martedì 26 novembre 2013

ANGELO DI FINE ESTATE

E’ fine agosto. Sono su un treno di ritorno dalla Liguria dove ho trascorso qualche giorno di vacanza con un’amica.

Salgo sul treno con il mio solito bagaglio esagerato e mi siedo accanto a due donne. Loro si conoscono e parlano distrattamente insieme. Una delle due è assonnata, l’altra ha lo sguardo vispo e sorride. Mi siedo lì.

Mi accomodo e inizio a sfogliare la mia rivista di moda comprata per dare spazio alle ultime frivolezze vacanziere.

Ad un certo punto la guardo: quella donna attira la mia curiosità per i suoi modi gentili. 

Guarda il mare, come me. Lo saluta con gli occhi, gli stessi con cui un istante dopo mi sorride.

Iniziare a parlare con lei è stato naturale e lieve. Ci siamo raccontate le nostre esistenze in quattro ore di viaggio dando ragione al luogo comune che descrive gli sconosciuti come esseri "facilitati" nel raccontarsi gli uni agli altri.

Io e lei siamo state questo. Ci siamo riconosciute.

Quella donna ama la Francia e la lingua francese. Io ho una laurea in francese e ho trascorso molte estati sulla bellissima Costa Azzurra, dove lei ha una casa meravigliosa a picco sulla scogliera . Quella donna ama l’arte e dell’arte ha fatto la sua vita. Viaggi e studio hanno caratterizzato il suo percorso professionale e privato. Io mi avvicino all'arte, in particolare moderna, in questi ultimi anni; ne sono attratta. Frequento le mostre e mi documento per capire, per entrare in un mondo fino ad ora estraneo. Come estraneo, o poco meno,  mi è il mondo: ho viaggiato troppo poco nelle mia vita e lei, con i racconti dei suoi viaggi, mi ha fatto volare.

Parallelismi. Non è un caso. Lo ripeto incessantemente dentro di me.

Ha la stessa età di mia madre e ha una figlia mia coetanea che sta per mettere al mondo un figlio. Un bambino a quarant'anni anni, un mio pensiero ricorrente senza averne il desiderio consapevole.

Lei è la donna che vorrei essere tra trent'anni. O almeno le somiglia. Voglio invecchiare allenando la mente con la curiosità per tutto ciò che ancora non conosco e quella sete di vita che leggi negli occhi di certe persone affascinanti. Avere fame di esperienze ti permette di brillare di luce propria. Non necessiti di altro.

Voglio brillare di luce mia.

Il nostro dialogo s’infittisce tanto che l’altra, sua cognata , finalmente si addormenta.

Proseguiamo la nostra maratona di parole.

Scopro che anche lei ha vissuto una frattura nel suo passato. Appartiene alla schiera delle donne che hanno un prima e un dopo. Un divorzio difficile con un uomo potente, uno di quelli che ti manipolano la mente. Io una separazione sofferta dall'uomo a cui avevo erroneamente delegato ogni cosa.

Questo angelo di donna ha toccato le mie giuste corde, quelle  che dovevano essere suonate in quel preciso istante: le corde della ritrovata fiducia, della forza e del coraggio.

E’ possibile superare qualsiasi dolore e andare avanti. E’ possibile ritrovarsi donne nuove a quaranta, cinquanta o più anni, colme di  progetti e stare semplicemente bene.

Anche lei è stata sorretta e aiutata nel suo periodo buio.

“Dai forma, colore , dimensione e posto al tuo dolore”, le è stato suggerito come stratagemma verso la guarigione.

L’ha fatto. Non scriverò qui la sua risposta ma la mia.

La mia risposta ieri:

“un mare immenso, profondo e blu”

La stessa domanda le è stata rivolta tempo dopo e posso dire che la sua visualizzazione non solo era diminuita di grandezza ma era addirittura scomparsa dalla stanza. Il dolore era finalmente uscito da lei.

La mia risposta oggi:

“un ruscello cristallino di montagna che scorre ancora senza sosta”

L’acqua, prima o poi, arriverà a prosciugarsi.


sabato 23 novembre 2013

LA DIREZIONE

Come molti, intuisco la presenza di qualcosa più grande di me. Qualcosa che mi guida e mi conduce verso l’unica direzione possibile. 

