuo e sei andata avanti costruendo la tua esistenza attorno a quella certezza.

Quanto invidio la tua fede.

Non so se la tua è stata davvero vita o l’appendersi ad una speranza; in ogni caso la spirale dell'attesa si è chiusa e a quel punto hai ricominciato a respirare.

Ogni giorno anche io nasco e muoio attaccata alle mie convinzioni e al frutto del mio ascolto, talvolta ingannevole. Rinasco in mille modi, partendo dal profondo e arrivando fino su in superficie o viceversa: le direzioni sono interscambiabili, l’importante è percorrere le strade nella loro interezza.

Sai oggi da dove riparto? Da un tacco dodici infilato sotto i jeans con finta nonchalance per andare in ufficio.

Wow! Che frivolezza, dirai tu.

Neanche un po’ per una che sempre creduto di sembrare ridicola mostrando una femminilità troppo accentuata e che ha temuto di mostrare il lato aggressivo e potente di sé soprattutto all'universo maschile. “Se sono troppo forte ti perdo” ho sempre pensato.

Il tacco alto ha infinite valenze per una donna: oggi per me ha quella del potere dell’affermazione della verità, dell’andare contro, se necessario, anche a costo del conflitto e della perdita.


Con quei tacchi rinasco stamattina, un po’ più stronza, sicuramente più sola, ma vestita della vera me.





lunedì 12 maggio 2014

CHI SONO GLI AUDACI?

Ci sono azioni o parole che sgorgano libere, fuori dal controllo della nostra mente pensante. Stefano Sgambati esordisce, nel suo ultimo romanzo, dicendo che ci sono alcune cose che "vogliono essere dette”.

Non solo di parole si tratta ma  di tutte quelle manifestazioni di gioia, d’ira o di sentimento che ci fanno compiere un passo in là, al di fuori del sentiero sapientemente tracciato da noi stessi. Gesti senza calcolo, partoriti senza un fine. I cosiddetti “passi falsi”, chissà poi perché “falsi”. Rispetto a cosa? Ad un programma di vita o di comportamento da tenere in determinate circostanze?

“Ci siamo lasciati, allora devi sparire dalla mia vita come se non fossi mai esistito” oppure “Avevamo deciso di andare al mare ed ora non possiamo smontare tutti i programmi per decidere di andare in montagna” o ancora ”Vorrei cambiare lavoro perché quello che faccio non mi rappresenta affatto ma non si fa una pazzia del genere in questo momento storico, non alla mia età poi”. Gli esempi sarebbero davvero infiniti.

Sembriamo macchine da guerra programmate per scopi univoci, per far soldi, per procreare, raggiungere e oltrepassare i propri limiti o amare le “persone giuste”, quelle che, almeno in apparenza, combaciano con la nostra natura. Algoritmi d’amore e di vita perfettamente vissuta.

Non ne posso più, Penelope, di tutto ciò che è corretto, degli schemi logici e della coerente programmazione. Sostare nei ranghi dovrebbe proteggere dalla sofferenza, lo crediamo tutti per un po’, mentre uscirne ti rende fragile, ti scopre la pelle, ti pone alla “mercé” del mondo. Perché la vita, lo sai anche tu dolce amica, è davvero altra cosa dall'esistere.

Dal basso dei miei quarant'anni urlo ad alta voce che la vita è bruciarsi il culo, un giorno dopo l’altro, come quando dici un “ti amo” dopo anni che non lo dicevi o come quando prendi decisioni impopolari ma profondamente tue. Può andarti bene come male.

Sei stato tu lì, in quel momento, a raccontare la tua verità, spogliata di ogni paura o falso mito, tu e il tuo sentire. Questo ti basti.

Questo ti deve bastare per vivere davvero. Tutti esistono e tutti stanno al mondo ma pochi, seppur siano in lieve aumento, escono dal proprio micro cosmo per spalancare le porte dell’anima e del cuore. Viaggiare aperti, trasportati da una corrente di fiducia e consapevolezza, uscire da quella dannata zona di comfort dove tutto è neutro e grigio ma così maledettamente certo e sicuro.

Qual è la tua zona di comfort Penelope?

Itaca, la tua tela, il tuo mare, le braccia del tuo uomo o nulla di tutto ciò. Un solo luogo, un solo lavoro, un solo amore, una sola vita da madre. No.

Sei stata per anni nel tuo comfort con Ulisse, nel tuo mondo incantato, e poi ne sei dovuta uscire: la tela che ordisci  è uno stratagemma che hai cercato per non dover abbandonare del tutto la tua zona comoda ma è, allo stesso tempo, una forte azione di coraggio, una strada contro le regole e l'irreprensibilità.

Brava amica, ora ti abbraccio: se tu fossi qui batterei sul palmo della tua mano!

Andare oltre quella zona è contro natura, ti strappa dalla tranquillità acquisita in anni e anni, ma è nostro dovere farlo perché vivere è un’esperienza per  audaci.

Non credere che l’audacia appartenga unicamente al tuo Ulisse e a chi, come lui, compie gesta memorabili che verranno ricordate nel tempo.

Audace è ugualmente colui che resta, amando in silenzio, e da lontano, fidandosi nient’altro che di se stesso.

Audaci oggi sono le donne che dicono “basta”, gli uomini che sanno anche piangere, i lavoratori che lottano per un diritto e tutti coloro che usano l’intelligenza per dire o non dire, per denunciare o, viceversa, farsi carico di ogni responsabilità.

Io sto dalla loro parte e mi coloro di tutti i colori dell’arcobaleno: il blu creativo, il giallo selettivo, il verde energetico, il rosso  passionale e vitale, il viola trasformante.

