martedì 29 luglio 2014

IO NON SONO TE, PENELOPE!

Penelope,

è accaduta una cosa meravigliosa per una neofita della scrittura come me. C’è qualcuno che ci osserva da lontano, legge e riflette sulle nostre chiacchiere: un'accanita lettrice, come lei stessa definisce, mi ha chiesto di soffermarmi sul tema appena accennato nel precedente post. Il tema dell’attesa in amore, o meglio, l’attesa ha a che fare con l’amore? Questa è la vera questione.

Non posso interrogare che te sull'argomento. In realtà t’interpello senza sosta  su molte questioni ma questa è davvero la tua materia. Una donna che aspetta il ritorno del suo uomo per oltre vent'anni non può farlo che per amore, un grande amore. Già perché, se proprio ci si deve porre in uno stato di attesa, non lo si fa per un uomo qualunque ma per colui che siamo certe di amare in modo pervasivo e totalizzante.

Credo d’immaginare cosa intendesse la mia lettrice quando mi ha chiesto di approfondire il tema e provo a risponderle in questo modo:

Ho atteso, per gli anni della mia fanciullezza, il momento della sera per poter chiudere gli occhi prima di addormentarmi e sognare lui, il mio principe. Non era bello e nemmeno mi si presentava innanzi con un cavallo bianco ma era incredibilmente affascinante, avvolgente e sapeva di buono. Amava guardarmi negli occhi, leggere oltre i miei confini e parlarmi d’amore con i suoi baci.

L’ho incontrato davvero un bel giorno. Non eravamo ad un ballo ma ad una festa qualunque e non ho dovuto scappare al rintocco della mezzanotte ma  solo salire su un muretto, uno di quelli freddi di  cemento grigio e non ho perso la scarpetta salendoci, mi sono semplicemente sbucciata un ginocchio. Lui era lì, mi ha disinfettato la ferita, ha messo la musica nelle mie orecchie e cingendomi da dietro, ha voltato il mio capo e mi ha dolcemente baciata. Poi, fermi e in silenzio, abbiamo osservato la città dall'alto.

Eravamo giovani, inesperti, con nessuna idea della vita e dell’amore.

Abbiamo imboccato la coraggiosa via della vita insieme abbandonandoci l’uno all’altra con fiducia e disarmante passione.
Tra questo bell’inizio e il lieto fine della storia, mille sono le variabili dello sviluppo di un amore  e altrettante le motivazioni che talvolta lo conducono ad incagliarsi sui massi delle incomprensioni, delusioni, tradimenti o semplici trasformazioni.

Il mio amore, cara lettrice e adorata Penelope, si è incagliato sulla gigantesca montagna della trasformazione, quella radicale di uno dei due componenti della coppia, quella che, ahimè, non permette più all’altro di riuscire a tenere il passo. Perché l’amore è anche questo, tenere lo stesso passo in due oppure attendersi a vicenda in una danza continua. Prima uno e poi l’altro. Arrivo, abbi un po’ di pazienza: tendimi la mano e sarò lì a breve. Mi aspetti? Ce la fai o scegli la strada più semplice? La fuga, il tradimento o, peggio ancora, il restare fintamente?

C’è chi attende l’altro con pazienza, un po’ di sofferenza e molto amore. C’è chi sceglie vie più comode e fugge in mille modi decidendo di preservare unicamente se stesso. Entrambe le soluzioni portano ad un epilogo più o meno felice e sottintendono ad una scelta ben delineata. In tali casi l’attesa, sia che venga attuata come atto di volontà, di amore o di sottrazione di sé , si manifesta come una possibilità che può essere scelta o negata.

Un solo elemento è in grado di fare la differenza tra un’attesa sana e un’attesa vana: la consapevolezza. 

Che l’attesa, qualunque sia il motore che la muove, non venga subita in modo involontario ma sia, invece, attiva, fertile e portatrice di frutti, altrimenti si tramuta in tempo sprecato e unicamente vissuto in funzione dell’altro.

