mercoledì 31 dicembre 2014

UN PICCOLO GRANDE BUON PROPOSITO...

Penelope, finisce questo 2014. Finirà davvero poi?

Si insomma, questa storia degli anni che finiscono alla mezzanotte del 31 Dicembre ogni tanto mi pare una vera bufala, esattamente come i compleanni. Dal tal giorno entri nel club degli “anta” e tutti iniziano magicamente a guardarti e considerarti  in modo diverso, diventi più saggia, più matura o, diciamolo, semplicemente più “vecchia”.

Lo stesso vale per un anno che finisce. Cosa cambia tra il 31 Dicembre e il 1 Gennaio?

Non lo so amica mia, eppure è così. Per convenzione, per  finzione o per la bizzarra necessità di imporci dei confini, viviamo il nostro tempo scandendolo con rituali che ci illudono di misurare quanto stiamo o non stiamo ottenendo dalla vita. Perché fare un bilancio è questo: una conta di tutto ciò che ci eravamo prefissati e di quanto abbiamo ottenuto o fallito.

Amore, lavoro, figli, carriera, successo, soldi, serenità; questo ce l’ho, quest’altro mi manca, questo si, questo invece no!

Eppure, nonostante non mi interessino i nudi bilanci, soprattutto perché incapace di redigerlo in modo corretto e sistematico, il 365esimo giorno di un anno porta via con sé tutta una serie di speranze e aspettative  cui possiamo dare una nuova forma e trasformare in possibilità per il futuro.

In fondo c’è qualcosa di magico in un anno che finisce sia esso anagrafico o solare e, dunque, che magia sia!

Credici con me Penelope!

E’ singolare che il mio anno stia terminando con l’inizio della lettura di un libro in cui un angelo custode interagisce, colloquiando quotidianamente, con la protagonista della storia. Sono alle prime pagine di questo romanzo eppure il titolo, compresa la dedica dell’autore che mia madre è riuscita eroicamente a “strappare” per me, mi lanciano un messaggio inequivocabile che sembra essere FERMATI E PRENDITI CURA DI TE! E se non ne sono capace? C’è il tuo angelo che ci pensa.

Ci sarà davvero? Ci ha mai pensato qualcuno a me o è una illusione poter delegare un tale fardello a qualcuno che non sia io?

Credo che per me il 2014 sia stato l’anno della messa a terra delle illusioni.

Lo dico senza cinismo o tristezza ma con estrema consapevolezza. Sono diventata grande con tutte le responsabilità che questo passo comporta ed ho finalmente abbandonato la speranza che la felicità non sia responsabilità totalmente mia. Lo è, eccome!

E’ nella creazione quotidiana di questa strada verso il cielo della soddisfazione personale che risiede la magia a cui mi sono abbandonata. Un lavorio costante e quotidiano Penelope che somiglia al tuo ordire la trama della tela; un’azione di potenza creativa e di cesello minuzioso ammantata da una dimensione di incognita e imprevisto che va al di là dell’umana comprensione. In questo senso mi piace pensare all'angelo.

Lui c’è. E lì e in qualche modo tira i fili che di cui non percepiamo l’esistenza perché troppo intenti a credere di sapere e possedere tutto, compreso il tempo.

Questo nuovo anno che inizia porta con se l’ebbrezza eccitante e timorosa di un decollo , Penelope,  e allo stesso tempo la coscienza e la percezione chiara di una navigazione ormai avviata e, in parte, sperimentata. In entrambe i casi servono doti adulte, amica dolcissima, di cui sento, finalmente, poter disporre. Tra le tante cito la lucidità, la capacità di abbandono, il senso di responsabilità, l’apertura all'inatteso e la capacità di respirare in modo ampio e consapevole.

Nessun buon proposito se non quello di PRENDERMI CURA di me e di chi amo davvero.


Non di chiunque.


venerdì 19 dicembre 2014

INTERMEZZO NATALIZIO

Penelope, nulla da fare!

In questo periodo dell’anno sono facile preda di mille grovigli malinconici, le parole non  “vengono facili” e anche il dialogo con te ne risente, stenta a trovare la sua direzione. Ho provato ad immaginare un modo nuovo di vivere questo Natale svincolandomi idealmente da impegni e formalità che percepisco sempre più artefatti.

Ho immaginato te, me, Ulisse e pochi altri commensali stretti intorno ad un tavolo, immersi in una calda atmosfera e accompagnati  da una dolce musica di sottofondo, intenti a sorseggiare  ottimo vino e gustare buon cibo. Mi sono chiesta con chi avrei condiviso volentieri quel tavolo la sera di Natale. Chi renderebbe davvero magica la sera che, per tradizione, è già la più incantata dell’anno? La stessa in cui tredici anni fa nasceva il mio primo figlio. E pensare che quando ero una ragazzina ho sempre fantasticato sull'eventualità di diventare madre nei giorni intorno al Natale e così è stato, come fosse scritto. 

Partorire la sera della vigilia è stata l’esperienza più straordinaria e colma d’incanto che si possa immaginare. L'emozione di quel ricordo mi stordisce ancora.

Vorrei mio figlio a quel tavolo, con tutta la sua acerba mascolinità in divenire  e, accanto a lui, la mia giovane bambina dagli occhi color del cielo che si sta aprendo con dolcezza inconsapevole al suo essere donna.

Lei splende. Lui scalpita.

Vorrei  te Penelope, mia ancella, confidente amata ed odiata, alter ego da esplorare, combattere e da cui trarre prodigioso esempio per caparbietà, fede e capacità di amore. Ti amo e ti odio, bellezza di tutti mari, perché in te rivedo una parte di me che è stata e non è più ma che mai rinnegherò: senza tutti i pezzi passati non saremmo mai chi siamo oggi e , come dice il grande A. Einstein “La vita non ti da le persone che vuoi, ti da le persone di cui hai bisogno: per amarti, per odiarti, per formarti, per distruggerti e per renderti la persona che era destino che fossi”. 

Ecco Penelope, alla tua vita mi sono ispirata, alla tua scuola di ricamo e tessitura mi sono formata per creare, distruggere e poi ricostruire ancora e con fatica la donna che sono ora.  Il disegno che ne fuoriesce è ricco di punti da riprendere e imperfezioni da appianare ma, nel suo insieme, è armonioso e piacevole alla vista e al tatto, profuma di pulito e bruciato insieme. Da te ho imparato che  i fili superflui  vanno tagliati e riannodati al fine di rendere l’immagine compatta e i colori più vividi, anche se  disfarsi di alcune parti crea sempre un po’ di dolore. I fili che getti alle fiamme sono quelli che  purificheranno l’aria trasformandola in nuova energia.

Con te e da te ho imparato che l’amore non è solo mancanza bensì non- attaccamento e, soprattutto, tempo; è lasciare libero l’altro abdicando ad ogni mania di controllo.

