venerdì 24 luglio 2015

LESS IS MORE

Penelope,

sono stanca.

La mia mente è offuscata da troppi voli pindarici: progetti, persone, idee, sogni. Sono in preda ad una vera e propria crisi di onnipotenza che non conduce a nulla, un circolo vizioso da cui uscirò solo con il riposo e il distacco. Andrò qualche giorno al mare, non più il tuo. Un altro mare, un’estate diversa. Troverò altri lidi e luoghi magici in cui ammirare il mirabolante spettacolo del sole che tramonta al di là dell’orizzonte e, forse, la tua immagine tornerà alla mia mente. O forse no.

Parto senza dirti nulla perché una mente troppo piena di cose non è in grado di essere chiara ed esaustiva ed io non voglio sovraccaricare anche te di inutili pesi.

Ti lascio un breve, anzi brevissimo, racconto fatto di sole 100 parole per augurarti di poter trascorrere un buon tempo tutto per te:

Marta esce di casa una mattina di fine luglio.

E’ presto. L’aria è già irrespirabile per il caldo eccessivo e lei, vestita del colore delle spose, si rinchiude nell'abitacolo della sua auto in cerca di qualche minuto di refrigerio prima di arrivare al lavoro.

Semaforo rosso. Le si avvicina un Suv impertinente come il conducente che lo guida: fissa la donna con imbarazzante insistenza. I loro sguardi si incrociano ma lei lo distoglie, fintamente stizzita.

Per la seconda volta i loro occhi si incontrano e lui simpaticamente le ricorda, nel linguaggio dei gesti,“Sorridi”

Marta scoppia in una fragorosa risata.






mercoledì 1 luglio 2015

A NUDO

Siamo tutti vittime del pregiudizio, cara Penelope.

Fatichiamo ad ammettere che esso toglie autenticità all'agire e al pensare nelle nostre vite ma nonostante ciò ne siamo indiscutibilmente schiavi. Liberarsene sarebbe come tornare neonati, completamente immersi nel bianco di una pagina ancora tutta da scrivere.

Ho toccato con mano e con il cuore la bellezza del fare cose a cui non mi sono mai avvicinata per puro pregiudizio sommessamente espresso dentro me. Là dove avrei detto no per pura abitudine al no, ho provato a dire prima forse e poi si. Ho vissuto l’improbabile aprendo strade in me e fuori da me e mi sono ritrovata su sentieri sin a quel momento inesplorati a causa di semplice pigrizia mentale o mancanza d’interrogazione.

Mi sono resa conto di avere pregiudizi su ogni cosa. Sul tipo di abbigliamento da indossare, il comportamento da tenere, sull'età giusta delle persone da frequentare, sulle regole di buona educazione, sull'alimentazione, sulle tipologie di letture da affrontare o di film da vedere, sui canoni fisici miei e altrui, su ciò che mi piace fare e quello che invece no. Davvero su tutto. Persino sulle amicizie e sugli amori che ho stupidamente catalogato di serie a e di serie b quando invece, sono le persone e i momenti di vita in cui esse compaiono nelle nostre vite a determinarne il valore.

In questi giorni ho letto il libro di un autore che avevo depennato dal mio panorama letterario in quanto l’avevo aprioristicamente catalogato come scrittore bravo e preparato ma eccessivamente vanitoso ed egocentrico nei modi e nella modalità espressiva. La mia era pura invidia. Me ne sono accorta dopo essermi concessa la libertà di leggere il suo ultimo romanzo lasciando la mente aperta e scevra da ogni giudizio. Sono felice di essermi riconciliata con Alessandro Baricco che nel suo La Sposa Giovane non si tira mai indietro ma anzi, con compiaciuta e autorizzata maestria, fa molti passi verso il lettore svelandogli il proprio personale pensiero e alcuni episodi della sua storia di scrittore. E lo fa proprio in quei momenti maggiormente funzionali all'intreccio concedendo un dono di estrema bellezza. Se fossi rimasta ancorata alla mia idea totalmente astratta mi sarei privata dell’enorme impatto emotivo che questa lettura ha avuto su di me per non parlare del palese stimolo riflessivo a cui mi ha condotto in seguito.