Il mio amore, cara lettrice, si è trasformato ad un certo punto nell’attesa di un qualcosa che non esisteva più in quanto caduto in preda a trasformazioni ormai irrefrenabili. La mia attesa è stata vana perché è durata troppo tempo ma soprattutto non vi era nulla, nella realtà oggettiva dei fatti di quegli anni di attesa, che mi fornisse appigli concreti per poter alimentare una simile speranza. Quando ti illudi di trovare agganci in sguardi che non ci sono o in manifestazioni di semplice affetto scambiandole per amore, è proprio lì che ti devi fermare. L’attesa del nulla non porterà a nulla se non ad aggiungere dolore a dolore e disistima ad un già bassissimo amore di sé.


Penelope, i protagonisti della mia storia arrivano ad un punto in cui attendere significa solamente vestirsi di viltà: uno attende che sia l’altro a smettere di attendere l’inattendibile. Un gioco al massacro, oltre che un gioco di parole, in cui il lieto fine è l’esatto contrario del “e vissero felici e contenti”. Nessuno mai dovrebbe arrivare ad un tale punto di svalutazione del sé. Mai.

A te non è accaduto, la tua è un’altra storia. L’amore non si è incagliato, si è semplicemente allontanato. Ulisse ha scelto altro da te per vent’anni della sua e della vostra vita insieme. Mosso dal suo senso dell’onore e della giustizia ti ha detto un giorno:“Parto. Vado a combattere le mie guerre ma tornerò da te. Non posso saper quando ma tornerò”.

Ti sarà preso un colpo amica mia, puoi dirlo. Quale donna accetta un’affermazione del genere senza battere ciglio? Il proprio amore lontano, chissà dove e chissà per quanto tempo. Un incessante incedere di CHISSÀ. Un terreno incerto su cui decidere se e come restare, con quali prerogative e soprattutto con quale fede.

Perché amare è un enorme atto di fede e restare in attesa lo è due volte tanto. Per cui cara lettrice, per attendere ci vuole coraggio ma soprattutto la capacità di saper guardare a fondo la realtà, senza infiocchettarla con ciò che desidereremmo ma semplicemente per quello che è. 

La consapevolezza , ancora una volta, è la sola che ci salva e ci guida nella possibile scelta di un’attesa. Vale la pena vivere in attesa di un “Chissà quando?”

Oggi dico no.

A noi capita così Penelope,


"Non vissero felici e contenti ma consapevoli e interi!”



martedì 22 luglio 2014

NESSUN CONTROLLO CAPITANO!

In questi giorni si rafforza in me una certezza incrollabile.

Per quanto riconosca a noi esseri umani una certa importanza per complessità, rarità e bellezza, mi rendo perfettamente conto di quanto sia vitale relativizzare  il valore che conferiamo a noi stessi in questo nostro meraviglioso mondo. Mi avvicino a questa consapevolezza quando sperimento le cose “incontrollabili”, o meglio, quelle su cui non è possibile esercitare controllo perché accadono e basta.

Arrendiamoci al fluire di un’esistenza che non sempre avverte con segnali precisi e proviamo a prenderci un po’ meno sul serio Penelope, lo dico a me ed anche a te.

Nonostante io sia una fervente sostenitrice del “non caso”, o meglio, del “nulla accade per caso” avverto che,  in alcuni frangenti la vita, svolta improvvisamente, vira in preda ad una raffica inafferrabile di vento e l’unica maniera per restare vivi è farsi travolgere e attraversare dallo sgomento, dalla sorpresa e riprogrammare i nostri files interni alla luce di quanto appena accaduto. Esistono situazioni, la minoranza per fortuna, che ti piovono  addosso senza che si possa fare alcunché per evitarle.

Le disgrazie aeree di questi giorni, le malattie che si presentano o si ripresentano ad un nostro caro, le visite di un ladro che ci ruba ogni nostro tesoro mentre stiamo tranquillamente dormendo nel nostro letto o la notizia di un decesso davvero impensato. Questi alcuni esempi negativi ma le improvvisate della vita possono anche avere sapori più dolci e positivi.