A tale proposito, parlo a te Ulisse, altro prezioso commensale alla mia tavolata natalizia, questa inconsueta donna, oltre ad aver compreso che tu non le appartenevi come una mera proprietà, ti ha regalato il suo tempo, un tempo infinito nel quale tu, incallito viaggiatore, hai sperimentato la libertà in tutte le sue forme. Non dimenticarlo mai Ulisse. Sei stato libero, giorno dopo giorno per venti lunghi anni, oggi, domani, ANCORA domani e l’indomani seguente, ANCORA. Il grande Lacan, psicoanalista e filosofo francese dei primi del Novecento, riconosce nella parola ANCORA, la parola dell’amore perché racchiude in sé quel desiderio di ripetizione eterna proprio delle anime che “inciampano per caso”  l’una nella vita dell’altra dando vita ad un incontro d’amore. Ancora i baci, ancora le carezze, ancora gli abbracci che curano, ancorale parole, ancora le notti insieme, ancora i risvegli, ancora, ancora…

Sei un uomo arguto e saggio: hai mantenuto vivo il  ricordo di lei, nonostante la tua fuga travestita da eroismo, e l’hai amata anche da lontano. Per tornare da lei e tuo figlio, hai rinunciato a diventare immortale. Hai detto no a mille ANCORA possibili e hai fatto finalmente ritorno. Anche questo, in tutta la sua imperfezione, è amore.

In pochi hanno l'occasione e il dono di vivere certi miracoli. Tu l’hai avuta con lei ed io, a quel tavolo, non potrei desiderare compagnia migliore: i protagonisti, fallibili e bellissimi, di un prodigio d’amore, simbolo di mille altri. Sono certa che i miei occhi sarebbero avidi, le mie domande inopportune e la poesia che scaturirebbe dai vostri racconti, eccelsa.

A quel tavolo vorrei ancora mia madre e mio padre, finalmente ritrovati nel mio cammino di pacificazione e gli amici, quelli veri, quelli che restano anche quando trabocchi di felicità e vivono con autentica empatia ogni passo del cammino senza lasciare mai il campo.

Gli incontri, cara Penelope, sono la ricchezza del nostro vivere, essi racchiudono sempre un segreto, sono strade possibili, deflagrazioni dell’anima o della mente e, in certi casi, veri scoppi del cuore. Quando un incontro mette in contatto tutte queste parti l’una con l’altra, siamo in presenza di un evento colmo di grazia, un accidente soprannaturale per cui non è possibile esimersi dal ringraziare.

Al convivio natalizio non mancherà un pensiero per tutti gli ANCORA,  i GRAZIE,  i prodigi, gli occhi, gli abbracci, le parole raccolte in questa mia navigazione.

Aggiungo un posto alla mia tavola per ognuno di loro e per te che sei lì, sulla soglia della porta, e ti guardi intorno timoroso di allungare il passo; per te che hai tradito il nostro patto e non trovi pace;  per te che preferisci il silenzio alla verità;  per te che soffri delle tue ossessioni ma che hai saputo rivoltare la tua anima; per te che non sai scegliere; per te che soffri per la morte di un padre mancato; per te che non smetti di inseguire false illusioni;  per te che hai soffocato l’indicibile per anni e anni; per te che baci tutti; per te che non vedi l’ora di diventare madre; per te che non sai da che parte ripartire e hai smesso di amarti; per te che ti sei trasformato da canna in balìa dei venti in salda roccia ;  per te che hai combattuto la malattia a testa alta e poi per te che ti prendi cura di tutti tranne che del tuo cuore; lo aggiungo per te che ci sei e non ci sei e per te che corri fiducioso incontro ad un futuro incerto e ricco di salite; per te che ami dormire fino a tardi e per te che sai insegnare la musica;  per te che cresci i tuoi figli da solo e ti illudi di essere un uomo libero e poi ancora, per te che ami oltre ogni limite fino ad aprirti come il più bello dei fiori e, infine, quel posto lo trovo anche per te ma solo dentro me. L’unico luogo possibile.

Che sia un Natale imperfetto ma d’Amore!




mercoledì 3 dicembre 2014

CERVELLO IMPAZZITO: GIOCHIAMO!

Amo vivere la vita dipingendola con le parole. Le uso incessantemente, cerco di farlo al meglio, quando parlo, scrivo ma anche quando ascolto. Per me le parole contano, hanno un peso, un valore: sono un filo rosso che cuce il dentro con il fuori, un’intermittenza fluorescente tra anima e corpo, un biglietto da visita del nostro spirito a cui non è possibile sottrarsi.

Termine, vocabolo, lemma o, più semplicemente, PAROLA.

Mi piace pensare che ci vengano regalate in ogni istante della giornata per dare luce ai nostri gesti, agli sguardi, ai repentini cambi di umore, alla rabbia, alla gioia, alle intemperanze dello spirito. La vita ha bisogno di parole per essere compresa e assaporata oltre che di silenzio e  buio per essere accettata: esse accendono una luce là dove si fatica a trovare un senso. Le parole, scritte, cantate, ascoltate, lette, recitate o taciute bussano alla porta della nostra consapevolezza quando siamo pronti ad accoglierle.

Prima di quel momento, esse ci rimbalzano dentro o scivolano addosso come fossero semplice aria messa a disposizione per essere respirata.

Giochiamo con le parole, Penelope, al Cervello impazzito. Non pensare: dillo e basta!

La parola è: FILO!

Conduttore, filo di speranza, filo colorato, giallo,sciolto, nodo, treccia, bruciato, sciolto, spezzato, unione, cucito, bocca cucita,legata, salame, corda, eros, rosso, amore mio…

Ancora.

La parola è: CHIAVE!

Porta, lucchetto, apri, spalanca, entra, calpesta, legno, pesante, spalla, colpi, paura, segreto, respiro, luce, finalmente..

E’ un gioco Penelope, in cui si lascia la mente libera di vagare associando parole e immagini  in modo immediato e non premeditato. Una parola e ti prendi qualche secondo di tempo per abbinarla ad altre oppure a suoni e immagini da lei evocate:  fai presto Penelope, non permettere al ragionamento e al pensiero razionale di subentrare in questo gioco in  cui celerità e spontaneità sono i vincitori indiscussi.

Ho sempre adorato questa tecnica  di libera espressione che ti allena a dire no alle censure della mente imposte dalla buona educazione, dal formalismo imperante e da tutto ciò che è vincolo e imposizione esterna. La mente, così come il corpo e il cuore, necessita di libertà di funzionamento per potersi ossigenare in modo naturale. Nulla in noi è stato creato per restare ingabbiato a lungo, tantomeno il nostro cervello.

Procedere per libere associazioni non svincola solo la mente ma anche lo spirito, rendendolo più leggero e incline alla sua vera natura. La vita stessa procede per associazioni “più o meno libere” di fatti, persone e occasioni dando vita a coincidenze stravaganti e talvolta improbabili che lasciano il segno e che toccano le corde dell’anima. Se desideriamo coglierli, i segnali che la vita ci sottopone sono spesso inequivocabili.

Dal momento in cui ho aperto gli occhi su queste evidenze, la mia vita appare  piena, sensata e costellata da concomitanze che sanno di miracoloso e da cui traggo immensi benefici. Basta un sogno, un incontro, la vista di una scena particolare per strada, il racconto di un figlio o un semplice ritardo a squarciare un cielo cupo e colmo di nubi indefinite.

Domenica sera. Una Torino piovosa ormai da troppe ore. Un caro amico con me e la decisione di andare al cinema per guardare un film insieme. Come spesso accade a noi moderni, Penelope, arriviamo in ritardo per il film scelto e dobbiamo ripiegare su un altro. Il titolo ci sembra carino: ha a che vedere con la felicità ma non ne sappiamo molto. Ci fidiamo di un istinto comune  e decidiamo di farci trasportare in quel mondo di “felicità” o “happiness” per restare fedeli al titolo.

