martedì 16 giugno 2015

INTERMEZZO: L'IDENTITÀ DI UNA TELA

Ho conosciuto una Penelope moderna. 

Anche lei tesse una tela ma, a differenza tua, inserisce nella trama del suo telaio una serie di filati composti non solo di fibra ma anche di natura, parole, carta e tanto silenzio. Lavora sola, in una bottega nel centro della mia città, accompagnata dalla sua passione artistica e dall'incessante battito del suo telaio. Entrando nel suo angolo di mondo ho messo piede anche nel tuo Penelope, sono entrata in contatto con il telaio, un oggetto antico quanto misterioso e colmo di un fascino senza tempo davanti al quale ho provato vero incanto.

La tua figura ritorna, Penelope, in modo prepotente, accanto a quella di altre donne che fecero della tela la loro ragione di vita. Il tuo nome è di dubbia etimologia ma non ha importanza; ora so bene chi sei e cosa rappresenti per me. Il tuo lavorio silenzioso e misterioso ha accompagnato le mie battaglie fatte di vittorie e sconfitte, la tua calma paziente ha osteggiato il mio impeto rivoluzionario e spesso i fili che tu hai riannodato e poi sciolto hanno regalato alla sottoscritta momenti di pura libertà. Sei una donna che resta accanto nel suo silenzio laborioso. Mai come oggi riconosco il valore del “fare”, dell’occupare le mani o l’intero corpo e non solo la mente. Il fare è sinonimo di costruire sottintendendo un impegno attivo e concreto. Ecco tu mi hai insegnato questo, Penelope, a non accontentarmi dei miei voli pindarici ma ad ancorare i sogni alla realtà fatta di tutto, comprese quelle contingenze talvolta così fastidiose. Senza il disfacimento dei nodi la creazione del nuovo non potrebbe avvenire così come senza le trame ben sistemate l’ordito non può assumere la sua perfetta forma.

Torni e ritorni Penelope nei miei incontri e per le strade del mio girovagare artistico.

Il tuo nome è donna e la tua presenza, desiderata ed odiata, è costanza, certezza, riparo. Da te ho imparato l’arte della costruzione e della decostruzione, con te ho esercitato la mia vocazione alla libertà e per te ora preparo la mia tela fatta dei colori di un’anima che oggi possiede un'identità.

Mi hanno rubato alcuni oggetti nei giorni scorsi che credevo simboli necessari alla sopravvivenza del mio essere. La loro perdita mi ha fatto traballare, in preda alla fragilità, ma poi ho capito che l’identità, se ben radicata, è un fiore che sboccia dentro a dispetto di qualsiasi intemperia e resta vivido e integro anche sotto la neve o in mezzo alle fiamme. Il mio fiore è vivo e colmo di colori più che mai e tu hai contribuito a tenerlo in vita in questi anni. Di te si dice che non hai avuto identità se non quella del tuo Ulisse mentre io sostengo che la tua pazienza ha generato una energia forte e gioiosa che ha pervaso il tuo mondo e anche me nonostante tutte le perdite verificatesi lungo il cammino.

La tela che si crea e poi si disfa è l’immagine dell’anima di ognuno di noi che con fatica cerca di essere fedele alla sua natura senza cedere ai compromessi imposti dall'esterno. Quei fili annodati e poi sciolti cosa sono se non le esperienze di noi umani che quotidianamente ci imponiamo nel tempo di veglia? Una serie di regole e modalità di comportamento sempre e inevitabilmente riletti e capovolti da quel saggio maestro di vita che è l’inconscio. Lui è lì vigile, si palesa nei nostri sogni o nei nostri viaggi ad occhi aperti e ci mette in contatto con la nostra nudità e verità. E allora sì che la tela chiede di essere sciolta e poi ricreata dolce Penelope di sempre. Essa chiede di essere rimodellata sugli impulsi di un’immagine o di un volto che si affacciano nel momento più inatteso lanciandoci messaggi inequivocabili. Nessuna tela può rimanere intatta o invariata troppo a lungo senza rischiare d’incancrenirsi e sbiadire: essa si modifica giorno dopo giorno, risveglio dopo risveglio. Tu l’avevi compreso per prima. Tutti noi ti abbiamo tacciata di lentezza, inganno e stratagemma ma tu Penelope, nel silenzio di quelle notti, svelavi a te e al mondo i segreti incantati di quella parte sotterranea che aleggia in ognuno di noi.