A te Penelope cosa accade nella vita di tutti i giorni? Non puoi attendere tutto il tempo e basta. A proposito dell'attesa, faccio una breve divagazione per dirti che  proprio ieri sono stata interrogata da un amico che mi chiedeva se secondo me l’idea di attesa avesse a che fare con l'amore: ho pensato che avrei dovuto interrogarti sull’'argomento ma, istintivamente, ho detto Si! E dopo ho pianto.

Non divaghiamo più che è meglio per tutti.

Dimmi, cosa ti accade di incontrollabile? Hai pianificato ogni cosa e tutto è andato secondo i tuoi piani? Nessuno ti hai mai rubato la tela? E se fosse accaduto, quale altro stratagemma avresti escogitato? Non ti sei mai innamorata di un altro uomo pur non desiderando che accadesse?E se Ulisse non fosse tornato, dove saresti andata? Cosa avresti fatto della tua esistenza?

L’incontrollabile può anche essere bellissimo eppure non sempre, quando accade, siamo in grado di scorgere quella bellezza. Voglio indagare il lato splendido di ciò che esce dal controllo e non è, pertanto, contenibile nel perimetro delle nostre false certezze.  

La prima cosa bella che mi viene alla mente è l’amore che ti trova, ti stana e irrompe proprio quando non lo cerchi, non lo desideri o non credi di averne bisogno. Cosa esiste più fuori controllo dell’amore che arriva e non ti lascia girare il capo dall'altra parte? O di un figlio che viene concepito proprio quando “non era il momento" magari con la “persona sbagliata”?

Queste sono BOMBE che scoppiano nei giardini delle nostre case ben circoscritte, delineate e arredate con i mobili che abbiamo creduto di scegliere per tutta la vita immaginandola meravigliosamente sicura e al riparo da ogni inconveniente spiacevole o inaspettato. Ognuno di noi, io stessa Penelope ci sono cascata, è pervaso dalla falsa credenza che il “buon comportamento” ci renda immuni da certe situazioni ma nulla è più fuorviante di un tale pensiero.

Scrivo e in sottofondo la musica del Titanic mi fa ricordare che quell'avventura disastrosa iniziò proprio come la vita di tutti noi: salirono tutti su una nave gigantesca e meravigliosamente arredata, una nave di lusso in viaggio verso una meta lontana benché raggiungibile. Una metafora della vita di chiunque. Sali a bordo colmo delle migliori intenzioni, tutto è perfetto: l’ambiente, i compagni di viaggio, la cucina, gli svaghi. Sei sicuro che nulla potrà impedire il tuo arrivo a destinazione eppure, un qualcosa di non calcolato accade e a quel porto, quello che avevi  in mente e ti sei immaginato innumerevoli volte, non arriverai mai.

Ho conosciuto una donna nella mia vita che ha agito davvero da copione e, pur di rimanere fedele a quella sceneggiatura, ha resistito affettatamente, sopportando cose inaccettabili, certa che un giorno sarebbe stata ripagata per la sua forma sempre straordinariamente ineccepibile. Oggi sta invecchiando priva di tutto ciò che ha perseguito con tanta convenzionale tenacia priva di passione e cuore  e, purtroppo, la rabbia è diventata la sua più fedele compagna di viaggio. Provo compassione per lei.

Mi fai paura Penelope, come tutti coloro che non parlano e non dicono.

Non posso pensare che il tuo unico evento incontrollabile sia stata la partenza di Ulisse. I miei sono stati innumerevoli e , più vivo, più mi si ripresentano davanti. Hai vissuto tu o hai recitato una parte? Temo la tua risposta stasera ma sono pronta ad ascoltarla.

Cosa nascondi dietro quel volto da sfinge?

So che hai dei segreti da svelare. Non temere, sei normale Penelope.







domenica 13 luglio 2014

COSE DA FILM

Il mare, Penelope, ne parliamo da quando siamo approdate in queste pagine sospese nel tempo.

Ho un bisogno viscerale del suo profumo che apre i polmoni e della brezza che spazza via tutto ciò che si è accumulato durante l’anno e che ora, a fili tirati, ingombra ed è davvero di troppo.