Ecco Penelope, domenica è accaduto di nuovo: non poteva che capitare a me e lui, così naturalmente predisposti alla ricerca di un senso, e non poteva verificarsi se non in questo momento delle nostre vite in cui il vento ricomincia a soffiare, per entrambe,  verso nuove direzioni. La visione di un lungometraggio che affronta il tema del tema della verità e trova la risposta nella conduzione di una vita semplice, fatta di condivisione e spiritualità ha comunicato empaticamente alle nostre vite  indicandoci nuove  direzioni possibili.

Si è parlato di karma, come ho già fatto altre volte tra queste righe, come di un cerchio da concludere o un disegno da terminare in questa o più vite. Oggi, alla luce di tante esperienze e letture, sono sempre più convinta che siamo NOI i soli artefici della strada su cui poggiamo i passi, presenti e futuri,  con cui chiuderemo questo cerchio.  I nostri pensieri sono fondamentali nel processo di costruzione del possibile perché diventano azione e le azioni s’incanalano nei meandri sotterranei dell’invisibile e dello spirituale creando gli effetti  qualitativi del nostro vivere. 

L’universo, amica mia, mette ogni cosa a nostra disposizione, ne sono certa, e sta a noi scegliere ciò che ci fa stare bene e ci fa progredire nella direzione auspicata. Non penso ci siano vie giuste o sbagliate ma solo aderenti o meno al nostro sentire. Questa è la sola via.

Domenica, all'uscita dal cinema, gli occhi del mio amico erano lucidi e il silenzio è stato per qualche minuto il degno compagno di una riflessione che entrambe abbiamo interiorizzato autonomamente e poi condiviso in semplicità. La vita chiama, apre le vie, mostra le direzioni, induce al coraggio del cambiamento ma, per riuscire ad avere la vita che ci sentiamo dentro, è necessario essere aperti non solo alle esperienze tangibili ma soprattutto a quelle spirituali ed interiori.

Sono giorni strani questi, colmi della parola libertà che riecheggia sotto mille forme. Allora Penelope, sei pronta?

La parola è: LIBERTA’!

Volo, gabbiano,uccelli, ali, aria, mare,giri, onde, viaggi,scelta, vita, rischio, andare via, sparire, dire no, amare, tradire, giocare, uscire, entrare, capelli al vento, paura, scelta, difficile..

Partiamo da qui.

Usiamo le parole Penelope, giochiamo con esse per sperimentare una libertà possibile, tutta da costruire, tutta nelle nostre mani.




mercoledì 19 novembre 2014

L'ONDA PERFETTA

 “Si può tornare solo dopo che si è partiti” è una frase che ho letto in questi giorni tra le tante parole di un moderno esploratore del mediterraneo di cui amo leggere le considerazioni quotidiane sullo scrivere e l’andar per mare.

Dopo una partenza, reale o immaginaria, si torna sempre e comunque? Per quanto auspicato, un vero ritorno è sempre realizzabile? Infine, se si ha il coraggio di tornare, in quale punto si approda esattamente?

Una cosa è certa, qualunque sia il  luogo del ritorno, esso non può coincidere con quello della partenza: la tua storia lo dimostra così come la mia e quella di chiunque abbia vissuto un commiato attuato in prima persona o subito.

Ulisse salpa verso la terra dell’ignoto dove si misura tra imprese mirabolanti e guerre violente esattamente come accade a chiunque lasci le proprie certezze per affrontare ciò che ancora non conosce. Abbandonare la propria zona di confort conduce inevitabilmente in uno stato d’inquietudine e disagio colmo di demoni e paure che non lasciano indenni.

Lui torna, dopo aver vissuto avventure mirabolanti e visionarie, ma il luogo in cui approda non è più la stessa casa che aveva lasciato vent'anni prima.  La sua Itaca è in mano ai Proci, tu, Penelope, sei una donna invecchiata seppur ancora bella e ricca di un amore anch'esso mutato e vostro figlio non ha più le sembianze di un fanciullo, si è trasformato in uomo. Un’oasi diversa lo accoglie, uno sfondo dai colori mutati come la tua tela, amica ingegnosa, che cambia immagine e forma ad ogni sussulto della tua anima.

Anche io ho lasciato gli ormeggi, Penelope, lo sai. Navigo a vista, ormai da tempo, in un mare immenso, brulicante di vita meravigliosa e pacificata solitudine. Mi ritengo una donna errante del mio tempo  e, in quanto tale,  combatto quotidianamente contro i miei demoni e le tempeste che questa condizione mi impone. Gli uomini che viaggiano per mare hanno la scorza dura, amica, volta a proteggerli dalle sferzate improvvise di vento e sviluppano una capacità intuitiva tale da permettere loro di prevedere e schivare i pericoli. Ecco, io sto imparando tutto questo. Sono in cammino verso una libertà che assaporo, a tratti , tra una tempesta e l’altra, e sto temprando mente e spirito durante questo fantastico percorso.

Si parte sempre lasciando un “dietro” colmo di luoghi a cui fare ritorno, affetti a cui rendere conto o semplicemente odori e abitudini da dimenticare. Si parte per lasciare qualcosa o qualcuno oppure si parte e basta. Ricerca di un altrove fatto di ALTRO

Mille vite sono in una sola ed è nostro dovere scoprirle tutte

L’emozione a cui non rinuncio è quella del cercare, sperimentare, curiosare, misurarmi in questo  tempo che allontana ed avvicina i traguardi a seconda di quanto sono disposta ad imparare.

Tu, Penelope, sei mai partita per un viaggio che fosse solo tuo? Almeno con la fantasia, sei riuscita a evitare di raggiungere Ulisse nei suoi non luoghi per fuggire in quelli solo tuoi? Ci vuole un gran coraggio. Tu lo possiedi.

In te c’è tutto, in ognuno di noi c’è già tutto: presente e futuro, domande e risposte, uomo e donna, conscio e inconscio. Per una strana alchimia d’immagini, l’idea di partenza contiene in sé quella dello spaziare da un punto all'altro di noi per proseguire addirittura oltre, fuori, al di là dei nostri veri o presunti confini e nulla meglio dell’acqua si presta alla raffigurazione di un tale atavico ed ancestrale itinerario. Il viaggio dentro se stessi è quello che tu e il tuo Ulisse avete condotto, per vent'anni, sulle onde fisiche del mare e quelle figurate dell’anima.

Due modi diversi di percorrere lo stesso cammino, arrivare allo stesso punto, forse. Chissà quale uomo hai ritrovato nel tuo letto dopo tutti quegli anni...

I viaggi dell’anima trasformano i volti, forgiano le forze, assottigliano le priorità e danno nuova luce a ciò che è stato, senza rinnegarlo. Ecco perché è impossibile tornare nei luoghi da cui si è partiti sperando di ritrovarli intatti e immacolati. Essi si saranno trasformati a loro volta, si saranno sporcati della nostra assenza e ALTRO DA NOI li avrà animati. Questo il prezzo dell’andare.

Nulla, davvero nulla, lo dico per esperienza, torna ad essere come “prima” e, per quanto ci si sforzi, l’autenticità risiede nell'accettazione di ciò che un viaggio, desiderato, vissuto o subito, porta con sé. Il NUOVO.