Oggi so che il dolore è un’esperienza che travolge la via su cui cammino per farmi avventurare in sentieri nuovi e sconosciuti. Non ne faccio più il mio centro ma gli riconosco tutto il suo valore.

Ogni mio tasto dovrà essere toccato in modo da arrivare a suonare la melodia finale. 

Voglio avere parte attiva al concerto. Decidere le partiture e toccare tutti i tasti, anche quelli duri e mal funzionanti, quelli stonati e striduli che devono essere oliati o su cui bisogna insistere maggiormente.

Gli angeli esistono. Ho protezione intorno: la caduta verso la libertà non è libera.

Tu Penelope sei uno di loro. Sei il simbolo di una forza che mi spaventa e mi attrae allo stesso tempo. La sperimento in questi ultimi anni perché la vita mi ci ha costretta. Ora voglio farne buon uso. Non voglio averne paura. 

Gli angeli sono tutte le persone che ho incontrato negli ultimi tre anni della mia vita e quelle che ci sono anche da prima: ognuno di loro ha contribuito alla mia rinascita.

Oggi fisso, in vostra presenza, i presupposti della nuova me.

Al bando la paura.

Al centro posiziono la forza che finalmente mi riconosco. Il resto è costruzione, creatività e condivisione. E ancora amore. A bando il bisogno.

Raccontare di me è parlare di voi, cari angeli.


martedì 19 novembre 2013

IL PRIMA E IL DOPO DI CERTE DONNE - UN PO' DI ME




Muoiono donne belle. Muoiono, in quest'anno, donne di valore, degne di stima. Donne solide, intelligenti, di sostanza. Donne che facevano cultura e costume ma non solo. Mai come oggi muoiono donne che facevano semplicemente le donne.

Donne, madri, nonne, amiche, compagne,amanti, regine, puttane.

Ieri scompariva Doris Lessing, premio nobel per la letteratura e "femmina" contro l’etichetta del femminismo. Qualche mese fa moriva Franca Rame, altra donna simbolo della lotta alla violenza contro le rappresentanti del nostro sesso. L’ho amata su quel palco su cui si è fatta stuprare una seconda volta dai nostri occhi avidi di curiosità ed empatia.

Donne fedeli al loro amore, fatte di fertili parole e di azioni: capaci di esempio, unico vero motore dell’educazione. Donne di viscere, incuranti dell’altrui pensiero.

Come te Penelope.

Poco più di un anno fa moriva la donna della mia vita. Una meraviglia di capelli bianchi e di gratuità in ogni  suo gesto. Parlare di me è parlare di lei. Mi sono costruita accanto a lei ed ora è ancora  lei ad indicarmi i pezzi da prendere e quelli da lasciare a terra.

La mia nuova vita di oggi è costellata di femmine meravigliose. Ho scelto le donne per condividere ed ispirarmi. Ne conosco tante. Parlo con loro e le ascolto. Ogni tanto le riunisco e altre volte le disperdo: ognuna di loro è legata a me da un filo speciale.

Una su tutte c’è da sempre. A lei devo la realizzazione di un sogno che ho fin da bambina: avere una sorella. Una persona che c’è. Punto.

Altre le ho incontrate lungo il percorso. Qualcuna mi ha conquistata, qualcuna ferita. Sono forti le donne quando seguono la luce che hanno dentro. Cascano nel vortice del buio e trovano il modo per risalire. Molte delle loro storie sono caratterizzate da un prima e da un dopo.

Come la mia:

Ieri e oggi. Prima e dopo.

La mia vita è questo: una dicotomia costante tra chi sono stata e chi sono oggi. Due fotografie scattate alla stessa persona e non più sovrapponibili.

La bambina in apparenza solare e dall'appellativo “ombrettoso” (sa un po’ di ombretto e un po’ di ombra) non può prescindere dal nome che le è stato donato all'ultimo momento, in sostituzione di un altro che forse, chi lo sa, avrebbe conferito un colore e un sapore diverso alla persona che è diventata. Questo nome raro, tratto da un romanzo ottocentesco piuttosto noto, è il vezzeggiativo, apparentemente innocuo, di un sostantivo pesante e imponente come l’OMBRA. Ecco perchè non mi è mai stato a cuore. Ecco perchè avrei sempre desiderato un nome corto e pieno allo stesso tempo. Soprattutto, privo di quelle ombre che, per anni hanno, popolato i miei sogni.