Anche tu, amica delle attese, sei colma dei tuoi pregiudizi su te stessa e sul mare che ha inghiottito Ulisse per anni. Il tuo preconcetto e i tuoi tabù ti impediscono di confessare alla tua anima che, negli anni di lontananza da te, lui probabilmente ha amato altre donne provando emozioni altrettanto forti a quelle vissute con te. Allo stesso modo, sempre a causa di idee infondate, non ti sei concessa di utilizzare questo lunghissimo tempo di solitudine per sperimentare nuovi amori e godere di corpi diversi dal suo. Il pregiudizio, Penelope, è una preclusione mentale che equivale ad imbrigliare i nostri istinti impedendoci di percorrere strade potenzialmente rigeneranti e arricchenti.

E se sconvolgessimo tutto? E se ci denudassimo finalmente di tutti i nostri pensieri aprioristici lasciando davvero aperte le porte? Se fossimo totalmente sinceri con noi stessi e con gli altri abbandonando convenzioni e convinzioni?

La metafora del “mettere a nudo” calza a pennello in questi giorni.
L’ho fatto. Ho accettato l’invito di un bravissimo professionista dell’immagine: uno scatto vestita e uno scatto nuda. Si vedrà solo il volto. Il mio e quello di tanti altri. Nudi e poi vestiti. Volti stravolti dalla nudità o finalmente liberi dalle costrizioni? Lo decideranno studiosi della psiche umana, non certo io. Ma io porto qui l’esperienza del superamento di un limite o pregiudizio. Un altro. Come tanti in questi anni. E la sensazione che mi porto a casa è liberante, aperta, viva: ho svelato qualcosa di me che a suo volta si è materializzato in me e sul mio volto, per la prima volta, in un istante di estrema fragilità.

E’ da quest’ultima che riparto. Dalla mia e da quella di coloro che hanno coraggio di mostrarla perché la vera forza non è né troppo articolata né troppo ostentata ma passa attraverso la debolezza.

Recupero pertanto la mia fragilità da quella donna che ho creduto di dimenticare e congelare in un passato neanche troppo lontano e mi riabilito come essere umano, allo stesso tempo, forte e delicato. Ritrovo la capacità di piangere e commuovermi davanti a ciò che oggi ancora non comprendo e permetto a me stessa di manifestare e sentire sgomento.

Ho commesso un gesto questa sera: sono andata a cercare avidamente una frase all'interno di quelle pagine di cui accennavo in precedenza. Ricordavo alla perfezione il passaggio narrativo e avevo ben in mente il punto della pagina in cui erano scritte le righe che desideravo rileggere.

Ecco, con lo stesso impeto con cui ho cercato nel corpo di un romanzo quelle parole significative per me, cercherò di riportare in vita quelle parti che ho astrattamente creduto di dover seppellire per trasformarmi in una donna forte.


Che sciocchezza Penelope!


martedì 16 giugno 2015

INTERMEZZO: L'IDENTITÀ DI UNA TELA

Ho conosciuto una Penelope moderna. 

Anche lei tesse una tela ma, a differenza tua, inserisce nella trama del suo telaio una serie di filati composti non solo di fibra ma anche di natura, parole, carta e tanto silenzio. Lavora sola, in una bottega nel centro della mia città, accompagnata dalla sua passione artistica e dall'incessante battito del suo telaio. Entrando nel suo angolo di mondo ho messo piede anche nel tuo Penelope, sono entrata in contatto con il telaio, un oggetto antico quanto misterioso e colmo di un fascino senza tempo davanti al quale ho provato vero incanto.

La tua figura ritorna, Penelope, in modo prepotente, accanto a quella di altre donne che fecero della tela la loro ragione di vita. Il tuo nome è di dubbia etimologia ma non ha importanza; ora so bene chi sei e cosa rappresenti per me. Il tuo lavorio silenzioso e misterioso ha accompagnato le mie battaglie fatte di vittorie e sconfitte, la tua calma paziente ha osteggiato il mio impeto rivoluzionario e spesso i fili che tu hai riannodato e poi sciolto hanno regalato alla sottoscritta momenti di pura libertà. Sei una donna che resta accanto nel suo silenzio laborioso. Mai come oggi riconosco il valore del “fare”, dell’occupare le mani o l’intero corpo e non solo la mente. Il fare è sinonimo di costruire sottintendendo un impegno attivo e concreto. Ecco tu mi hai insegnato questo, Penelope, a non accontentarmi dei miei voli pindarici ma ad ancorare i sogni alla realtà fatta di tutto, comprese quelle contingenze talvolta così fastidiose. Senza il disfacimento dei nodi la creazione del nuovo non potrebbe avvenire così come senza le trame ben sistemate l’ordito non può assumere la sua perfetta forma.