Hai avuto paura nell'affrontare la vita dopo la sua partenza, lo so, ma oggi puoi guardare a te con un rinnovato orgoglio a cui non dovrai mai porre fine. Hai vissuto sola per venti lunghi anni per essere pronta a riaccoglierlo. In quel tempo hai sofferto ma hai cucito, sera dopo sera, la nuova te. Un miracolo di fili colorati e di forme cangianti dalle sfumature più impensate, quelle che t’inventi nella solitudine creativa che amplifica ogni parte dell'essere per poterti davvero aprire e sbocciare. Ho paura anche io, mia cara voce antica, ma ormai non riesco a vivere in altro modo che  non sia questo. 

C’è un momento, cara amica, un momento meraviglioso del viaggio che equivale al cavalcare l’onda più pericolosa del nostro essere in cui ogni cosa appare perfettamente a posto.


Quell'onda è vicina. 



martedì 11 novembre 2014

ULISSE E PENELOPE DEI GIORNI MIEI

Penelope, ti regalo una piccola storia dei miei giorni. Un Ulisse e una Penelope moderni, come ce ne sono tanti.

Il fatto  si ripete con altri nomi, altri volti, altre motivazioni. Ascolta...

Sono lì. L’uno di fronte all'altra.

Il porto è al suo risveglio in una gelida mattinata d’inverno. Il sole è ormai sorto ma i suoi raggi non scaldano ancora e i colori sono quelli vividi di una foto pittorica d’autore. Ogni cosa è ferma e immersa in un silenzio surreale. Persino il mare sembra non voler dare disturbo.

Giorgio ha atteso quel momento scrutando l’orizzonte, suo prossimo compagno di vita, dritto e fiero come un guerriero che si appresta ad affrontare il nemico più atteso. La sua figura si staglia imponente di fronte all'infinito che solo il mare sa raccontare e la sua fronte, solitamente aggrottata, è finalmente distesa e pacificata. Ha avuto il coraggio di scegliere. Per ora gli basta.

La sente arrivare da dietro. Sente il lento rumore dei tacchi che si avvicinano e si fermano a pochi metri da  lui. Non si volta, come faceva in passato per sorprenderla con un bacio a tradimento. Non la bacerà oggi, non è più tempo, ma sa che le sfilerà gli occhiali da sole e la guarderà dritta nei suoi occhi verde palude.

Marta è lì.

Avvolta nel suo cappotto color cammello, strizzato in vita, e coperta da quelle grosse lenti scure, il suo scudo verso il mondo. Ha i lunghi capelli raccolti e un filo di trucco appena accennato. Lo guarda fisso e pensa a  quell'uomo che è stato il suo albero, saldo, fermo, piantato nelle radici di un dolore che un tempo è stato il loro. Per un istante vorrebbe abbracciarlo da dietro e aggrapparsi a lui come si fa con un padre ma non lo fa. Non è più tempo.

Marta si ferma e Giorgio si volta. Intorno a loro il silenzio, davanti il mare immenso.

“Marta” dice lui con la voce ferma ed emozionata al contempo. Lei risponde con un sorriso e si sfila da sola gli occhiali precedendolo.
Giorgio la vede di nuovo bella dopo tanto tempo e la guarda. Dopo tre anni di lontananza, la guarda come si guarda una donna che si ha amato. Quell'istante, fatto di silenzio e di scollegamento dalla vita reale racchiude in sé la possibilità di un avvicinamento puro, scevro da ogni dolore, parola o spiacevole ricordo. Un momento fuori dal tempo, una goccia di splendore.

Non avevano mai più avuto un istante così dal giorno del funerale. Quello è stato l’ultimo giorno in cui le loro anime si sono prese per mano.

È arrivato il momento Giorgio?- chiede lei come a volerne avere la  prova.

- Si. Grazie di essere venuta. Sei la sola che voglio qui oggi- dice Giorgio ma, mentre pronuncia quelle parole, la sua mente vaga nei meandri solitari degli ultimi anni in cui dinnanzi ad ogni richiesta di avvicinamento e condivisione di lei, ad ogni pianto, ad ogni lacrima lui ha sempre solo chiuso, anzi, sbattuto  le porte. I suoi interminabili no vengono ripagati dal si gratuito di lei oggi. Qui, con lui, dietro sua esplicita richiesta.

Lui ha la solita sensazione di sempre “sono lo stronzo delle situazione. Io lo stronzo, lei la buona. Ti prego Dio fa che s’incazzi almeno ora!”

-Sono rimasta francamente stupita della tua richiesta- aggiunge secca Marta con un tocco di aggressività trangugiata.

-Sono tre anni, tre interminabili anni, che ti rifiuti di comunicare con me! Perché ora? Il tuo andare via ti da la forza? Tanto sai che qualsiasi cosa verrà detta ora non potrà avere ripercussioni perché tu non ci sarai. Dove andrai?

Eccola la mia Marta, pensa Giorgio in un istante di riconnessione con la realtà. La donna che non molla, la donna dei perché sviscerati e delle verità snocciolate con impeto: la  stessa che ha amato per gran parte della sua vita, la stessa con cui ha condiviso la grandezza e le miserie di un sentimento che si è sfilacciato, la madre di Clara. La loro meraviglia scomparsa.

In un attimo di commozione estrema la rivede in lei. Clara aveva i suoi stessi occhi chiari e profondi al tempo stesso, la stessa espressione da cerbiatta impaurita: Marta l’ha persa ora. Non ha più paura di nulla ormai. Sopravvivere alla morte di un figlio ti cambia i connotati dell’anima oltre che quelli fisici.

Silenzio. È il mare a rispondere e il sole, che inizia a scaldare, sembra sciogliere la rigidità iniziale. Sono di nuovo loro, con le domande che si susseguono arrovellandosi su se stesse senza risposte e con le lacrime dell’impotenza che solcano i loro volti. Anche Giorgio piange.

Piangono insieme per la prima volta, dopo quel maledetto giorno, tenendosi per mano davanti a colui che metterà distanza tra loro.Il mare. Una distanza cercata da Giorgio e combattuta fino allo stremo ma poi accettata da Marta. Son circa tre anni che Giorgio vive in un'altra casa, non ce l’hanno fatta a reggere ognuno anche il dolore dell’altra: è stato troppo. Quello di oggi, però, ha le sembianze di un vero addio. Un altro. L’ennesimo.

L’elastico che li ha tenuti legati in tutti questi anni sta per spezzarsi e non ci sono garanzie sul fatto che, finito di tirare, le estremità sbatteranno nuovamente l’una contro l’altra e ritorneranno a toccarsi. Lui lo tirerà verso le terre sconosciute del mondo e lei verso una realtà nuova fatta di sé e di chissà cos'altro.

Giorgio parte, fugge, scappa. Marta resta.

-Solo una promessa, ti scriverò- le sussurra all'orecchio dopo averla tenuta stretta un ultima volta per moltissimo tempo.

-Non so se leggerò.


Marta è stordita dall'emozione del distacco che si sta concretizzando davanti ai suoi occhi e non riesce a dire nulla, ogni altra parola si blocca sul fondo di sé. 

Infondo non gli crede. 




lunedì 3 novembre 2014

INTERMEZZO: QUANDO LA SEDIA SCRICCHIOLA

Ascolta, Penelope.

Stasera si va in scena.

Non so davvero cosa sia che mi spinga, ogni sera, a salire su questo palco a tremare d’ansia per la paura di dimenticare tutte le battute. Vuoto pneumatico nella testa, secchezza delle fauci, voce tremula. Perché infliggermi tutto questo? Me lo sono chiesto più e più volte, senza trovare una risposta convincente.

