martedì 27 ottobre 2015

LA STORIA DI UN PUNTO IMPERTINENTE

Nuova linfa scorre tra te e me, Penelope, ora che mi sono messa in ascolto. Dare voce a te è come attingere acqua da un bacino mai vuoto e nutrirmi di un cibo corroborante e colmo di energia rinnovata.

Percepisco la tua sfaccettata natura e sento il tuo grido di donna colma di intuizioni la cui attesa non è mortificante bensì vivida e fulgida: se non avessi davvero creduto in quell'attesa, durata vent'anni, te ne saresti andata. Ne sono certa.

Credo in una sorta di presagio della mente e, ancor di più, in quella dello spirito. Ho fede nelle profezie di quell'occhio dell’anima che, se allenato con esercizio costante, vede al di là del contingente e attinge la sua sapienza da un archivio universale e accessibile.

La mente si rafforza, lo spirito si struttura e il cuore canta ciò che è e che sarà, Penelope.

Non sono pazza. So che mi comprendi perché anche tu, senza follia alcuna bensì con determinata certezza, hai invocato le forze dell’Universo per il ritorno del tuo amato. Hai riposto la tua fiducia non direttamente in lui ma in ciò che ruotava intorno a lui e poi ci hai creduto. Un atto di fede il tuo.
Una tale prospettiva ha cambiato ogni cosa e ha dato un senso alla tua attesa colorandola di un alto significato che perdura tutt'oggi al di là del risultato. In altre parole, hai atteso per istinto, per passione e perché sapevi che quella, e lei sola, era la strada percorribile in quel momento della tua vita. Quando la motivazione è forte e profonda non ci sono venti o bufere che ci possano scostare dallo scoglio che abbiamo scelto. Restiamo lì, seppur colmi di paura, integri e pieni della nostra intima convinzione.

Il concetto di motivazione è ciò che attira la mia attenzione in questi giorni di fine ottobre.

Ciò che ci muove e conduce a compiere azioni apparentemente illogiche indirizzando le nostre vele in direzioni che nessuno comprende, se non noi stessi, racchiude in sé un mistero insondabile. Voglio arrivare all'origine del segreto. Sempre che sia possibile.

Per me, dolce amica, si tratta di una folgorazione, un’intima certezza che ci coglie in modo totale e perfetto in alcuni rari momenti della vita. Una sensazione di beatitudine assoluta a cui si giunge naturalmente dopo aver appreso la difficilissima arte dell’ascolto. In molte occasioni della mia esistenza mi sono ritrovata davanti ad un bivio, ad una risposta da dare, ad una decisione da prendere o semplicemente ad una scelta da compiere e in altrettante non mi sono ascoltata.  Ho vissuto per interposta persona, ho delegato le mie decisioni al giudizio altrui, mi sono appoggiata a qualcuno oppure ho proceduto con la testa, la razionalità.

Oggi, mi ritrovo a pensare di non aver mai davvero scelto o vissuto fino a che la motivazione di ogni mia azione è stata dettata da un agente esterno, da un consenso o da un incoraggiamento che non provenisse dal mio profondo. La motivazione, Penelope, quell'intima certezza che ti rende sicuro dei tuoi passi, è tale solo se proviene da un angolo buio e nascosto di te e ti fa brillare al solo pensiero di poterle dare fiato e spazio. Avanza sorda da quando sei venuto al mondo ma si scontra contro muri, vetri, montagne di convenzioni e finti assunti di vita. Sono i falsi dogmi educativi e culturali con cui cresciamo e senza i quali ci sentiamo persi e disorientati. Non importa se ci imprigionano e ci privano del vero significato della parola libertà che, come sentivo oggi nelle parole di una canzone, "è una parola semplice se non ne conosci il significato".

Ma poi, Penelope, per tutti, arriva un giorno. Arriva quel giorno in cui:

-          Ehi che ci fai qui?
-         Come che ci faccio qui?
-         Si dico qui. In questa casa dalle pareti bianche, senza colori. E i tuoi giochi? Dove li hai messi? Le bambole, i peluches, i dadi del gioco dell’oca …. dove sono finiti? Ne avevi scatole piene.
-         Ma per favore. Io ci vivo qui. Guarda che ho da lavorare, ho la mia famiglia, i figli. Cosa credi? Non ho tempo per giocare.
-         Uhm che tristezza. Non hai tempo per desiderare, direi io.
-       Guarda un po’ te che impertinenza! Ma chi sei tu? Da dove vieni e soprattutto come ti permetti di importunarmi?
-         Non importa chi sono
-         Si che importa. Da dove vieni?
-         Non importa da dove vengo anche se voglio svelarti un piccolo segreto.
-         Quale?
-          Vengo da te!
-         Da me? Non capisco
-          Si. Io sono un punto. Un semplice punto e provengo da te.
-         Questa è bella!
-        Non sai quante volte mi hai nominato, invocato e disegnato.
-        Io?
-       Si tu. Mi hai cercato incessantemente in tutti questi anni ed ogni volta che riuscivi ad individuarmi iniziavi a tirare una riga. Procedevi per qualche tempo in una direzione e poi….
-          E poi la piantavo lì. Vero?
-        Sì. Esatto. Smettevi di disegnare. Smettevi sempre anche quando la riga era diventata una curva e poi una figura. Abbozzavi e poi..
-         E’ vero! Cessavo nel bel mezzo del divertimento, senza sapere perché.
-        Mi abbandonavi. La mano era come atrofizzata e io vedevo il tuo sguardo velarsi e diventare opaco, come se qualcosa ti impedisse di vedere limpidamente.
-         E’ accaduto ogni volta in cui non ho creduto nel disegno in cui ti stavo trasformando. Partire da te, piccolo punto, è semplice ma proseguire arrivando fino al termine dell’opera non lo è altrettanto, credimi.
-         Cedevi la matita ad altri o non eri certo di ciò in cui volessi trasformarmi. Non sapevi cosa e perché.
-          Sì, non avevo il disegno ben chiaro in mente. Soprattutto non avevo fiducia nelle mie capacità artistiche. C’era sempre qualcuno più bravo di me. Capisci?
-          Intuisco il concetto. Ma ora basta recriminare. Sei pronto a tenere la matita in mano e non staccarti dal foglio fino a quando non avrai terminato?
-          Sì, credo di sì
-     Hai una motivazione valida per arrivare fino al termine del disegno?
-          Sì ed è proprio perché la conosco che… ti coloro di rosso.