Sei veste e nudità, alba e tramonto, luce ed ombra, intreccio e scioglimento.

Il filo che conduce la trama di una vita è colmo di intrecci che intessiamo in modo più o meno consapevole e di cui siamo responsabili sino al momento in cui decidiamo di reciderli o riannodarli ad altri. Tagliare è l’operazione più difficile e complessa, richiede sforzo, presenza a se stessi e moltissima forza. Tagliare è un’arte che non possiedo ancora ma che inizio a ritenere necessaria soprattutto in presenza di nodi che non si sciolgono. Se non li si guarda prendendone le distanze non si ha modo di comprendere l’ostinazione dura di quegli avvitamenti che creano matasse inutili. Sbarazzarsi di un filo, prezioso o meno, è dunque un atto di viltà o semplice pura sopravvivenza?

Non ho ancora risposte certe ma so che giungeranno a me in una notte inaspettata.

Sei la mia immagine più fedele e la mia musa quieta e raccolta alla quale posso accedere nei momenti felici e in quelli di sconforto. Mi siedo accanto a te lasciando fuori tutto il resto e mi dedico con amore laborioso al mio progetto che altro non è se non la confezione della tela.

Il mio lavoro sarà bello e valorizzato dalla vicinanza di quelli altrui: un intreccio di intrecci unici e a se stanti che formeranno naturalmente un tappeto vitale su cui correre e, allo stesso tempo, poter riposare.


Grazie amica fedele.


domenica 7 giugno 2015

ANNA: LA RIPARAZIONE DI UN DOLORE

Domenica sera.

Vengo invitata alla festa del sessantesimo compleanno di una donna straordinaria per intelligenza, cuore e apertura spirituale ed emotiva. Come spesso accade, anche se non sempre, le belle persone ne attirano a sé altre ugualmente belle e così mi ritrovo seduta al tavolo con una delle sue più care amiche, Anna.

Anna ha una decina d’anni in più di me, una figlia di 26 anni e un ex marito che, quando la figlia era molto piccola, ha deciso di andarsene di casa. Ma nonostante ciò, lei ride.

Anna ora gestisce, in mezzo a mille difficoltà, un’attività commerciale assieme alla figlia per darle un appoggio e assicurarle un futuro fatto di qualche concretezza. Sgobbano insieme da mattino a sera dietro al bancone di un bar. Per poter stare accanto alla figlia, Anna si allontana dalla sua adorata casa in bassa montagna e si trasferisce in città barcamenandosi tra l’alloggio di lei e quello di un ex fidanzato molto generoso e ancora amico.

Anna ha la luce dentro. La percepisco da subito e il confronto diretto con lei non fa altro che dare corpo a quella che inizialmente è stata solo una sensazione. Ci sono persone al mondo che sembrano conservare dentro un posto tutto loro che viene riempito costantemente di energia positiva pronta per essere poi generosamente dispensata. E’ una donna forte questa Anna e tale forza passa attraverso la piena responsabilità di se stessa e della propria  vita. Ogni elemento del suo vivere poggia sulle sue spalle. E basta.

Anche lei, come sua figlia, è stata vittima dell’abbandono da parte di un padre. Uno di quegli uomini che ad un certo punto smettono di esserci, si voltano dall'altra parte e prendono il largo. Uomini che “chi li vede più” e ferite che restano, ineffabili, sulla pelle di coloro che restano.

Una madre e una figlia che languono dello stesso dolore. Si tengono per mano e, nonostante tutto, ridono cercando insieme una strada per spezzare questa catena maledetta. Hanno in programma un week end formativo per cercare di andare all'origine di quel dolore profondo che le accomuna e, di nuovo insieme, tenteranno di trovare le forbici per tagliare quel filo che le lega incessantemente ad esso.

Quel dolore è un trauma e certe fratture possono provocarne altre ancora più profonde se non si trova la forza d’interrompere la maledizione. La catena va spezzata e in fretta.

Nel frattempo infatti, quel male inizia a fare danni più evidenti e meno contenibili nelle sole lacrime. Tre anni fa, Anna si ammala di cancro. Un cancro al seno. Il male di molte donne. Anche quello di mia madre.