Tutte quelle teste lì davanti a me, nessuna esclusa, devono rimanere in tensione per l'intera durata dello spettacolo ed è mio preciso compito di attrice quello di fare in modo che nessuna delle sedie laggiù scricchioli. Nemmeno una, nemmeno per un secondo. Un compito difficilissimo, il mio.

Tutte quelle teste d’improvviso, con il calare del buio in sala, si trasformano in un'unica figura enorme e abnorme lì davanti a me: lo spettatore. Lui, solo, imperante e giudicante. Occhio che penetra l'anima. La mia.

-Sono qui per te, mio spettatore.

-Sono qui per la storia che saprai raccontarmi.

-Chi sei tu che esci di casa in questa fredda sera d’inverno per venire a sedere su quella scomoda seggiola laggiù, al buio ?

-Sono un abitante della vita, esattamente come te.

-Io sto di qua, però, e mi mostro. Io sono il soggetto fotografato.

-Io sto di là invece; mi nascondo, osservo e colgo se c’è da cogliere. Sono il tuo fotografo.

-Già, ti nascondi, non rischi nulla a startene lì celato nel buio e chiuso nel tuo silenzio. Io mi gioco tutto. Sono esposta lì sotto i riflettori e i tuoi occhi puntati addosso mi fanno sentire come sotto esame.

-Sei tu a percepire una tale pesantezza nella tua posizione; non è responsabilità mia. Io non faccio altro che stare dall'altra parte a guardare e cogliere. Stop.

-Lo so, non ricordarmelo. Cos'è,  ti prego dimmelo, cos'è che ti impedisce di annoiarti e fare scricchiolare quella sedia?

-Davvero vuoi saperlo?

-Certo. E’ il mio più pressante interrogativo.

-Le ali.

-Come le ali?

-Il soffio, il vento: io, da questa prospettiva fatta di silenzio e  buio, percepisco se indossi le vere ali dell’anima o, se invece, semplicemente fingi. Se ti spuntano le ali, ed io sono in grado di vederle con chiarezza, tu vibri e allora non dimentichi le battute perché esse sono la tua vera voce e le tue fauci non conoscono secchezza perché ti abbeveri naturalmente alla sorgente della tuo spirito per andare in scena.

-Cosa accade, invece, quando non ho ali ?

-Io mi annoio a morte e inizio a muovermi indistintamente sulla sedia facendola scricchiolare. Tu da lassù mi senti e si spezza l’incantesimo: il filo tra il tuo corpo e il tuo spirito è reciso e delle ali neanche il soffio lontano.

-Che tragedia, mio spettatore!

-Hai ragione. E’ come se non ci fosse tempo: nessun tempo per sognare, ricordare, sentire. Inutile stare qui.

-Questo è il cuore del mio mestiere. Regalare tempo per sognare, ricordare, sentire. Tempo per fotografare ed amare.

-Ora hai capito perché sali lassù ogni sera?

-Ho capito che senza ali non si vive e nemmeno si respira. Salgo qui sopra ogni sera per poterle indossare, anzi no, per sentirle spuntare dentro me. Per te mio caro spettatore.


Accomodati e goditi lo spettacolo!


venerdì 24 ottobre 2014

LA PAROLA AGLI ANTICHI

Penelope, in questo nostro mondo esistono strumenti che nemmeno t’immagini . Al tuo tempo, sarebbero parsi assurdi e improbabili mentre oggi, a noi tutti, risulterebbe inconcepibile la loro assenza. Vivo in un mondo di reti internet, connessioni e social network che supportano la nostra  sete di conoscenza e socialità. Proprio curiosando qua e là, una di queste sere , sono incappata in un video in cui un noto filosofo disserta lungamente sulle cosiddette “cose d’amore” citando Socrate, Platone e altri eccelsi abitanti dell'universo antico, molto più vicino a te che a me. Quello dei filosofi  greci e delle loro menti superiori.

Ho ascoltato rapita, come non mi accadeva da tempo, le parole di questo pensatore e studioso contemporaneo che raccontava di Platone e del suo pensiero su un argomento davvero tanto abusato. Si potrebbe piangere, Penelope, innanzi a tanta semplice verità. Gli antichi hanno già detto ogni cosa! Loro, possessori di una conoscenza intima e rigogliosa dell’animo umano, si esprimono con ineccepibile cognizione  sui vari aspetti relativi a quel sentimento di mancanza, ricerca del bello e lato folle dell’esistenza che noi tutti chiamiamo Amore.

Pensa che Platone, nel Simposio, necessita proprio di una rappresentante del gentil sesso per parlarne. Non a caso.

Mi sono sentita dire, come ogni donna, in più di un’occasione “Voi donne, follia pura, sale e pepe della vita”. Ora, lasciando perdere la banale metafora pseudo-culinaria, devo dire che, dopo aver riletto Platone in un’età non più scolastica nella quale molti aspetti  rimangono ovviamente oscuri, non mi lagnerò più di questo paragone donna-follia. In altre parole, Penelope, se persino Platone affida un discorso sulle cose d’amore ad una donna, allora m’inorgoglisco di appartenere alla specie di coloro in grado di conferire con un vero “ demone” e che  vengono investite del compito  “d’interpretare e di trasmettere agli dei qualunque cosa degli uomini” e viceversa. La donna, di nome Diotima, racconta di Amore colui che “tra i due mondi colma l’intervallo sicché il tutto risulti seco stesso unito”.

Donna, la sola in grado di stare e tradurre quel mondo che precede tutto ciò che è razionale e comprensibile, dice Umberto Galimberti, uomo e filosofo da me adorato. E ancora, l’amore non è per l’altro in sé ma è per ciò che l’altro accende in me e mi permette di fare, ossia, recarmi nei meandri del mio mondo folle e  irrazionale; grazie a te abito spazi  altrimenti sconosciuti, ecco perché le parole d’amore paiono così assurde e prive di senso. L’amore nasce sempre da una mancanza e dall'irragionevolezza: non a caso, il  “Mi manchi” degli innamorati procede poi sulle vie del disequilibrio “Mi fai impazzire!”

Amore, allora, è ricerca del bene, del bello, di ciò che ci può dare respiro perché sa andare al di là del contingente, delle leggi convenzionali del “giusto e dello sbagliato” ma non per questo è semplice e privo di contraddizioni.

Amore ha dei natali piuttosto atipici, amica mia: al banchetto per la nascita di Afrodite, s’incontrano una giovane mendicante (Penia o Povertà) e un Dio (Poro o Ingegno) che si unisce con lei, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, generando appunto Eros, Amore. Quest’ultimo, dunque, nasce dall'unione di un padre macchiavellico, audace e risoluto con una madre povera, vestita di stracci e abituata a mendicare.

Ed ecco simbolicamente spiegati i due volti dell’Amore, Penelope, il tutto ed il niente, il pieno ed il vuoto, presenza e mancanza, lotta e piacere continuo dell’anima e del corpo volta innanzitutto alla generazione di se stessi prima che di un terzo essere. Il senso e il non senso insieme generano follia, quella degli amanti.

Potrei continuare in eterno a leggere e raccontarti queste ed altre storie, sorella mia, e troveremmo sempre saggezza e verità alla base dei temi più fondanti dell’esistenza umana. Gli antichi, come i saggi d’oriente paiono sapere ogni cosa e sulle loro parole si fonda un immenso patrimonio culturale a cui tutti indistintamente possiamo avere accesso.

