mercoledì 23 aprile 2014

AFFRATELLATEVI!

Figli.

Ne ho avuti due Penelope perché averne uno solo è una crudeltà, per lui o lei. Ne ho voluti due nella speranza che potessero aiutarsi, sostenersi e divertirsi insieme. Per me, avere un fratello o una sorella  ha il significato meraviglioso e utopistico dell’esserci: una presenza certa nella vita, una persona su cui poter contare anche quando tutt'intorno  è un deserto.

Sono in tanti a dirmi che la realtà è spesso meno idilliaca del mio ideale ma sono così legata a questa fantasia che proprio non voglio distaccarmene. Faccio i capricci, Penelope.

Ho desiderato immensamente un fratello o una sorella che condividesse con me gioie e dolori dell’infanzia, comprese le serate in cui mamma e papà erano nervosi o imbronciati per chissà quali ragioni, i giorni pre partenza vacanziera con tanto di aspettative ed eccitazioni del momento o le confessioni strappalacrime prima del sonno. Condividere le dinamiche famigliari, belle o  brutte  che siano, cementa e unisce più dello stesso sangue: intuire l’umore di mamma in presenza dei nonni paterni, leggere la fatica sul volto di papà davanti all'ipotesi di un pomeriggio di shopping o vivere l’atmosfera nervosa di una cena in cui si commenterà un brutto voto, una nota scolastica o un’importante notizia, sono alcune delle esperienze che unificano e congiungono le anime in modo eterno.

L’esperienza famigliare condivisa da piccoli, negli anni della crescita, lega per la vita. Ti affratella o ti assorella per sempre. Che meraviglia!

Credo sarei una persona diversa se avessi potuto vivere tutto questo con qualcun altro.

Ci sono giorni in cui mi sorprendo ad invidiare i miei bambini. In quei giorni sorge in me il bisogno atavico di accertarmi che loro comprendano quanto sono fortunati a non essere soli e allora mi affanno a dire , a spiegare loro, con mille esempi, quanta fortuna è nelle loro mani. Ma spesso, il mio tempismo non è perfetto e capita che io faccia le mie orazioni mentre si accapigliano per un dispetto o un dopo una furiosa litigata. In tali frangenti  sono loro a spiegare a me che essere in due, sempre, in ogni istante, è bello si ma anche faticoso perché l’altro, con la sua “altisonanza” da primo figlio o la “cucciolaggine” tipica della piccola di casa, semplicemente ROMPE!

E allora, Penelope, mi risveglio e torno nei ranghi della ragione rendendomi conto che, se sono io ad aver avuto una mancanza non è l’altro che deve farne le spese, soprattutto se si tratta di un figlio.

I figli, li mettiamo al mondo con una buona dose di autocompiacimento (lo facciamo tutti, nessuno escluso) oltre che per amore, e sento che quanto ci aspettiamo da loro, spesso, è privo di senso perché attiene al nostro personale bagaglio e non al loro. Quello è tutta un’altra storia.

Voglio lasciarli liberi ma, sopra ogni cosa, desidero essere una madre rispettosa dei bagagli che la vita porrà loro sulle spalle. Dovranno essere in grado di portarli con dignità e consapevolezza.

Se vorranno, io sarò lì altrimenti, saprò farmi da parte.

In uno, in due o in tre l’esperienza del crescere è una meraviglia da vivere e a cui assistere. Chi diventa genitore ricomincia il processo di crescita mille volte.

Ho da imparare da te sorella. Tu hai lasciato libertà ed hai amato.

Solo chi ama può esserne capace.











martedì 15 aprile 2014

GLI UOMINI COME LE DONNE

Ci si perde tutti nello stesso modo, uomini o donne. Ne parlavo una sera di queste con un amico, degno rappresentante della categoria maschile, a cui voglio un gran bene.

Nella mia idea di scrivere una storia, un romanzo, o qualcosa che gli si avvicini,  prevarica il leitmotiv della perdita di sé come la sola strada per poter approdare a nuovi lidi capaci d’imprimere una sferzata d’aria nuova alla propria esistenza. Perdersi nel senso di uscire dalla propria zona di confort, alzarsi dai morbidi ed avvolgenti cuscini di tutto ciò che è noto per avventurarsi in territori lontani, apparentemente angusti e difficili. Quando lo fai è perché la vita ti ha condotto lì, in un modo o nell'altro.