Torni e ritorni Penelope nei miei incontri e per le strade del mio girovagare artistico.

Il tuo nome è donna e la tua presenza, desiderata ed odiata, è costanza, certezza, riparo. Da te ho imparato l’arte della costruzione e della decostruzione, con te ho esercitato la mia vocazione alla libertà e per te ora preparo la mia tela fatta dei colori di un’anima che oggi possiede un'identità.

Mi hanno rubato alcuni oggetti nei giorni scorsi che credevo simboli necessari alla sopravvivenza del mio essere. La loro perdita mi ha fatto traballare, in preda alla fragilità, ma poi ho capito che l’identità, se ben radicata, è un fiore che sboccia dentro a dispetto di qualsiasi intemperia e resta vivido e integro anche sotto la neve o in mezzo alle fiamme. Il mio fiore è vivo e colmo di colori più che mai e tu hai contribuito a tenerlo in vita in questi anni. Di te si dice che non hai avuto identità se non quella del tuo Ulisse mentre io sostengo che la tua pazienza ha generato una energia forte e gioiosa che ha pervaso il tuo mondo e anche me nonostante tutte le perdite verificatesi lungo il cammino.

La tela che si crea e poi si disfa è l’immagine dell’anima di ognuno di noi che con fatica cerca di essere fedele alla sua natura senza cedere ai compromessi imposti dall'esterno. Quei fili annodati e poi sciolti cosa sono se non le esperienze di noi umani che quotidianamente ci imponiamo nel tempo di veglia? Una serie di regole e modalità di comportamento sempre e inevitabilmente riletti e capovolti da quel saggio maestro di vita che è l’inconscio. Lui è lì vigile, si palesa nei nostri sogni o nei nostri viaggi ad occhi aperti e ci mette in contatto con la nostra nudità e verità. E allora sì che la tela chiede di essere sciolta e poi ricreata dolce Penelope di sempre. Essa chiede di essere rimodellata sugli impulsi di un’immagine o di un volto che si affacciano nel momento più inatteso lanciandoci messaggi inequivocabili. Nessuna tela può rimanere intatta o invariata troppo a lungo senza rischiare d’incancrenirsi e sbiadire: essa si modifica giorno dopo giorno, risveglio dopo risveglio. Tu l’avevi compreso per prima. Tutti noi ti abbiamo tacciata di lentezza, inganno e stratagemma ma tu Penelope, nel silenzio di quelle notti, svelavi a te e al mondo i segreti incantati di quella parte sotterranea che aleggia in ognuno di noi.

Sei veste e nudità, alba e tramonto, luce ed ombra, intreccio e scioglimento.

Il filo che conduce la trama di una vita è colmo di intrecci che intessiamo in modo più o meno consapevole e di cui siamo responsabili sino al momento in cui decidiamo di reciderli o riannodarli ad altri. Tagliare è l’operazione più difficile e complessa, richiede sforzo, presenza a se stessi e moltissima forza. Tagliare è un’arte che non possiedo ancora ma che inizio a ritenere necessaria soprattutto in presenza di nodi che non si sciolgono. Se non li si guarda prendendone le distanze non si ha modo di comprendere l’ostinazione dura di quegli avvitamenti che creano matasse inutili. Sbarazzarsi di un filo, prezioso o meno, è dunque un atto di viltà o semplice pura sopravvivenza?

Non ho ancora risposte certe ma so che giungeranno a me in una notte inaspettata.

Sei la mia immagine più fedele e la mia musa quieta e raccolta alla quale posso accedere nei momenti felici e in quelli di sconforto. Mi siedo accanto a te lasciando fuori tutto il resto e mi dedico con amore laborioso al mio progetto che altro non è se non la confezione della tela.

Il mio lavoro sarà bello e valorizzato dalla vicinanza di quelli altrui: un intreccio di intrecci unici e a se stanti che formeranno naturalmente un tappeto vitale su cui correre e, allo stesso tempo, poter riposare.


Grazie amica fedele.


domenica 7 giugno 2015

ANNA: LA RIPARAZIONE DI UN DOLORE

Domenica sera.

Vengo invitata alla festa del sessantesimo compleanno di una donna straordinaria per intelligenza, cuore e apertura spirituale ed emotiva. Come spesso accade, anche se non sempre, le belle persone ne attirano a sé altre ugualmente belle e così mi ritrovo seduta al tavolo con una delle sue più care amiche, Anna.