Cara donna del mare,  rivolgo a te in queste mie accartocciate rivelazioni dell’anima proprio in quanto esponente simbolica di una condizione femminile  ma, allo stesso tempo, di un mondo universalmente noto e imponente per saggezza e conoscenza. In te percepisco la credibilità di colui che ha inventato la tua storia e, da te, dal tuo Ulisse e dal sentimento di mancanza che vi ha unito, mi sento rappresentata in tutta la mia modernità. 

In altre parole, di donne, uomini e del sentimento che li fonde e poi li divide continuamente si parla da tempo immemore e sempre se ne parlerà come uno dei misteri più insondabili e variegati che riguardano il genere umano.

Proprio in questi giorni, mio figlio mi dice che intende iscriversi al liceo classico ed io, amica cara, gioisco di questa volontà e bella determinazione. Platone, Socrate, Eraclito, Omero e tanti altri ancora entreranno in questa casa in mezzo alle pagine dei libri e ai fogli dei quaderni di un ragazzo di oggi ed io proverò gioia nel sentirli nominare, Penelope, perché mi sosterranno nel difficile compito di genitore. Oggi i miei occhi e il mio cuore sono nuovi rispetto ad allora e so che l’ occasione di re incontrarli attraverso mio figlio non è, nemmeno essa, frutto di un caso.

Anche tu,dolce amica mia, che parli una lingua antica e vivi una storia d’altri tempi, o meglio, di tutti i tempi; volgi lo sguardo a noi donne di oggi come noi guardiamo a te. 

La ricchezza dello scambio sarà reciproca.













domenica 12 ottobre 2014

EMOZIONI AL VIA, RABBIA INCLUSA!

In questi giorni, carissima Penelope, ho riflettuto sul significato della rabbia come una delle possibili modalità di conquista della verità. Ho compreso emotivamente che queste due realtà viaggiano a braccetto perché, solo lasciando che la rabbia ci metta in contatto con la parte più animalesca del nostro essere, possiamo fare luce sulle nostre verità. Nessuna esclusa.

Ci vuole molto coraggio per arrabbiarsi Penelope, ecco perché ho imparato a diffidare di coloro che non si arrabbiano mai e trovano sempre un ragionevole perché ad ogni avvenimento senza abbandonarsi all'ira. “Mi ci vuole troppa energia per arrabbiarmi, mi costa troppo”, mi sono sentita ripetere per anni. Già, arrabbiarsi ha un prezzo molto alto soprattutto per “l’arrabbiato”; è un viaggio dentro il buco di un vuoto profondo da cui tutti tentiamo di fuggire. Talvolta, il dolore provocato da un tale itinerario può risultare insopportabile. Mi sono trovata più volte sull'orlo di quel precipizio senza avere il coraggio di lasciarmi cadere giù; in molte occasioni della mia vita ho preferito tirare il freno a mano e bloccare tutte le reazioni le emozioni, il dolore, le brutture e, pur di non entrare in contatto diretto con loro, ho detto ALT!

Eppure, ora l’ho compreso, quell'atto di costrizione ci depriva di qualcosa di molto prezioso che è la possibilità di rigenerarci davvero. Il momento della rabbia arriva sempre ed è l’istante della rottura ma soprattutto della perdita di una parte di noi stessi o dell’altro. Sta a noi decidere di darle sfogo o trattenerla. 

La collera ha il potere di metterci in contatto con la nostra parte bestiale e primitiva e, pertanto, è in grado di forgiare e  cambiare i connotati alle cose, alle persone così come al nostro sentire o alle possibili scelte da compiere. Lei è come un  mostro orribile che continuerà a popolare i nostri sogni se non troviamo, in qualche parte dentro di noi, il coraggio di armarci e combatterlo. E non solo, prima di vincerlo dobbiamo guardarlo bene in faccia e sapere con chi avremo a che fare per poter prendere le giuste misure e dosare le forze in modo da arrivare fino alla fine della battaglia.

La rabbia spaventa perché rompe inevitabilmente qualcosa e lascia soli. Fornisce all'altro la motivazione concreta per tagliare i fili, se non è in grado di sostenerla. E ancora, non ci munisce di alibi, la rabbia spoglia, rende vulnerabili: ecco perché è “roba” da gente  con gli attributi.

Penelope, se ti fossi arrabbiata con Ulisse e gli avessi espresso tutto il tuo dolore e il tuo senso di abbandono, forse, ti avrebbe abbandonata davvero. Non avrebbe mascherato il suo abbandono con  un viaggio di lotte e battaglie. Non gli hai mai urlato contro il tuo spasmo delirante per paura di perderlo davvero. Dilla questa verità!Urlala! I non detti creano i disastri; i silenzi alzano i muri più invalicabili.

Sarebbe tornato il tuo Ulisse se avessi davvero dato sfogo alla tua collera? Io credo di si ma quella che non ci ha creduto sei tu Penelope, solo tu!

Perché la rabbia è soprattutto verità.

Apriti finalmente alle tue storture e non trattenere più. Smetti di giudicarti e accetta ogni goccia di te, persino quella colma di veleno. Concediti la rabbia finalmente. Non solo contro te stessa ma anche contro l’altro. Senti tutto il dolore, non ti accontentare di metterlo a tacere con facili sotterfugi; fallo sfogare ed urlare. Ne hai diritto.

La vita poi viene in soccorso; abbi fede, accade.

Da quel fondo di male si risale nuove e rigenerate nelle viscere. Un nuovo sangue scorre nelle tue vene e allora accade …

Accade che la vita ti cambi continuamente, istante dopo istante. Ogni esperienza, ogni incontro aggiunge un pezzo in più a che sei o credi di essere e l’apertura nei confronti del nuovo e dell’inaspettato diventa, a poco a poco, una forza. Accade che inizi a lasciar andare la paura, il senso d’inadeguatezza e ti apri alla vita  maturando fede in lei ma soprattutto in te. Infondo ogni cosa arriva da noi. Accade che sviluppi sentimenti belli ed ampi che ti allargano il cuore e ti rendono capace di contenere molte più verità di quelle che credevi possibili,  i tuoi limiti si ridisegnano creando nuovi spazi che continui a riempire. Alla fine di questo lavoro di ricostruzione ti ritrovi finalmente colma e soddisfatta della tua essenza imperfetta. L’importante è che ogni giudizio su di te venga, da te, sospeso.

Che meraviglia diventare l’attrice protagonista della tua vita e raggiungere un livello di bravura tale per cui ti viene regalato il privilegio di poter scegliere da sola gli abiti da indossare durante ogni singola scena. Sei tu a decidere abiti, trucco, scarpe; sei tu a scrivere le sceneggiature e a sottolineare i vari stati d’animo l’intonazione più naturale. Regista, autrice, attrice, costumista e truccatrice. Il potere è nelle tue mani. O quasi.

In questo luogo di idillio, in cui ogni emozione è palpitante e a vista, ci si arriva per molte vie una delle quali è la capacità di vivere ogni sentimento possibile, rabbia compresa. Più alta è la consapevolezza del tuo valore, più ci si concede, tra le altre cose, RABBIA.

La furia è conseguenza dell’amore Penelope, per se stessi e per l’altro. Senza amore non ci sarebbe culla per lei.

Se sai dare sfogo alla tua ira, allora, hai amato!




venerdì 3 ottobre 2014

MA QUANTE SIETE?