Spesso, proprio ciò che risulta inaccettabile e inaccessibile ci attrae come una calamita contro il nostro volere. Ciò che mai avremmo voluto vivere o che ci appare “troppo" presenta il conto sfidandoci; una voce  sussurra “Eccomi, gioca con me, ti sfido. Lo faccio ora perché so che, solo ora, puoi farcela”.

Senza farlo apposta, mia cara compagna di viaggio, la storia che sto abbozzando racconta di un uomo che parte e una donna che resta. Un refrain della mia mente, un ritornello incantato da cui non mi libero semplicemente perché è frutto dell’esperienza più indelebile. Partire o rimanere, andare per ritrovare oppure perdere e, ancora, restare per smarrire o ritrovare.

Ed è qui che uomini e donne scelgono di percorrere la loro strada in modo apparentemente diverso ma, in sostanza, analogo.

Questo blog racconta il mio modo, Penelope, il nostro. Il modo delle donne. Un certo tipo di donne.

E loro? Gli uomini? I tanti Ulisse che campeggiano nel cuore di ognuna di noi quale strada scelgono? Dove vanno quando testano l’altrove? Cosa sperano di trovare e cosa trovano? Cambiano davvero durante il loro “andare” o s’illudono semplicemente?

All'uomo è più congeniale la scelta del cercare nell'altro da sé ciò che non trova dentro, del perdersi nei luoghi e nelle persone, dell’abbandonarsi in qualcosa o in qualcuno piuttosto che infilarsi dentro se stesso e restare?

E poi noi, cara Penelope, siamo così certe noi donne, di non scappare pur restando?

Io ho vissuto spesso questa illusione di una me apparentemente compatta ma scissa in mille schegge impazzite. Un assassinio interno provocato dalla fuga perenne dalla verità di un sentire ancora troppo doloroso. E la fuga ha mille facce, te lo ricordo, che tutti noi interpretiamo con una mimica ed una prodezza recitativa senza eguali. Tu stessa l’hai messa in atto con lo stratagemma della tela; fuggivi dai proci, dalle responsabilità, dall'incalzare del tempo, dal terrore che il tuo uomo non fosse con te nemmeno nel pensiero e dal peso della solitudine.

Gli uomini, Penelope!

Quanto volte l’abbiamo detto con tono al limite dello sprezzante e denigratorio. Tu forse no, tu ti sei sempre espressa al singolare ed hai misurato i toni e le parole. In questo siamo profondamente diverse.

Ma che ne sappiamo noi degli uomini, dei loro mondi e dei viaggi della loro mente. Sono questi ultimi  in grado di spiazzarci privandoci di certezze che sembravano assodate o viceversa regalandoci sorprese di una meraviglia inaspettata.

E allora, lo sostengo ancora più a gran voce; ci si perde e ci si ritrova allo stesso modo, uomini o donne. Metto fine alle retoriche generalizzazioni che non trovano radici nei vissuti dei protagonisti stessi delle storie di ognuno di noi.

Sembra difficile per una come me che si diletta a scrivere, dare voce ad un personaggio maschile che decide di andare via e perdersi nel mondo perché la contingenza della sua vita gli è divenuta ormai impossibile ed impraticabile. Per farlo, in realtà, devo solo immaginare a come mi sarei persa io se me ne fossi andata, se avessi detto “mollo la presa, me ne vado via!”. Dove sarei andata? Cosa avrei fatto? Con quali surrogati di verità mi sarei consolata?

Ci si perde in mille modi per ritrovarsi oppure no, donne o uomini.

Si Penelope, io ne parlo al plurale. Non posso fare altrimenti. Li sto conoscendo, studiando e interpretando gli uomini. Oggi so cosa apprezzo in loro e cosa invece non posso davvero tollerare.

Prima la mia attenzione si era concentrata su un solo “Ulisse” mentre ora il raggio diagnostico si è allargato  al fine di reimparare a conoscerli e ad amarli.

L’amore Penelope è il solo miracolo che salva ognuno di noi, uomo o donna.

Tu continua ad amare.

Io imparo tutto da capo.



venerdì 4 aprile 2014

POSSO SEDERMI TRA VOI?

Chi lavora nel campo dell’arte mi racconta che l’energia creativa che si sprigiona da un’opera può irrimediabilmente folgorare chi la guarda. Si crea un contatto tra anime simili, spogliate di ogni veste e identità. L’opera chiama, attira a se facendo vibrare le corde più esposte di chi osserva.

Da questo incontro di energie può partire una storia. Una storia d’amore.