Nel prima, infatti, benchè mi trastullassi tra equilibrio e perfezione, certa di aver ottenuto dalla vita ciò che avevo sempre desiderato, attirando sguardi vagamente invidiosi, il mio mondo onirico faceva da sfondo a vicende angoscianti e sguardi indifferenti come se ci fosse in me il netto sentore che, prima o poi, quell'impalcatura dorata sarebbe crollata. E così è stato.

Uno scossone forte, falsamente inaspettato, spergiurato per anni e non accettato per almeno altrettanti, ha travolto l’equilibrista e l’ha scaraventata a terra con violenza. La piena del buio, dei non visti e dei non detti ha investito la funambola che non cadeva mai. Ogni cellula della donna perfetta, ordinata e pulita ha subito una rivoluzione e si è tramutata in fango: caos, sporcizia e sangue hanno imbrattato i muri bianchi di un anima che necessitava di crescere e mutare per non morire.

Una mattina di qualche anno fa’, i miei otoliti, gli organi regolatori dell’equilibrio, impazziscono, senza preavviso. Escono dalla loro sede naturale e ogni immagine, sino ad allora precisamente collocata in un luogo, inizia un viaggio rotatorio, violento e apparentemente senza senso alcuno. Più cerco un punto fermo più le cose e le persone intorno a me girano e il mio senso di nausea aumenta. Come su una ruota scaraventata in mezzo alla folla all'impazzata, rotolo e scivolo, senza appigli verso il fondo più scuro dell’abisso. Precipito in un vuoto che da sempre ha devastato il mio senso di persona, integrità e sicurezza: un precipizio spaventoso che, più non conosci più appare inaffrontabile.

La mancanza di appiglio, l’inconsapevolezza e la non percezione del reale: questo sono stata nel momento del dolore più acuto che ha fatto da spartiacque alla mia esistenza.



Passo da un’infanzia vissuta in punta di piedi “per non dare disturbo” ad una giovinezza vissuta nel rigore e nella serenità apparenti. Divento donna, moglie, madre accanto al mio uomo di allora e di sempre. Poi accade tutto Precipito. Arranco. Muoio. Rinasco. Vivo. 

Penelope, la mano, ti prego.



domenica 17 novembre 2013

L'AMORE A CUI TORNARE

L'inconcludenza ha a che fare con una certa idea di attesa.

Penelope, moglie fedele di Ulisse, donna in caparbia sospensione. Guidami.


Il ricordo dell'amore ti culla nelle tue notti solitarie e operose. La memoria di un bacio lontano nel tempo ti tiene viva e accesa.


Donna che tessi la tela con cura e poi la disfi. Volontariamente distruggi il lavoro compiuto nell'illusione di fermare un tempo lento e dilatato in cui lui è lontano.


Tutti hanno un amore distante in cui tornare incessantemente, almeno con il pensiero. Anche io.


Quando allontano lo spirito da quell'amore, qualcosa cede. Scricchiola. Cigola.
Basta distanziarsi un poco da se stessi ed evitare di interrogarsi su ogni variazione del tema "vita" che la paghi. La paghi in termini di incongruenza, di fastidio verso l'intero sistema e te stessa.
I primi a ricordarti che il vestito che indossi non è propriamente della tua taglia sono loro, i sogni. S'insinuano nel tuo istante di fuga dal mondo, quando pensi di essere al riparo da tutto e da tutti, e solleticano la tua memoria profonda, quella che si ammala immancabilmente di amnesia come strategia di difesa. Ti ricordano di voltare la testa nell'unica direzione possibile: il dentro. Da lì non si scappa. E' li che torniamo ogni volta. E' da lì che fuggiamo.

Penelope, guidami. Guidami nel cammino verso quel centro che raggiungerò con la tessitura del mio ordito. Non permettere che io mi allontani dall'opera.