Anna ha una decina d’anni in più di me, una figlia di 26 anni e un ex marito che, quando la figlia era molto piccola, ha deciso di andarsene di casa. Ma nonostante ciò, lei ride.

Anna ora gestisce, in mezzo a mille difficoltà, un’attività commerciale assieme alla figlia per darle un appoggio e assicurarle un futuro fatto di qualche concretezza. Sgobbano insieme da mattino a sera dietro al bancone di un bar. Per poter stare accanto alla figlia, Anna si allontana dalla sua adorata casa in bassa montagna e si trasferisce in città barcamenandosi tra l’alloggio di lei e quello di un ex fidanzato molto generoso e ancora amico.

Anna ha la luce dentro. La percepisco da subito e il confronto diretto con lei non fa altro che dare corpo a quella che inizialmente è stata solo una sensazione. Ci sono persone al mondo che sembrano conservare dentro un posto tutto loro che viene riempito costantemente di energia positiva pronta per essere poi generosamente dispensata. E’ una donna forte questa Anna e tale forza passa attraverso la piena responsabilità di se stessa e della propria  vita. Ogni elemento del suo vivere poggia sulle sue spalle. E basta.

Anche lei, come sua figlia, è stata vittima dell’abbandono da parte di un padre. Uno di quegli uomini che ad un certo punto smettono di esserci, si voltano dall'altra parte e prendono il largo. Uomini che “chi li vede più” e ferite che restano, ineffabili, sulla pelle di coloro che restano.

Una madre e una figlia che languono dello stesso dolore. Si tengono per mano e, nonostante tutto, ridono cercando insieme una strada per spezzare questa catena maledetta. Hanno in programma un week end formativo per cercare di andare all'origine di quel dolore profondo che le accomuna e, di nuovo insieme, tenteranno di trovare le forbici per tagliare quel filo che le lega incessantemente ad esso.

Quel dolore è un trauma e certe fratture possono provocarne altre ancora più profonde se non si trova la forza d’interrompere la maledizione. La catena va spezzata e in fretta.

Nel frattempo infatti, quel male inizia a fare danni più evidenti e meno contenibili nelle sole lacrime. Tre anni fa, Anna si ammala di cancro. Un cancro al seno. Il male di molte donne. Anche quello di mia madre.

Anna mi racconta della sua operazione che l’ha devastata come donna e le ha sensibilmente ristretto l’utilizzo del braccio destro. La sua splendida autoironia le permette di scherzare sul suo essere una donna “monotetta” ma quando si tocca la sfera della ridotta mobilità del suo braccio, Anna si arrabbia. Moltissimo.

La malattia, dice lei, ti costringe a guardarti dentro, a cercare l’origine della frattura, unico punto di partenza e risalita verso la guarigione. Se non ripari l’anima dalle viscere per poi risalire in superficie, il male sarà sempre lì ad assalirti e a ricordarti che non hai ancora concluso il tuo compito. Non ti lascerà in pace. C’è un motivo se siamo qui su questa terra e nessuno arriva a comprenderlo senza passare attraverso la “riparazione” del proprio dolore.

Anna non è una donna statica. Non sta ferma, non è in balia di chi le dice che esiste un solo modo per curarsi:la medicina tradizionale, i protocolli fatti di chemioterapia, radio e tamoxifene non fanno per lei. Studia, legge, interpella medici tradizionali ed olistici, frequenta corsi di autoipnosi e meditazione ma soprattutto si informa con pazienza e determinazione. Incontra medici ostinati che la minacciano di recidiva certa se non peggio ma lei, prendendo tutta se stessa sulle sue stesse spalle, dice No grazie!

Faccio a modo mio, curo la mia anima, riparo il mio dolore e il mio tumore guarirà con me.

Anna è una donna di coraggio. Lo è perché le cose che lei dice  e poi mette in pratica fanno paura a lei per prima. Coraggio e paura vanno di pari passo, sempre.

La sua intelligenza la conduce verso i lidi di una alimentazione più sana e una costante attività fisica che l’hanno resa invidiabilmente più bella, energica e vigorosa. La sua pelle è luminosa, depurata, pulita così come il sorriso. Ha i suoi segreti mattutini che non svelerò certo qui, grazie ai quali, anche le sue analisi del sangue sono sensibilmente migliorate ma soprattutto da tre anni il terribile mostro non ha più messo piede nei risultati dei suoi esami di controllo.

