Prima di ripartire, cara Penelope, è necessario purificare il cuore, il corpo e le idee.
Mi hanno consigliato
di scrivere e poi gettare ogni parola nel fuoco. Il fuoco purifica.
L’ho fatto.
Ho preso un foglio
protocollo a righe, uno di quelli che i bambini usano per i compiti in classe e
ho scritto. Ho scritto le cose che mai avevo detto nemmeno a me stessa. L’ho
fatto una sera mentre loro dormivano nella loro stanza.
Ho scritto con rabbia.
I tratti della mia calligrafia risultano incomprensibili e disordinati almeno
quanto l’inesistente logica dei miei pensieri.
Ho acconsentito a una
tale forzatura con l'assurda volontà di liberarmi della mia vecchia vita una
volta per tutte.
Tu credi sia
possibile? Io no ma occasionalmente cedo alla forza delle illusioni.
Il tempo impiegato
per riunire tutte quelle emozioni e metterle su carta mi è parso sprecato.
Altro tempo dedicato al dolore. Altra energia rubata alla mia vera vita.
Poi ho preso un
fiammifero dall'ultimo cassetto della cucina, un giorno o l’altro dovrò
cambiare posto agli oggetti di questa casa, e gli ho dato fuoco. La fiamma si è
subito propagata su tutto il foglio inghiottendo le parole scritte con
l’inchiostro nero e in un attimo tutto quel groviglio di segni disordinati ed
isterici si è trasformato in cenere.
Sono nella mia
cucina, luogo di vita e nutrimento.
E’ mercoledì sera, un
mercoledì sera come tanti. I bambini dormono e io ho preso la decisione di
disconnettermi dal mondo. Abolisco volutamente telefonate, tv e computer: nulla
che mi dia l’illusione di non essere sola.
Stasera voglio stare
sola. Felicemente sola. Assennatamente sola.
Cerco di svuotare la
mente da ogni pensiero ma è un esercizio inutile: la mente è per eccellenza il
luogo dove turbinii interni, mormorii e grovigli si accavallano l’uno
sull'altro prendendo forme talvolta inaspettate.
Guardo questa cucina
bianca e improvvisamente vorrei colorarla, arricchirla di macchie cromatiche
ovunque. Non importa quale sia il colore ma basterebbe che questo finto candore
scomparisse una volta per tutte. La purezza di questo bianco non mi appartiene
più, non trova più posto qui. Qui dove tutto è cominciato e tutto è finito. Qui
dove le anime hanno cambiato forma e messo le ali.
Mi sono sporcata finalmente e la confusione è entrata in queste
stanze.
La confusione mi rassicura. La
certezza mi gela dentro.
Nel caos posso decidere di cercare, rimescolare,
trovare o non trovare, perdere tempo, prenderlo o fingere che non arrivi mai.
Diversamente, là dove tutto è ordine
e ogni cosa ha un suo posto predefinito, non esistono alibi e nulla è comodo o ambiguo.
La consapevolezza è ordine ed io, pur reputandomi una donna consapevole, vivo
nel disordine appositamente reiterato nella cieca speranza di non dover vedere?
La mia fatica dell’anima consiste nel
battezzare ogni emozione e ogni azione con il suo nome senza infiocchettarla
con significati improbabili e non aderenti alla realtà.
Questa è la mia resa dei conti Penelope.
L’autonomia della mia persona e la verità nuda e cruda.
Ti sto lasciando il tempo per riunire le idee e raccontarmi come è andata a te.
Ti aspetto sorella.
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