Anna mi racconta della sua operazione che l’ha devastata come donna e le ha sensibilmente ristretto l’utilizzo del braccio destro. La sua splendida autoironia le permette di scherzare sul suo essere una donna “monotetta” ma quando si tocca la sfera della ridotta mobilità del suo braccio, Anna si arrabbia. Moltissimo.

La malattia, dice lei, ti costringe a guardarti dentro, a cercare l’origine della frattura, unico punto di partenza e risalita verso la guarigione. Se non ripari l’anima dalle viscere per poi risalire in superficie, il male sarà sempre lì ad assalirti e a ricordarti che non hai ancora concluso il tuo compito. Non ti lascerà in pace. C’è un motivo se siamo qui su questa terra e nessuno arriva a comprenderlo senza passare attraverso la “riparazione” del proprio dolore.

Anna non è una donna statica. Non sta ferma, non è in balia di chi le dice che esiste un solo modo per curarsi:la medicina tradizionale, i protocolli fatti di chemioterapia, radio e tamoxifene non fanno per lei. Studia, legge, interpella medici tradizionali ed olistici, frequenta corsi di autoipnosi e meditazione ma soprattutto si informa con pazienza e determinazione. Incontra medici ostinati che la minacciano di recidiva certa se non peggio ma lei, prendendo tutta se stessa sulle sue stesse spalle, dice No grazie!

Faccio a modo mio, curo la mia anima, riparo il mio dolore e il mio tumore guarirà con me.

Anna è una donna di coraggio. Lo è perché le cose che lei dice  e poi mette in pratica fanno paura a lei per prima. Coraggio e paura vanno di pari passo, sempre.

La sua intelligenza la conduce verso i lidi di una alimentazione più sana e una costante attività fisica che l’hanno resa invidiabilmente più bella, energica e vigorosa. La sua pelle è luminosa, depurata, pulita così come il sorriso. Ha i suoi segreti mattutini che non svelerò certo qui, grazie ai quali, anche le sue analisi del sangue sono sensibilmente migliorate ma soprattutto da tre anni il terribile mostro non ha più messo piede nei risultati dei suoi esami di controllo.

Anna è diventata, come dice lei, il medico di se stessa. Io dico che ci vuole sempre un gran coraggio nel muoversi scardinando l’ordine prefissato delle cose. Quando si tratta di malattia, la nostra, il tasso di coraggio viene centuplicato perché si ha molta più paura. Paura di morire.

Anna, come il nome che ho scelto per raccontare di lei, è il simbolo di un mondo femminile minoritario, un microcosmo che pulsa sotto i sorrisi e gli smalti ai colori della moda in cui molte di noi si compiacciono e riconoscono.

Anna è il simbolo di chi procede guardando dritto in faccia la verità, senza farsi sconti sull'avvenire e mettendo in gioco una posta molto alta. E’ la rappresentazione di un femminile intelligente e forte che si fa interamente carico della propria esistenza e lo fa a prescindere dalla presenza o meno di un uomo accanto. La vera natura di ognuno di noi ci vuole soli a questo mondo e capaci di restare in noi seppur circondati di amore immenso.

Anna, in tutto questo, non ha un uomo accanto a sé ma anche di questo sa ridere con scanzonata autoironia. 

Non so quale possa essere l’origine profonda del suo male interiore ma so di certo che lei è arrivata al punto centrale di quel dolore con ostinata ed instancabile determinazione voglia di autenticità. La sola che oggi le permette di aver fede in se stessa e nella sua difficile scelta che porta avanti contro tutto e tutti. Il suo sguardo è quello di una donna libera ed integra: non vive di bisogni che sono il fulcro di ogni fallimento.

Chi sa scegliere fa paura. 

Chi sovverte gli ordini precostituiti siano essi famigliari, sociali o di altro genere, crea scompiglio e smuove le coscienze di tutti anche di coloro che vorrebbero che il fiume non entrasse mai in piena. E le coscienze smosse, tutte insieme, sono in grado di creare energia vitale.

Torno a scrivere, Penelope, dopo giorni di imposto silenzio perché sono stata derubata, in casa mia, di molti oggetti di valore tra cui il mio strumento preferito di scrittura, il mio personal computer. 

Questo silenzio, seppur indotto, mi ha fatto del bene, ha ripulito il flusso delle idee e delle emozioni.

La storia di Anna mi è parsa il modo migliore per tornare da te, dea del mare e dei miei sogni di donna.

La storia di Anna parla di te, di me e molte altre. Ma non di tutte.