Anna è diventata, come dice lei, il medico di se stessa. Io dico che ci vuole sempre un gran coraggio nel muoversi scardinando l’ordine prefissato delle cose. Quando si tratta di malattia, la nostra, il tasso di coraggio viene centuplicato perché si ha molta più paura. Paura di morire.

Anna, come il nome che ho scelto per raccontare di lei, è il simbolo di un mondo femminile minoritario, un microcosmo che pulsa sotto i sorrisi e gli smalti ai colori della moda in cui molte di noi si compiacciono e riconoscono.

Anna è il simbolo di chi procede guardando dritto in faccia la verità, senza farsi sconti sull'avvenire e mettendo in gioco una posta molto alta. E’ la rappresentazione di un femminile intelligente e forte che si fa interamente carico della propria esistenza e lo fa a prescindere dalla presenza o meno di un uomo accanto. La vera natura di ognuno di noi ci vuole soli a questo mondo e capaci di restare in noi seppur circondati di amore immenso.

Anna, in tutto questo, non ha un uomo accanto a sé ma anche di questo sa ridere con scanzonata autoironia. 

Non so quale possa essere l’origine profonda del suo male interiore ma so di certo che lei è arrivata al punto centrale di quel dolore con ostinata ed instancabile determinazione voglia di autenticità. La sola che oggi le permette di aver fede in se stessa e nella sua difficile scelta che porta avanti contro tutto e tutti. Il suo sguardo è quello di una donna libera ed integra: non vive di bisogni che sono il fulcro di ogni fallimento.

Chi sa scegliere fa paura. 

Chi sovverte gli ordini precostituiti siano essi famigliari, sociali o di altro genere, crea scompiglio e smuove le coscienze di tutti anche di coloro che vorrebbero che il fiume non entrasse mai in piena. E le coscienze smosse, tutte insieme, sono in grado di creare energia vitale.

Torno a scrivere, Penelope, dopo giorni di imposto silenzio perché sono stata derubata, in casa mia, di molti oggetti di valore tra cui il mio strumento preferito di scrittura, il mio personal computer. 

Questo silenzio, seppur indotto, mi ha fatto del bene, ha ripulito il flusso delle idee e delle emozioni.

La storia di Anna mi è parsa il modo migliore per tornare da te, dea del mare e dei miei sogni di donna.

La storia di Anna parla di te, di me e molte altre. Ma non di tutte.




martedì 5 maggio 2015

DALLO SPLEEN AL DESIDERIO


Penelope, 
credi anche tu che i sentimenti malinconici ispirino maggiormente la creatività rispetto a quelli di gioia e serenità?

Mi ritrovo a pensare, uniformandomi alla credenza comune, che un bravo scrittore o pittore possano dare il meglio di loro stessi  se ispirati da emozioni uggiose e tristi.

Avvolta in tali pensieri, il ricordo antico dello spleen di Baudelaire,argomento analizzato fino alla nausea dalla prof. del liceo, s’impossessa di me e sorrido al pensiero che oggi, quasi trent'anni dopo, quel concetto si sia ormai così ben incasellato nella mia esistenza di donna adulta. Durante gli anni del liceo una concezione cosi altamente decadente, volta ad esprimere il disagio esistenziale in tutte le sue forme, era ben lontana dal mio sentire seppur  intimamente connaturata  alla condizione di quegli  anni conclusivi del periodo adolescenziale. 

Nelle parole gravose di certe poesie ricordo la sensazione di chiusura, angoscia e rifiuto dal mondo: non ho mai scordato la spiegazione in classe di quella poesia, L’Albatros, in cui “i re dell’azzurro” catturati dai marinai durante le loro scorribande, si trasformano, in pochi istanti, in esseri brutti, ridicoli e goffamente appesantiti nelle mani dei loro aguzzini. Un secondo netto per passare alle stelle alle stalle. Un “principe delle nuvole” incastrato nelle sue stesse ali che non riesce più a librarsi in cielo e soccombe inerme incarnando la tristezza di chi, stremato, dice “Basta!”

In questa immagine, come in quella dell’anima del poeta descritta come una “tomba” in Le mauvais moine, ci rivedo quella di tanti uomini e donne di oggi che, per qualche motivo, sono stati fagocitati dalla vita e dal dolore che inevitabilmente essa comporta senza più riuscire a svincolarsene. In molti hanno deciso di fermarsi, dire basta e credere che la felicità non sia più un qualcosa di concretamente raggiungibile e fruibile. Il loro assunto sottinteso sembra essere “ meglio non aspettarsi nulla di buono perché tanto nulla di quanto accadrà potrà essere davvero buono  poi, se mai dovesse capitare una cosa bella nella vita, è meglio non viverla affatto perché tanto poi finirà inevitabilmente per tramutarsi in sofferenza”. Una sorta di mantra.