Decido il disegno, i colori, scelgo i fili e li sovrappongo con cura l'uno sull'altro, l'uno accanto all'altro: mi abbandono all'incessante movimento che, in quanto tale, mi conduce verso il compimento della tela. Ci lavoro durante il giorno, la disfo la notte nei sogni, la riprendo il giorno seguente e, non convinta, cambio direzione del filato per ammorbidire le forme. Avanzo e retrocedo. Costruisco con fatica per approdare sempre un passo indietro.


Qual è l'amore a cui tornare? Qual è il pensiero che ci rende fedeli a noi stessi e non ci permette di crollare?

Non credo si tratti necessariamente di amore romantico.


Ciò di cui parlo consiste in quel fuoco, quel centro che segnala a noi stessi e al mondo chi siamo davvero. A quella sola e unica passione che caratterizza il nostro essere e lo fa brillare di luce propria. Siamo tutti abituati a pensare che solo l'amore di un uomo e una donna possa darci ali e coraggio per affrontare la vita. Io stessa lo sono ancora. Sempre io, che scrivo queste parole, mi interrogo e mi chiedo se è veramente possibile farcela da soli. Perchè si è soli. Si è soli sempre, anche quando si ama. Ci si deve sostenere e abbracciare soli prima di poter reggere l'abbraccio dell'altro. Ci si deve accogliere prima di poter ritagliare un posto caldo all'altro.

Penelope, guidami. Guidami nella tessitura del mio ordito. Dai voce alle mie risa e al mio pianto in questo cammino. Tienimi la mano.

venerdì 15 novembre 2013

INCIPIT

Parto dal presupposto che decidere di aprire un blog è indice di narcisismo puro. Sono sinceramente  affetta da un recuperato amore per me stessa che mi conduce, finalmente, verso il centro.
Non voglio perdere i pezzi di questa donna che si ricostruisce dopo il disastro. Ora che sono padrona dei miei  pensieri, è necessario che io li fissi: loro sono la mia direzione verso una meta ancora nebulosa  ma presente.
Questo è un blog contro l’ inconcludenza  e a servizio della rinascita. Questo è il blog di chi si era perduto e ora si è ritrovato, di chi era appendice ed ora è in lotta per diventare protagonista. Il blog di chi avanza perché ha cessato di arretrare dietro all’altro, di chi veleggia verso le incognite, seppur privo di una  rotta perfettamente impostata, ma sospinto da un vento leggero e costante. Qui si ritrovano coloro che sentono, dopo tempo immemorabile,  il desiderio e il coraggio di progettare. Progetto è costruzione, è tendere le mani verso il cielo e dare forma ai sogni. Progettare odora di solidità e fatica, di calore e casa. Progettare fa ancora paura ma non così tanto da rinunciare.
Voglio andare al centro senza tralasciare nulla. Sono sulle tracce di una vita in risveglio, di una pancia gravida di bellezza al limite della deflagrazione. Meravigliosamente infinite sono le  cose da dire, da fare e da donare.
Il  foglio è bianco, l’ordito è pronto: i fili iniziano a conversare tra loro e le parole non smettono di fluire.
Alla fine il mio abito sarà pronto ed io mi vestirò dei fili di colori che pazientemente avvicino, allontano, intreccio e tendo. E sarò pronta, come in quel sogno.

giovedì 14 novembre 2013

“Nel sogno, lei era incinta: gonfia di cose da dare che appartengono a lei, solo a lei e non all'uomo che le pone la mano sul  ventre e sorride quasi a sancire il suo diritto paterno. Lei conosce la verità: quell'uomo  la scalda con il suo sorriso e con la sua mano ma non è il padre del figlio che preme violentemente per venire al mondo. Quel figlio deve nascere.È giunta l'ora. Il suo arrivo permetterà a lei di rinascere e scoppiare di vita. Devo passare il guado del sentirmi spersa, sola, senza appigli, senza completezza data dagli altri, dai figli, da un uomo. Io posso bastare. Mi posso bastare. Devo sapere che è possibile non precipitare nel vuoto che tutto ingloba e tutto divora. Resto in questa immagine. Resto con un gamba alzata. L’altra riva del fiume è lì, pronta ad accogliere il mio arrivo”.