Anche quest’anno non mancherà l’appuntamento con lui, o meglio, con lei, questa madre immensa dalla forza rigenerante nella quale m’immergo con l’illusione di una fusione totale che ricorda qualcosa di molto antico e primordiale. Gioisco all'idea di andarci con i miei figli e di tornarci anche senza loro.

Scrivo queste parole con una musica di pianoforte in sottofondo e sto pensando che la vita dovrebbe essere vissuta ogni giorno così, con il mare davanti e una musica bellissima a fare da  controcanto a tutto ciò che accade. Ogni volta che la strada si fa dura non dovremmo smettere di guardare a quella distesa d’acqua immensa, alzare lo sguardo al cielo e  sentire la musica che risuona dentro unendo le persone in un’unica grande storia. L’opera sublime della vita.

L’altro pomeriggio ero con un caro amico a fare un giro in fuoristrada nei boschi, il vento nei capelli e il sole addosso. Ho alzato lo sguardo al cielo rendendomi conto improvvisamente di quanto poco sia avvezza a compiere questo gesto. Ho guardato il cielo azzurro, la sommità di quegli alberi maestosi che facevano a gara per nasconderlo e mi sono commossa; quella visione ha toccato le corde di una piccola me accovacciata sulle gambe della mamma mentre se ne stava distesa sulla sabbia calda di agosto. Ho lasciato andare le libere associazioni e i ricordi che mi hanno tolto il fiato ricordandomi di essere ancora  figlia oltre che madre.

Su lo sguardo Penelope!

Alzare lo sguardo al cielo cambia le prospettive, rende la realtà  più sopportabile e permette, in rare e fortunate occasioni di connessione con l’inconscio, di far pace con alcune parti di un passato lontanissimo e solo apparentemente dimenticato.

Tutte le forze dell’Universo in questi giorni si attivano per ricordarmi di ricordare: “Salva i ricordi” urlano, “salva le parti belle e fai pace con quelle che fanno ancora male”. Quando avverti queste sinergie rivolte verso te, non ci si può girare dall'altra parte Penelope; è doveroso restare e farsi avvolgere dalle musiche, dai profumi e dai colori della memoria, senza fiatare e soprattutto evitando di esercitare il minimo controllo.

 Scrivo finalmente, amica dolcissima.

Provo a scrivere una storia che ha il sapore di me. Tento di salvare, scandaglio il brutto per far venire alla luce il bello: potere dell’arte maieutica della scrittura di “pancia”, come dice la mia amica artista. La vicenda, in realtà, si scrive da sola lasciando andare la mente delle reminiscenze e cessando di omettere ciò che è sconveniente: l’autenticità di ciò che è stato è la sola in grado di salvare il bello e quindi riabilitare la mia persona. Non anelo più al risarcimento ma alla riabilitazione davanti a me stessa. C’è una notevole differenza.

C’è la libertà in quella terra di mezzo.

Le vicende umane sono complesse, le drammatizzazioni possibili sono infinite e i punti di vista sono altrettanto variegati. Passa il tempo e improvvisamente ti accorgi che la storia è fatta di un numero illimitato di verità;  quella che un tempo credevi fosse l’unica, oggi, è solo una di tutte quelle possibili.

È doloroso ripercorrere certi sentieri ed oggi mi accorgo che se avessi avuto le calzature adatte mi sarei scorticata di meno i piedi, le mani  e soprattutto il cuore ma non sarei mai, e poi mai, approdata in questo porto di “tentata pacificazione” che oggi si traduce in forza vitale.

Chi si protegge non evolve e non può giungere in quel luogo in cui è davvero possibile salvare qualcosa e riappropriarsi della propria vita in piena libertà. Le mani devono sporcarsi, il cuore sanguinare e il fondo va raggiunto con un incredibile contraccolpo al culo.

Solo in seguito si rialza il capo. E dopo altrettanto tempo, lo sguardo può essere finalmente rivolto al cielo.

Oggi  voglio alzare gli occhi a quel cielo Penelope e soprattutto, certa che il cammino sarà ancora impervio, desidero continuare a scrivere con questa meravigliosa musica di sottofondo.


