martedì 5 maggio 2015

DALLO SPLEEN AL DESIDERIO


Penelope, 
credi anche tu che i sentimenti malinconici ispirino maggiormente la creatività rispetto a quelli di gioia e serenità?

Mi ritrovo a pensare, uniformandomi alla credenza comune, che un bravo scrittore o pittore possano dare il meglio di loro stessi  se ispirati da emozioni uggiose e tristi.

Avvolta in tali pensieri, il ricordo antico dello spleen di Baudelaire,argomento analizzato fino alla nausea dalla prof. del liceo, s’impossessa di me e sorrido al pensiero che oggi, quasi trent'anni dopo, quel concetto si sia ormai così ben incasellato nella mia esistenza di donna adulta. Durante gli anni del liceo una concezione cosi altamente decadente, volta ad esprimere il disagio esistenziale in tutte le sue forme, era ben lontana dal mio sentire seppur  intimamente connaturata  alla condizione di quegli  anni conclusivi del periodo adolescenziale. 

Nelle parole gravose di certe poesie ricordo la sensazione di chiusura, angoscia e rifiuto dal mondo: non ho mai scordato la spiegazione in classe di quella poesia, L’Albatros, in cui “i re dell’azzurro” catturati dai marinai durante le loro scorribande, si trasformano, in pochi istanti, in esseri brutti, ridicoli e goffamente appesantiti nelle mani dei loro aguzzini. Un secondo netto per passare alle stelle alle stalle. Un “principe delle nuvole” incastrato nelle sue stesse ali che non riesce più a librarsi in cielo e soccombe inerme incarnando la tristezza di chi, stremato, dice “Basta!”

In questa immagine, come in quella dell’anima del poeta descritta come una “tomba” in Le mauvais moine, ci rivedo quella di tanti uomini e donne di oggi che, per qualche motivo, sono stati fagocitati dalla vita e dal dolore che inevitabilmente essa comporta senza più riuscire a svincolarsene. In molti hanno deciso di fermarsi, dire basta e credere che la felicità non sia più un qualcosa di concretamente raggiungibile e fruibile. Il loro assunto sottinteso sembra essere “ meglio non aspettarsi nulla di buono perché tanto nulla di quanto accadrà potrà essere davvero buono  poi, se mai dovesse capitare una cosa bella nella vita, è meglio non viverla affatto perché tanto poi finirà inevitabilmente per tramutarsi in sofferenza”. Una sorta di mantra.

Oggi ho imparato a rispettare ogni idea anche se profondamente distante dalla mia: sono ampiamente in grado, anche di fronte a certe aprioristiche affermazioni, di fare un passo indietro ed avere riguardo. Mi siedo, accolgo, non comprendo ma indietreggio silenziosamente perché il confine tra il manifestare poderosamente il proprio pensiero, disappunto o incomprensione e la mancanza di rispetto per la libertà dell’altro è davvero troppo labile e non intendo valicarlo.

La libertà di azione e di pensiero è imprescindibile.

Mi siedo, Penelope, e prendo coscienza che il diverso da me è un mondo a se stante, rispettabile e perfettamente logico pur nella sua indecifrabile lontananza. 

Ciclicamente la vita riserva meravigliose sorprese che sbocciano sul cemento ma non sempre sono compatibili con i nostri modi “astratti” di intendere la vita. C’è chi si fa catturare come quel volatile magistralmente descritto da Baudelaire o chi quelle ali non smette di sbatterle nemmeno quando sono imbrattate di argilla.

Infondo  è sempre e solo una questione di scelte non fosse che, in certi frangenti, le scelte sono non scelte poiché dettate da false credenze che irrigidiscono e non lasciano liberi.

Non mi azzardo a ragionare sulla libertà per non risultare ridicola ma mi concedo il lusso di fare un breve excursus sul concetto di desiderio che ha popolato i miei sogni delle ultime notti. Il sipario del mio inconscio si è aperto sull'immagine di una pochette, una borsetta, da matrimonio di quelle nere, rigide, eleganti e austere al cui interno compare una rosa rossa, simbolo di desiderio, passione, amore. 

Ecco, mi piace pensare che tutti noi, uomini e donne, siamo provvisti di eleganti e rigidi involucri che ci portiamo appresso nelle nostre giornate colme di lavoro, impegni, incombenze e responsabilità; altro non sono che le nostre facce e figure, più o meno belle, affascinanti o interessanti. Ma dentro a questi sguardi e a queste maschere c’è davvero la rosa rossa? C’è per tutti?

Io credo di si Penelope.

La definizione stessa di Desiderio  dice che si tratta di "uno stato di affezione dell'io consistente in un impulso volitivo diretto ad un oggetto esterno, di cui si desidera la contemplazione oppure, più facilmente il possesso".

L’affezione è un sentimento forte, un affetto, una sorta di passione, una spinta vagamente violenta, che ci conduce a possedere ed appropriarci di ciò che ci fa star bene. Punto. Senza se se senza ma. Se diamo ali al desiderio non possiamo stare fermi  in noi stessi: desiderare ci porta fuori da noi, verso l’altro da noi. Se non ci muoviamo da dove siamo significa che non siamo connessi con quella parte vitale.

Fuoriuscire dai nostri confini è pericoloso ma anche maledettamente reale, cara amica mia. Ulisse l’ha capito prima di chiunque altro, prima di te e di me. Ha sentito un irrefrenabile istinto alla fuga, alla ricerca di sé,  del mondo ed è andato via da tutto e tutti,  anche da te. Nonostante te.

L’amore per se stesso è stato più potente di ogni cosa e oggi, ma solo oggi, io depongo le armi e smetto di condannarlo per questo.

Ti perdono Ulisse, senza presunzione alcuna. Semplicemente, oggi ti comprendo. Ho gli strumenti per potermelo concedere.

La rosa rossa, il nostro desiderio, non è un optional a pagamento bensì un accessorio di cui tutti siamo dotati: è l’anima intrinseca del nostro essere che abita sotto i nostri begli involucri fatti di tutto e di niente. Quella rosa vive, sboccia e profuma  solo se ci occupiamo di lei e la esponiamo alla luce anche rischiando che appassisca. Si rischia in questa operazione di cura verso se stessi e tu hai rischiato di perdere ogni cosa.

Abbracciami ora.