Con un respiro profondo anniento il grigio e il nero imperanti, cupi e ansiogeni e prego, nel profondo, per il più audace di tutte le categorie umane, colui che dice “ti amo” a chi l’amore nemmeno sa cos'è.










martedì 6 maggio 2014

CAMMINI

Se scrivere è lasciar andare via qualcosa da me che mi permette di far spazio dentro liberandomi dagli strati inutili del mio essere, confrontarmi con la mia amica di sempre, mia sorella vivente, mi riempie di spunti innovativi e possibilità inesplorate, anche solo mentali.

Ho bisogno di condividere e dare aria a ciò che rimugino in solitudine, per giorni, nel vano tentativo  di sentirmi finalmente forte. Ma parte della forza risiede nella messa in comune.

C’è un gran bisogno di condivisione in giro.

In una piovosa sera di aprile,  sei donne che appena si conoscono, sedute in cerchio sul pavimento di una palestra  yoga, si raccontano le une alle altre. Si dovrebbe parlare di dipendenze ma la serata imbocca la sua originalissima via. 

Dolori e risate vengono gettate in un falò immaginario.

Dopo pochi istanti, il calore del fuoco diventa percettibile e rende l’avvicendamento dei racconti  naturale e scorrevole.

Sei donne che incarnano, per età e stile, sei modalità distinte di essere donna: un mondo complesso e variegato il nostro che non cessa di stupirmi per la sua capacità di reinventarsi un posto nel mondo anche dopo le peggiori esperienze. Capacità d’introspezione e sfrontato utilizzo dell’autoironia costituiscono il vero potere del nostro genere.

Un giro, un soffio di ognuna.

La donna bella e intelligente inesorabilmente sofferente per l’amore di un lui,  forte e sicuro nella scelta di lasciarla ma altrettanto debole e ambiguo di fronte all'inaspettata autonomia di lei. Una storia di tira e molla, di “padroni” che allentano e ritirano il guinzaglio a sè. Lei, consapevole di ogni dinamica di dipendenza tra loro; lui affatto. La classica situazione tanto facile da leggere quando sei al di fuori quanto dolorosa da gestire quando è il tuo cuore, in prima linea, a vivere quel massacro.

L’ho compresa in profondità.

La donna di mezza età che finalmente si riapre ai sentimenti. Tre anni di lettere, di scambi, confidenze che, sebbene virtuali, le smuovono qualcosa dentro, le fanno sentire, dopo tempo immemorabile, le farfalle allo stomaco e risvegliare i sensi. Dall'alto dei suoi bianchi capelli, racconta ogni dettaglio ridendo, di un riso amaro e triste. Finalmente si incontrano, nel paese di lui,  ma quest’ultimo, senza preavviso e con una banale scusa, scompare all'appuntamento successivo. Il  sorriso nervoso di lei, quella sera, si ostina a voler conservare il buono, il bello, il salvabile di un’esperienza affettivamente rivitalizzante.

L’avrei abbracciata.

La donna schiava del proprio lavoro e di una titolare ossessionata dalla performance dice “basta!” e si licenzia, dall'oggi al domani, senza avere una opportunità alternativa. Ama se stessa più di qualsiasi certezza perché sa che rimanere in quella situazione significherebbe ammalarsi. In lei ho adorato la forza e la fiducia nelle proprie competenze e capacità oltre che una smodata speranza nella vita che “per forza se fai spazio dentro di te al nuovo, ti porterà verso il nuovo”.

L’ho ammirata in silenzio.

Lo spirito guida della serata è una donna un po’ al di sopra delle parti, l’unica che conoscevo. Con lei condivido empaticamente una storia di separazione, figli in crescita e difficoltà nel ricostruirsi una vita da sola dopo innumerevoli anni in coppia.

Ho sentito ogni sua parola d’incoraggiamento come frutto di un’esperienza palpabile e viva: il suo apporto ha fatto da collante a tutte le nostre storie.

Infine c’è stata lei. Il suo intervento mi ha destabilizzata.

Sembrava non avere nulla da dire e invece esordisce così “io, a differenza vostra non ho nulla o nessuno da cui devo liberarmi, ho scelto la solitudine. La mia è stata una scelta consapevole!”

“Tu scegli la mia più grande paura!!” ho detto incredula.

Poi ha raccontato il perché di una scelta tanto drastica ed ha anche aggiunto che le è costata “tutto” ma non poteva fare altrimenti. Inutile dire  che solo un dolore immenso può condurti verso certi lidi. Ora sta facendo un percorso al contrario: vuole re imparare ad avere delle relazioni perché, per troppi anni, ha avuto se stessa come unico rifugio e ne è uscita avvizzita, come una pianta bisognosa d’acqua.

Lei mi è rimasta dentro. Più di chiunque altra.

L’ho re incontrata qualche sera dopo ad una conferenza in libreria. Lei incarna ciò che più mi terrorizza e mi ricompare davanti due sere di fila, non può essere un caso. Non lo è. Da lei ho molto da imparare.

Ci vuole coraggio, Penelope, per compiere una scelta al contrario, muoversi controcorrente rispetto a quel “ luogo” dove tutti credono di essere arrivati.

Dico ciò perché siamo in tanti a credere di essere giunti ad un livello sano di vita relazionale, ma è davvero così?

Non so come sia stato per te sorella. Io ho il dovere di guardarmi intorno per sentire che siamo in tanti su questa via della ricostruzione dalle fondamenta e, allo stesso tempo, ho la necessità di ripercorrere, come lei, alcuni cammini al contrario per giungere al centro vero di me stessa.

Per farlo bisogna liberarsi o riappropriarsi necessariamente di qualcosa. Ognuno ha il suo fardello da gettare nel fuoco e da purificare.

Grazie a queste donne per aver deposto i loro doni e grazie a lei per la paura che ha suscitato in me.