Non smettere di tessere, Penelope.



domenica 18 ottobre 2015

UNA PAGINA BIANCA IN DONO

Penelope,

non troverò scuse per il mio silenzio. 

La verità è che il desiderio pulsante di raccontarti di me è venuto meno così come la volontà di renderti partecipe della mia vita, motivazioni che finora sono bastate per scrivere queste schegge di parole che vagano nel web. Ho finalmente raggiunto quella fase in cui non è più necessario condividere per sentirmi viva e apprezzata ma raggiungo appagamento e soddisfazione anche nella mia riservatezza e solitudine. Tu sei presenza e assenza, cara Penelope, specchio e luce, roccia e sabbia sfuggente ma io ho finalmente compreso di esistere e valere indipendentemente dalla mia presenza qui e da te. 

La mia tela colorata e preziosa sta per essere rimossa dal telaio che le ha dato vita per far brillare i suoi arcobaleni nelle stanze in cui verrà esposta. Non so ancora cosa significhi per noi tutto ciò, ma so di trovarmi in prossimità di un altro guado che apporterà cambiamenti e novità.

La mia personale concezione di condivisione sta variando in parallelo alle mie esperienze e alla mia crescita personale. Un tempo condividere implicava un insano egoismo di fondo che presupponeva l’ottenimento di un tornaconto in termini di consenso e visibilità. Si insomma, si può condividere per pura gioia e trasporto oppure per trarne vantaggio e avere un'approvazione senza la quale ho personalmente rischiato, per molto tempo, di sentirmi persa, vuota ed inutile. Purtroppo la condivisione finalizzata o indirizzata, cara Penelope, manca di autenticità e gratuità.

I nostri scambi, amica di molti giorni, sono stati funzionali alle mie esigenze: la tua presenza ieratica e silenziosa mi ha dato modo di esprimermi e ritrovarmi così come il tuo muto consenso. Mi hai messa in crisi con la tua storia, mi hai aiutata a distanziarmi da te e a trovare una mia personale direzione così come ad odiarti o ad amarti oltre ogni aspettativa. Sono stata te e altro da te; ti ho rifiutata, compatita, derisa, allontana e voluta al mio fianco e ho preso, preso e ancora preso in maniera incondizionata ed egoista. Ora basta. Nell'accezione stessa del termine “condividere”, il dare tiene per mano il ricevere, unici e inscindibili nutrimenti dell’amore e della libertà.

Si tratta di fili e di direzioni, di dritti e rovesci, di nodi e tagli che vanno apportati quando si crede di essere giunti ad un altro traguardo della propria vita. Un gradino sceso o salito, poco importa, ma un passo nella direzione della consapevolezza va sempre e comunque sancito con un patto, un segno, un simbolo. E allora oggi, cara amica silenziosa, io ti comunico che il mio traguardo è il cuore, l’amore vero e autenticamente ritrovato per me stessa, la consapevolezza sempre più lucida dei miei limiti e delle mie contrastanti e conviventi nature, la pacificazione con il passato e con chi mi ha generato, la piena presa di coscienza della solitudine umana come condizione privilegiata per qualsiasi tipo di viaggio. Il mio traguardo è l’amore, faticoso e screziato da mille sfaccettature che si nutre di realtà e di sogno al tempo stesso; l’amore che non rende vittime ma costruttori e protagonisti del proprio tempo, l’amore che è in grado di dare e di espandersi.

Questo è il mio attuale traguardo e voglio sancirlo con un patto: condivisione pura e scevra da qualsiasi ritorno o tornaconto personale. Ti rendo il favore, regina del telaio, promettendoti ascolto incondizionato, gratuità piena, autentica verità e partecipazione puntuale in queste pagine.

Tu sei il mio alter-ego, opposta a me eppure così simile, di cui oggi accetto forze e debolezze. Con amore.


Riscriviamo i nostri codici, ripartiamo da chi siamo oggi, consapevoli delle parole dure che ci siamo scambiate e assumendoci anche le responsabilità dei silenzi.

Ti dono una pagina bianca su cui sintonizzare le nostre nuove energie ed essere finalmente complici.