Oggi ho imparato a rispettare ogni idea anche se profondamente distante dalla mia: sono ampiamente in grado, anche di fronte a certe aprioristiche affermazioni, di fare un passo indietro ed avere riguardo. Mi siedo, accolgo, non comprendo ma indietreggio silenziosamente perché il confine tra il manifestare poderosamente il proprio pensiero, disappunto o incomprensione e la mancanza di rispetto per la libertà dell’altro è davvero troppo labile e non intendo valicarlo.

La libertà di azione e di pensiero è imprescindibile.

Mi siedo, Penelope, e prendo coscienza che il diverso da me è un mondo a se stante, rispettabile e perfettamente logico pur nella sua indecifrabile lontananza. 

Ciclicamente la vita riserva meravigliose sorprese che sbocciano sul cemento ma non sempre sono compatibili con i nostri modi “astratti” di intendere la vita. C’è chi si fa catturare come quel volatile magistralmente descritto da Baudelaire o chi quelle ali non smette di sbatterle nemmeno quando sono imbrattate di argilla.

Infondo  è sempre e solo una questione di scelte non fosse che, in certi frangenti, le scelte sono non scelte poiché dettate da false credenze che irrigidiscono e non lasciano liberi.

Non mi azzardo a ragionare sulla libertà per non risultare ridicola ma mi concedo il lusso di fare un breve excursus sul concetto di desiderio che ha popolato i miei sogni delle ultime notti. Il sipario del mio inconscio si è aperto sull'immagine di una pochette, una borsetta, da matrimonio di quelle nere, rigide, eleganti e austere al cui interno compare una rosa rossa, simbolo di desiderio, passione, amore. 

Ecco, mi piace pensare che tutti noi, uomini e donne, siamo provvisti di eleganti e rigidi involucri che ci portiamo appresso nelle nostre giornate colme di lavoro, impegni, incombenze e responsabilità; altro non sono che le nostre facce e figure, più o meno belle, affascinanti o interessanti. Ma dentro a questi sguardi e a queste maschere c’è davvero la rosa rossa? C’è per tutti?

Io credo di si Penelope.

La definizione stessa di Desiderio  dice che si tratta di "uno stato di affezione dell'io consistente in un impulso volitivo diretto ad un oggetto esterno, di cui si desidera la contemplazione oppure, più facilmente il possesso".

L’affezione è un sentimento forte, un affetto, una sorta di passione, una spinta vagamente violenta, che ci conduce a possedere ed appropriarci di ciò che ci fa star bene. Punto. Senza se se senza ma. Se diamo ali al desiderio non possiamo stare fermi  in noi stessi: desiderare ci porta fuori da noi, verso l’altro da noi. Se non ci muoviamo da dove siamo significa che non siamo connessi con quella parte vitale.

Fuoriuscire dai nostri confini è pericoloso ma anche maledettamente reale, cara amica mia. Ulisse l’ha capito prima di chiunque altro, prima di te e di me. Ha sentito un irrefrenabile istinto alla fuga, alla ricerca di sé,  del mondo ed è andato via da tutto e tutti,  anche da te. Nonostante te.

L’amore per se stesso è stato più potente di ogni cosa e oggi, ma solo oggi, io depongo le armi e smetto di condannarlo per questo.

Ti perdono Ulisse, senza presunzione alcuna. Semplicemente, oggi ti comprendo. Ho gli strumenti per potermelo concedere.

La rosa rossa, il nostro desiderio, non è un optional a pagamento bensì un accessorio di cui tutti siamo dotati: è l’anima intrinseca del nostro essere che abita sotto i nostri begli involucri fatti di tutto e di niente. Quella rosa vive, sboccia e profuma  solo se ci occupiamo di lei e la esponiamo alla luce anche rischiando che appassisca. Si rischia in questa operazione di cura verso se stessi e tu hai rischiato di perdere ogni cosa.

Abbracciami ora.



giovedì 23 aprile 2015

CINQUE GIORNI DI...

Penelope,
una domenica piacevolmente leggera, all'aria aperta, condita da buon cibo e ottima compagnia.