Mi è accaduto con una fotografia di un artista italiano che ritrae un’imbarcazione al largo dell’arcipelago delle isole di Mentawi in Indonesia.

L’immagine è semplice. Una barca con a bordo due persone: l’atmosfera pare leggermente sfocata quasi a voler trasmettere la sensazione di umidità tipica di quei luoghi. Sulle destra si scorge una lingua di terra, rassicurante appiglio di certezza in mezzo all'acqua sconfinata. E’ come se respirassi quell'aria bagnata e pesante, come se fossi lì tra quei due individui posizionati uno a poppa e uno a prua, armati di un unico remo a testa. In mezzo a loro si espande uno spazio importante intervallato da merce indefinibile.

Posso sedermi qui tra voi?

Non proferiscono parola, conducono lentamente la barca e osservano il paesaggio circostante. Quella è la loro pausa dal vivere, o viceversa, l’essenza stessa del loro essere al mondo. Percepiscono la mia presenza senza scomporsi, mi accolgono nel silenzio e in esso m’invitano a stare. Intorno a noi acqua ed isole, aria pesante ma avvolgente, nessuna meta o forse troppe.

L’incedere è lento e fluido, i loro occhi carichi di sapienza e i sorrisi lucenti di consapevolezza. Sono poveri, non possiedono altro che quell'imbarcazione e loro stessi. Sono una coppia, forse hanno dei figli ad attenderli o solo degli anziani genitori. Poco importa. Non parlano, procedono cauti e fiduciosi. Compiono gesti rituali dinnanzi allo spettacolo della natura e chinano la testa come se fossero costantemente in preghiera.

Quel sacro silenzio spegne la mia naturale propensione al dialogo rumoroso. Siedo accanto a loro e mi accomodo tra le loro anime sapienti di semplicità; il sorriso dei loro volti, solo quello, mi concede una tale grazia.

Voglio pensare che si amino di un amore autentico e che il loro posizionamento su quella barca corrisponda all'equilibrio raggiunto nell'accompagnarsi: “ né troppo lontani né troppo vicini” ed era Shopenhauer a dirlo! 

Credo sia quello il segreto. Esserci sempre rispettando le giuste distanze e lasciando all'altro la libertà di essere appunto “altro”. Voglio pensare che abbiano colto il segreto del buon vivere e che se lo sussurrino all'orecchio la sera prima di addormentarsi, lasciandosi alle spalle una dura giornata di lavoro. Voglio ancora pensare che quando la morte li coglierà non saranno impreparati perché il tempo che avevano a disposizione non è stato gettato via.

Questa coppia mi alleggerisce, mi rassicura, mi ricolma di serenità e di tutta quella fiducia, che talvolta smarrisco, nel naturale dispiegarsi delle cose. Il tempo si dilata accanto a quei due ma non si spreca, l’aria s’inala anche se con apparente fatica e la meraviglia del mondo penetra in ogni poro cutaneo ampliando gli orizzonti. Questi ultimi sono illimitati come infinite sono le isole e le lingue di terra che incessantemente si svelano al mio sguardo.

Questa foto ha attratto me ed io sono entrata in lei con la naturalezza di un movimento d’aria.

L’aria dell’anima, Penelope.








martedì 1 aprile 2014

A ME LA LUNA

Leggere l’oroscopo ogni mattina è come bere il caffè. Una nuova, forse stupida, irrinunciabile, abitudine. Il desiderio illusorio di sapere come andrà, cosa accadrà ancora prima che sia. Una nevrosi moderna ed insulsa. Una delle tante.

Tu che abitudini hai Penelope?

Io ti immagino la mattina, in piedi, davanti alla finestra della tua camera da letto, intenta a  spazzolare i tuoi lunghi capelli neri per poi acconciarli sapientemente sulla nuca. Ti vedo mentre scruti l’orizzonte in attesa di un segnale luminoso, un profumo diverso o un messaggero  bizzarro che ti porti notizie del tuo amato. Mi sembra anche di scorgerti mentre danzi nuda sotto la luna piena e silenziosa per sfogare la tua rabbia e disperazione. Ci vuole fede per credere che un uomo torni da te. Ce ne vuole tanta. Dove la trovi? A cosa ti aggrappi?

Ho avuto quel tipo di speranza in passato. Ora no. Non so spiegare le motivazioni che sostenevano quella cieca fiducia perché le ho perse, non mi appartengono più.