Con lei ogni parola, anche la più stupida, ha il sapore sublime di  “una di quelle meravigliose cose da film!”




lunedì 7 luglio 2014

RESTA E BASTA

Davanti a questa pagina bianca mi si aprono infinite possibilità.

E’ come l’inizio di una nuova giornata da vivere o l’incognita di un bambino che non conosce nulla della vita e procede per capitomboli e meravigliose sorprese. Mille strade si aprono e altrettante si chiudono quando scegliamo una cosa piuttosto che un’altra: vorrei avere le giornate di quarantotto ore e una vita di mille anni per non dover rinunciare a nulla ma è un comportamento ingordo che mal si accompagna alla semplicità e linearità alle quali anelo. O forse no?

Infondo è il desiderio di una vita piena che muove i miei passi e le mie ricerche. Devo solo comprendere dove dirigere le vele e cosa eliminare da questo piatto di dolci tutti così invitanti.

Tutto Penelope, vorrei tutto. Sono come una bambina affamata di vita e conoscenza, di relazioni e sperimentazione. Siamo sempre lì. C’è un vuoto da riempire o è semplicemente energia vitale che sgorga e non dona pace?

Quando ero giovane, anzi più giovane, ero cauta, mesta, paurosa di tutto ciò che era sconosciuto o imprevisto. Oggi sono a caccia di novità ed emozioni impreviste e possibilmente forti. Vietato il basso profilo, mi rattrista.

Ieri, oggi, l’altra donna, questa donna.

La donna di ieri si è vanificata dietro l’angolo del dolore, l’unico che, se veramente vissuto e riconosciuto, permette di “toccare il fondo” per poi rialzarsi. Eppure resto sempre con questa impotente certezza di  non aver compreso  nulla, di non essere arrivata ancora in nessun porto sicuro e di saper dare la minima parte di quanto potrei.

Cerco, scavo, indago ma la sola cosa che mi nego è, probabilmente, quella più importante. Restare. Ferma.

Se fosse questa la scelta, mai fatta fino in fondo, in grado di aprirmi l’orizzonte  a cui aspiro?

Ieri durante un lungo viaggio in treno, un giornale femminile di media qualità mi ha suggerito l’idea del meditare facendo attenzione al qui ed ora. Anche un libro letto ha già solleticato la mia curiosità in merito. In fondo, restare non è altro che questo: porre attenzione ad ogni minimo dettaglio, gustandolo fino in fondo e con piacere come quando da piccola, in estate, masticavo la  caramella della sera appollaiata sull’ultimo gradino delle scale della casa di campagna della nonna in estatico godimento.

Ecco Penelope, voglio fermarmi un po’ sul quel gradino e provare a gustare ciò che c’è. La mia amica di sempre cerca di farlo dal suo terrazzo davanti al mare di Alghero ed io, nell'attesa di raggiungerla, cerco di farlo da qui, dal mio terrazzo cittadino la sera all'imbrunire quando ogni luce inizia a spegnersi e il silenzio s’impadronisce di ogni cosa.

I momenti di compagnia con nessun altro se non se stessi sono, a tratti, ancora difficili ma rigeneranti. Come l'arte: immediata ma, allo stesso tempo, complessa da cogliere in ogni sua sfumatura. E allora voglio concedermi del tempo per guardare alla mia esistenza così come  è ed  osservarla come si fa davanti ad un dipinto o una scultura. Ciò che creerà movimento e danza dentro la mia anima saranno le diverse angolazioni da cui  mi posizionerò ad osservare.

Sarà da un terrazzo, in mezzo ad una folla di persone, al limite di uno strapiombo o sotto l’acqua del mare che resterò e osserverò facendomi chiamare per nome. E basta.

Tu Penelope hai il mare davanti. Usalo, guardalo, odoralo, immergiti in esso e parlagli come se fosse un bimbo che sta per nascere o un fiore che sta per sbocciare. Attendo di sapere come è andata e cosa ti è stato suggerito dalla sua voce rigenerante.

Questa era una pagina bianca ed ora è una pagina scritta in cui si susseguono pensieri e propositi che prendono forma e consistenza, dai quali mi libero per far spazio ad altre pagine bianche da scrivere e dipingere in libertà.