Quante sono le Penelopi

Quante siete Voi, muse, amiche, nemiche, anime a cui parlo e mi rivolgo in queste righe di polvere luminosa sparsa sul web? Mi è stato chiesto in questi giorni.

Un gioco, una trama di figure molto più complessa di un dialogo univoco tra me e lei, tra me e te.

Dove ti nascondi Penelope? Tra quale lembo di terra e in quale onda è possibile scorgere il tuo sguardo, percepire il tuo fiato e captare la forza del tuo amore?

Ho creduto di vederti in una sola lei. Mi sono illusa di possedere ogni briciola dei tuoi segreti come dei tuoi impalpabili pensieri e invece no. Più ti parlo più mi sfuggi; più ti colgo più ti disfi in una ineffabile ombra che occulta e acceca al tempo stesso. Sono così viva in te da non riconoscere più i confini e non percepire le distanze.

Cosa e chi  incarni tu?

Un candore perduto, un’illusione svanita, una speranza incrollabile, una strategia di vita, la ricostruzione autonoma, l’amore perso e ritrovato, il fascino, la femmina rinata, la puttana consumata, il cuore abbandonato o semplicemente la donna che sei diventata insieme a me.

Lascio spazio libero alla mia voce, alla tua e, improvvisamente, paiono una. Parlare con te è come volare; mi innalzo attraverso te e guardo, lì sotto, l’infinito dei nostri mondi così lontani eppure così vicini. Ti studio, ti giudico, ti combatto, lotto contro te per poi ritrovarti dentro e vicina più che mai . Ti vorrei lontana ma poi devo arrendermi al tuo continuo insinuarti.

Io seguo te come il sole segue l’orizzonte ogni sera e tu sei nei mille sguardi di questa nuova me salda e radicata nell'oggi.

Poesia e lamento sei, strazio e dolce melodia per me. Non ti giudico più. Ho deposto le armi tranne quelle strettamente necessarie per continuare ad indagare sempre e comunque. La ricerca delle tue molteplici voci in me non avrà mai fine. Lo so bene.

Sola o con te oggi cerco nei miei ricordi la radice della tua nascita in me e la trovo nelle immagini della mia fantasia di bambina; mio padre mi raccontava la tua storia, le avventure fantastiche del tuo sposo ed io lo ascoltavo come si ascolta un Dio che si palesa e rassicura. Chissà perché proprio questa storia, tra le tante che ogni tanto intraprendeva a narrare, e chissà perché la tua figura mi ha affascinato sempre così tanto; l’idea di te con questa tela in continuo divenire, colma di colori, mi ha sempre rapita.

Da bambina, ti vedevo sola, in un angolo, alla luce di una candela, la veste bianca e i lunghi capelli corvini sciolti sulle spalle, intenta nel tuo lavorio mesto e silenzioso. La mente vaga durante i lavori manuali e sicuramente quello era il tuo momento d’incontro con lui, una visualizzazione continua delle sue gesta eroiche, dei suoi incontri, delle sue notti. Io, come te, mi aggiro con la fantasia all’interno di mondi sconosciuti e vagamente fiabeschi durante la guida o la preparazione delle cene per la mia famiglia ma il momento prediletto per i viaggi della mente è la sera, in quell'istante che precede il sonno. La preghiera di un tempo oggi è la mia connessione con un mondo che vive appena al di là del sensibile e che amo chiamare IL MIO MONDO.

Lì e solo lì incontro la parte centrale di me, di te e delle tante Penelopi in cui mi riconosco e a cui mi rivolgo in queste pagine.

Ce n’è una però, una su tutte. 

La donna che ha ricostruito dopo la distruzione e che si è data gli strumenti necessari per vivere senza finzioni: lei è la Penelope che celebro perché senza celebrazione, la vita e gli eventi che la compongono perdono di significato.

Quella Penelope sei tu, delusa ma poi forte, e sei importante.

Preparati a vivere una grande festa, indossa il tuo abito più bello e abbandonati alle danze in questa serata ancora tiepida di ottobre. Il mare pare distante ma non lo è, Ulisse è ancora tra le sue burrasche, ti sorride da lontano, forse, ma stasera non ha importanza.


Questa notte è tua Penelope. Vivila!


lunedì 22 settembre 2014

LE POINT DE NON RETOUR

Accade. Ogni cosa accade, Penelope, ed è l’inconscio ad invocarlo anche quando le situazioni paiono bombe poggiate sul pianerottolo di casa nostra.

Le persone, le situazioni, le verità che paiono più recondite e impensabili vengono a prenderti , a stanarti e ti costringono a fare i conti con te stessa e con ciò che  sei stata fin’ora. Arriva un tempo in cui non c’è più scampo. In quei momenti manca il fiato e le forze vengono meno ma la vita  è un susseguirsi continuo di fantasmi che vanno presi per mano e fatti sedere sul divano accanto a noi. Malattie,  tradimenti,  persone del passato,  morti,  strappi, nascite, incidenti, aborti: ogni  avvenimento accade per mostrarci altro da ciò che è sempre stato. Ora lo so. Con certezza.

La violenza di certe deflagrazioni è pari alla passione e all’energia con cui affrontiamo ogni santo giorno che ci viene concesso e l’aria di cambiamento che si respira nel “dopo” è quella del non ritorno. L’altro da prima.

Ci hai mai pensato? Forse anche per te è stato lo stesso. Il tuo Ulisse si è congedato da te nel momento che tu credevi fosse l’apice della vostra passione e del Vostro amore.

 “Come è possibile, lei/lui mi amava così tanto, eravamo felici, come ha potuto farmi una cosa del genere proprio in quel momento?”

Questa la domanda che tu ti sarai posta, senza ombra di dubbio, e che in molti si pongono quando vengono traditi o abbandonati proprio nel bel mezzo di un amore che “funziona”. Ma perché l’amore ha un funzionamento? Ha una lettera d’istruzioni? Vive di meccanismi propri indipendenti dai protagonisti?E soprattutto, l'amore è programmabile?

Penelope mia, questa settimana ho compreso l’incomprensibile.

Ci si ammala per l’incapacità di esternare i propri sentimenti, si muore in un dato momento e in un dato luogo dando senso alle vicende umane di qualcun altro che, in quegli stessi frangenti, sta vivendo rivoluzioni occulte del suo essere o del suo convivere e, ancora, ci si può avvicinare a chi non ha nulla in comune con noi scoprendo poi che i fili che ci tengono uniti sono talmente resistenti da risultare addirittura atavici.

Lo sapevi che il tumore, il male padrone di tutti i mali, sopraggiunge in alcuni punti precisi del corpo che hanno corrispondenze con le nostre storie emotive di madri, padri, figli? E’ provato scientificamente che l’incapacità di far fuoriuscire da noi rabbia, dolore o gioia ed entusiasmo è in grado d’innescare la formazione di cellule malate dentro il nostro corpo che, moltiplicandosi a vicenda in modo esponenziale, provocano la malattia.

Siamo esseri capaci di accumulare strati infiniti di “cattivo sentire” che si espelle attraverso il  disagio fisico o il dolore dell’anima, se prima non si è trovato un  modo alternativo.

Si rompono parti di noi, i denti ad esempio, che hanno rispondenze inconsce con il nostro maschile o il nostro femminile. Muoiono amici di amici, persone di cui sentiamo solo  parlare, ma il cui nome risuona dentro di noi toccando le corde di storie che , come quelle persone, vanno ormai sepolte. Veniamo indirizzati in luoghi che, guarda caso, impattano con forza sulla nostra memoria emotiva oppure ci troviamo coinvolti in disastri altrui che non fanno altro che parlarci di noi o di pezzi del nostro passato.