Non rinunci alla tua passeggiata mattutina lungo la spiaggia e alle tue nottate folli  volte allo scioglimento dei nodi della tela. Non puoi fare a meno delle confidenze con la tua ancella adorata, tenera coscienza vestita da ragazza, e alle tue vezzose apparizioni davanti ai proci. Sono lì che ti ammirano, ti desiderano e smaniano per te e il regno del tuo Ulisse.

Nuove abitudini, nuovi mondi da esplorare. Hai tempo per te, sorella mia. Hai tempo per imparare.

Chissà lui, invece. Chissà se pensa a te prima delle sue battaglie, durante i suoi naufragi o nei suoi molteplici incontri ?

Ti interessa Penelope o provi quel tipo di amore gratuito che sa andare oltre le contingenze, i gesti e le parole ricevute in cambio?

Insegnami  sorella.

Tra te e lui chi impara di più sull'amore? Tu che resti e pazientemente attendi nella tua “nuova vita” o lui che sperimenta, lotta, vive e, magari ama, altrove?

Per comprendere l’amore è necessario eliminare il superfluo e badare all’essenziale, a ciò che liberamente dice il cuore. Senza vincoli e catene, con infinito coraggio.

Anche tu, come me, cerchi in ogni dove qualcosa che ti riporti al nocciolo, al vero, a ciò che vola libero  dentro di noi nostro malgrado?

Quando ti ritrovi a dover reinventare da capo una vita, è auspicabile percorrere strade nuove, fare uso di  dinamiche diverse che soppiantino le vecchie e abbandonare le certezze di un tempo fiduciosa che “tutto andrà come deve andare”. Il controllo  non è libertà, non è amore.

Allora ti annuncio che lascio perdere l’oroscopo mattutino e m’inventerò qualcosa di nuovo e più fluido, qualcosa di lontano dalle aspettative stupidamente inutili che mi permetta di respirare a pieni polmoni la bellezza di una giornata in divenire, istante dopo istante. Questa è libertà.

Sei stata molto più libera di ciò che potrebbe sembrare, Penelope. 
Hai respirato nella tua speranza senza soffocare ed hai amato senza riserve, anche da lontano.

“Difficilmente le forze benevole che popolano l’universo non danno possibilità all'amore, se è davvero tale e non è un mero bisogno, di essere vissuto”. Queste le scelte parole di una donna che stimo e che, al momento giusto, sa sempre ricondurmi sulla strada.

Oggi mi è stato chiesto di citare il passo di un libro che mi appartiene particolarmente e senti un po’ cosa ho scelto:

"Invece la prima notte in quel villaggio in India, cullato dal mormorio delle voci, gli occhi pieni di stelle, quando il padre di un altro uomo mi posò una ruvida e callosa mano da contadino su una spalla, compresi ciò che avevo fatto e ciò che ero diventato, fui consapevole della pena e dello spreco, lo stupido, imperdonabile spreco della mia vita.
Mi si spezzò il cuore per la vergogna e il dolore. Seppi quanta sofferenza era in me, e quanto poco amore. Alla fine seppi quanto ero solo. 
Ma non potevo reagire. La mia cultura mi aveva insegnato bene le cose sbagliate. Perciò rimasi immobile, senza la minima reazione. Ma l'anima non ha cultura. L'anima non ha nazione. L'anima non ha colore, accento, stile di vita. L'anima è per sempre. L'anima è una. E quando il cuore prova un momento di verità e di dolore, l'anima non sa restare immobile. 
Strinsi i denti sotto le stelle. Chiusi gli occhi. Mi abbandonai al sonno. Uno dei motivi per cui abbiamo un terribile bisogno d'amore, e lo cerchiamo disperatamente, è perchè l'amore è l'unica cura per la solitudine, la vergogna e la sofferenza. Ma alcuni sentimenti si nascondono così profondamente nel cuore che solo la solitudine può aiutarti a ritrovarli. Alcune verità sono così dolorose che solo la vergogna può aiutarti a sopportarle. E alcune circostanze sono così tristi che solo la tua anima può riuscire a urlare di dolore”.

Questo è davvero uno dei passi che potrei leggere e rileggere senza stancarmi mai. Vorrei averlo scritto io. Non l'ho scelto io, lui ha scelto me.

Le sfumature sempre nuove di ciò che intuisco sono quelle dell'anima che è sola e immutabile quanto vulnerabile e accogliente mentre i colori che scorgo sono quelli del cuore di un uomo che si abbandona e quindi ama, sotto un cielo di stelle. In questo estratto è racchiuso l'essenziale.

Io desidero la luna per abbandonare me stessa.