Ore gradevoli che scivolano via tra una chiacchiera di conoscenza e una di benvenuto: una di quelle delizie che resteranno nei ricordi scattati di una Reflex sapiente e curiosa.

Espressioni che indugeranno nel tempo, sorrisi raccontati, gesti svelati, baci rubati da un obiettivo silenzioso e affamato di attimi eterni. La bellezza di certi incontri risiede nelle menti e nei cuori di chi li abita ed io , amica silenziosa e ingombrante, ne vivo molti  in questi anni di nuova realtà.

Mi considero una persona fortunata.

 Amo i confronti interessanti  ai quali non rinuncio per curiosità, fame e sete di scambio, conoscenza e rilascio di energia vitale. Gli incontri non accadono ma siamo noi a desiderarli,  attirarli e condurli verso la nostra umanità: le persone entrano nella nostra vita quando essa richiede una sfida  o uno stimolo che solo loro possono regalarci. In quel dato momento.

E’ con queste modalità che l’esistenza assume un valore di dono e scoperta continua.

Gli incontri, così come l’accadimento di certi  avvenimenti, la semplice lettura di alcuni libri o il ricorrere di determinate parole si trasformano in quella esclusiva via costellata di luce che diventa, sempre più, la nostra.

Un lunedì fatto di nuove sfide. Spiragli di un futuro in divenire.
Una di quelle giornate dalla parola ricorrente. Mi sveglio la mattina e la sento pronunciare alla radio, la ritrovo poi all'interno di una conversazione ascoltata casualmente, la leggo scritta su un muro e mia figlia la sceglie come titolo per un disegno che  lascia sul cuscino prima di andare a dormire.

Il cuore: oggi è il lunedì del cuore.

L’organo vitale per eccellenza,  simbolo dell’amore romantico, situato al centro del corpo e sede strategica delle più affascinanti implicazioni filosofiche, magiche, affettive ed animistiche di ogni tempo. Al cuor  non si comanda, il cuore è di tenebra o di pietra, il cuore è rosso o trafitto, il cuore batte, si ferma o si spezza e ancora il cuore si apre e si tocca. Una parola dalle mille declinazioni, usata e abusata eppure sempre così potente e "rivestibile" di continue originali accezioni.

Alcuni gesti, se fatti di cuore, diventano carezze calde che creano legami: in un film rivisto con piacere qualche sera fa’, un Robert Redford giovane e bellissimo esponente della upper class  lega i lacci delle scarpe ad una barbara Streisand ebrea, accapigliata e bruttina facendola letteralmente capitolare. Senza scomodare il cinema, penso ad una musica infilata nelle orecchie davanti ad un panorama mozzafiato, ad un regalo inaspettato trovato nel posto più improbabile dell’universo o ancora ad un bacio che se avesse tardato anche di un solo istante avrebbe scritto una storia diversa.

Il cuore è l’organo che fa la differenza, il substrato necessario ad ogni scatto di vita, la voce che guida ogni azione, la coscienza che ci permette di aderire alle nostre viscere. Ai “senza cuore” manca quell'essenza che trasforma lo sguardo e scalda la voce in un abbraccio inimitabile.

Un martedì fatto di arte, quella di un “manipolatore di identità”.
Condivido una serata artistica con i miei figli che mi accompagnano curiosi, seppur preventivamente annoiati, ad un opening nella galleria di un’amica.

Ci troviamo di fronte a una miriade di piccole stampe degli inizi del secolo, riviste e stravolte dal tocco dell’artista che rivoluziona, sfregia, copre e ritocca i volti, le espressioni e i corpi di ieratici personaggi. Uomini, donne e bambini alterati e violati, regalano ai nostri occhi identità nuove e bestiali ma, come dice il comunicato stampa “presenti a se stessi”. Come se quelle pose impostate e rigide no potessero davvero rappresentare l’essenza della persona ma fossero  un mero involucro esterno. L’artista, in modo decisamente invasivo e rivoluzionario, estrae in modo maieutico la vera essenza di quelle dame ritratte in pose fisse e all'apparenza inflessibili. Lui osa là dove nessuno ha l’ardire di  spingersi e svela le loro ossessioni più segrete. Il lato oscuro.

Martedì, davanti a queste stampe, entro in contatto con il mio personale desiderio di rivoluzione e cambiamento senza provare alcuna inquietudine. Finalmente.