Allora spiegami tu dov’è la casualità in tutto questo. Ti prego, fallo!

Se il  tuo uomo non ti avesse  salutata proprio in quel momento d’amore tu non l’avresti atteso e non ti saresti data prova del tuo valore di persona e di donna. Hai fatto la tua scelta, Penelope, e sei stata in grado di mantenerla; fragile e forte insieme, donna e uomo in uno, candida e stratega hai scovato il tuo  espediente per restare a galla e ce l’hai fatta. Sei restata sola e fedele al tuo Ulisse in mezzo a mille grovigli di fili colorati, li hai dipanati con maestria per dare forma alla tua arte di femmina che seduce con gli occhi ma che preserva il corpo solo per lui.

Lui ti ha congedata e tu hai dato prova del tuo essere; se lui fosse rimasto tutto questo non sarebbe accaduto. Non ci sarebbe stato un abbandono a cui è seguita la maturazione di una crisalide e la metamorfosi in farfalla di una donna che in dono ha avuto il ritorno. Sono certa che il dopo sia stato altro dal prima, sono certa sia stato amore.

L’inconscio piega, dirige, spacca, raggela ma la sua direzione è sempre e solo una: il centro.

Tutto il mio essere in questi giorni è prostrato nella condivisione di dolori con le persone, di famiglia e non, che più amo al mondo: mi lega a loro il filo forte e fragile dell’affetto concreto, senza fronzoli o false ipocrisie.

Mi rivolgo al tuo mare Penelope, alla tua casa Ulisse, mi rivolgo a voi collanti d’amore e abitanti dell’altrove.

Proteggete i miei affetti, infondete loro la forza di abitare spazi fuori dal tempo e dal vento per poter ritrovare una via qualsiasi verso casa. 

Che il punto di non ritorno diventi l’approdo verso la forza del nuovo.



sabato 13 settembre 2014

ULISSE, OCCHI D'INFINITO

Caro Ulisse,
la tua voce scalda, la tua barba folta solletica i miei sensi. Innanzi a te, uomo astuto e dai mille volti, mi spoglio di tutte le mie vesti, abbandono ogni orgoglio, ideologia femminista o pseudo tale, e mi mostro a te, nuda. Quel tuo sguardo saggio e ricco di esperienza seduce voluttuosamente anche me stasera.

Io non sono lei ma da lei traggo nutrimento e ispirazione perché è la sorgente da cui sono partita per arrivare all’altrove. Tu hai scelto di partire per il tuo viaggio mosso dal tuo senso di giustizia, dalla tua curiosità e da un’indiscussa indole eroica; Penelope è diventata l’eroina dell’amore che attende mentre io mi arrabatto in questa ricerca infinita di libertà e verità.

Un po’ di te e un po’ di lei sono in me. Mi tenete compagnia lungo il viaggio. Tu, lei, soprattutto lei.

Sei stato molto amato, uomo di presenza piena anche nell’assenza ed eroe inconfutabile di un destino colmo di lotte e pericoli. Amato da lei, ma non solo, hai calamite nello sguardo e fuoco nelle parole. Sappi che non sono qua per lodarti, sai bene cosa penso di chi fugge; io desidero leggerti dentro per comprendere cosa c’è in te che valga la pena di essere “atteso”.

Astuzia, intelligenza, sete di conoscenza fanno di te l’eroe ma di quale pasta è fatto l’uomo? Chi eri prima di acquisire il fascino sapiente di vagabondo del mondo?

Un uomo assetato di sapere, radicato nel cuore della sua donna e di suo figlio, un uomo di esperienza  e coraggio ma soprattutto  capace di amore. Il fascino emanato da chi ha amato molto nella vita non ha pari, uomo o donna che sia.

Ora ti spoglio di qualsiasi identità e parlo a te, eroe dai mille nomi.

Ti ho visto di sfuggita, un’estate in riva al tuo mare. Ti ho osservato da lontano dietro i miei occhiali scuri e, dietro al volto scavato dal sole e dal tempo, occultato da una barba folta e ingrigita ed ho intravisto lo sguardo lucido e consapevole di chi ha amato e sofferto. Amore e dolore, Ulisse, fanno di te la fantasia di ogni donna; il mistero del silenzio e del non detto ad ogni costo condiscono l’atmosfera. Sei essenziale nella dolcezza e nella forza, vibri di desiderio e non nascondi il tuo spiccato individualismo. Occhi lucidi di emozione al rimbombo del mare, tua casa itinerante. Ali e radici hai in te, ali e radici doni a chi ami raccogliendo altrettanto infinito amore.

Ti ho osservato da lontano, quell’estate in riva al tuo mare ed ho visto un masso granitico accanto a te. Il tuo senso di colpa ti sovrastava e tu parevi un bambino accanto a lui. Dagli forma Ulisse! Io ho visto una grossa pietra, tu cosa vedi? Dare forma e colore ai dolori aiuta a collocarli nello spazio e nel tempo, a ridimensionarli per riporli, poco a poco, al di fuori delle nostre stanze private. Plasmare, rimpicciolire,accettare  e non giudicare sono i passi verso la libertà che tu hai conquistato viaggiando ma che hai dovuto smussare nuovamente al tuo rientro.

Come si fa a tornare da una donna dopo vent’anni? Come si riaccende l’interruttore dell’amore e della passione? E non venire a dirmi che è sempre stata viva. 

Dopo tutto quel tempo, non ci si conosce più e il ricordo dell’altro rischia di essersi impallidito, o peggio, trasformato in una mera  illusione. Non posso credere che sia stato tutto meravigliosamente fluido e romantico; ci saranno stati gli screzi dovuti alle ripicche di chi è rimasto in attesa ed è ha provato incertezza e gelosia e i rimpianti di chi, invece, torna con  la sensazione di essersi perso ciò che non andava perso. Il ritorno alla normalità è un lavorio faticoso e costante; avviene con lentezza attraverso i gesti che, pian piano, tornano famigliari, le confidenze scambiate la sera prima di stringersi, e le abitudini che, giorno dopo giorno, riprendono un ritmo comune. Leggile pagine di te ogni sera, prima del sonno: questa è la miglior medicina per l’amore.

Che fatica i ritorni!

Per chi è andato e chi è restato non sarà mai più lo stesso. Sarà altro, semplicemente altro.

Ti ho visto Ulisse, ti vedo ogni sera passeggiare  in riva a quel mare di cui scruti l’orizzonte lontano in cerca di un volto, di una stella che ti faccia riprovare quel brivido.

Gli orizzonti sono mutevoli come i desideri umani e oggi, uomo affascinante e imperfetto, comprendo ogni tua debolezza e volontà, come te,sento il suolo oscillare, come fosse un mare, sotto i miei piedi e desidero non sentirmi imbrigliata sulla terra ferma seppure la sua visione  continui a rappresentare la più dolce delle chimere. Comprendo persino la tua indole adulterina e quell’inarrestabile sete di conoscenza che impedisce di trovar pace in un unico luogo. Ora, non posso che  fare la sola cosa possibile: smetto di giudicarti.

Avvicinati Ulisse.

Sposta i tuoi capelli e fatti guardare in quegli occhi che sanno d’infinito. Sono pronta a fare pace con te.