Mercoledì è la giornata del ricordo. Tre anni fa perdo la donna della mia vita: mia nonna. Mi dono silenzio e mi riempio di commozione davanti all'immagine del suo sorriso.

In questo giorno,  i miei figli mi fanno un regalo “di cuore”, un dono bellissimo ma difficile da spiegare a te Penelope, abitante di un mondo così lontano dal mio.

Si tratta di un congegno elettronico che contiene nella sua memoria centinaia e centinaia di libri:  posso scegliere quelli che desidero e farli apparire, con un semplice batter di tasti,  su uno schermo leggero e di piccole dimensioni  portabile ovunque. In questo modo ho la possibilità di leggere ciò che preferisco, in ogni dove e in ogni istante.

Inizialmente, trattandosi di una novità mediatica relativa alla cultura e alla comunicazione , l’avevo scartata anche solo come possibilità raccontando a me stessa  che io “mai avrei rinunciato al contatto tattile e olfattivo con la carta stampata”. Io , che sogno di fare la scrittrice un giorno, non mi sarei MAI piegata alle logiche del mercato che tendono a semplificare ogni ambito della nostra vita con un click e che, inevitabilmente, danneggiano il mondo dell’editoria inteso in modo canonico.

E invece, amica mia, davanti a questo dono ho ceduto con una gioia ed un entusiasmo inaspettati. Nonostante il mio motivato pregiudizio, mi sono trovata a mio agio in questa memoria infinita che ingloba  e cataloga parole, sapere, storie e vite. Mi sono sentita a casa e mi ci sono accomodata.

Ho impiegato una sera intera per studiare il mio nuovo strumento di conoscenza e poi ho acquistato il mio primo libro. Con il solito click!

L’arte della vita del grande Z. Bauman è il titolo di un testo meraviglioso il cui  principale e irrinunciabile assunto è che, per comprendere che  la nostra vita è una vera opera d’arte dobbiamo puntare alto e tentare l’impossibile. Sempre.

Arte, libri, cuore, dono, rivoluzione, vita ricordi: le parole di questi quattro giorni hanno un senso.

Z. Bauman è il noto inventore dell’espressione società o modernità “liquida”, aggettivo con cui identifica un modo di vivere tipico del mio tempo e davvero molto  distante dal tuo, Penelope, almeno da come io lo immagino. Liquidità si contrappone a concretezza e solidità. Pensa,  un mondo in cui più nulla è certo: i ruoli sociali, il lavoro, i legami affettivi, la ricchezza e prova ad immaginare quanto sia ovvio, in una realtà del genere, scadere nella banalità di una vita “ a basso costo e ancor più scarso impegno”.

Ecco, Bauman, dice no!

Nonostante il senso di precarietà, soprattutto nelle relazioni, provochi una certa destabilizzazione e insicurezza, lui sostiene una verità a cui nessuno dovrebbe rinunciare che è quella del puntare in alto e tentare l’impossibile sempre. Infondo,dice lui, la vera felicità sta proprio nella costante ricerca di quest’ultima: è proprio la sua natura fuggevole a renderla così appetibile.

Il concetto di ricerca costante, benché la lettura sia ancora da terminare, mi riconduce ad oggi. A giovedì.

Giovedì è la giornata della perdita di equilibrio: il medico mi ha diagnosticato il ritorno di un disturbo legato agli otoliti, gli organi che determinano l’equilibrio. Ecco, i miei sono andati nuovamente  fuori sede e vagano da qualche parte nei miei condotti uditivi. A parte un lieve e fastidioso disagio fisico, amica mia, vivo questa perdita di equilibrio come un presagio benaugurale in una fase di acuta e determinata ricerca di realizzazione di alcuni fondamentali aspetti della mia esistenza.

Solo chi cammina e procede rischia di cadere ed inciampare sui propri passi, magari farsi male per poi alzarsi nuovamente. Amo la ricerca costante e chi ha il coraggio di alzare l’asticella della propria soddisfazione sempre più in alto come l’artista di martedì che mi confessa “Questo lavoro è partito da un momento di profonda rabbia verso chi mi voleva imbrigliare in un ruolo artistico che non era il mio!”

In un cammino del genere è quasi scontato cadere dal piano dell’ordinario verso l’incertezza, dalla sicurezza verso i lidi dell’inconnu e il disequilibrio è quel momento magico e insostituibile in cui sentiamo eccitazione e insieme spavento per tutto ciò che potrebbe essere ma che ancora non è.

Penelope,
cinque giorni di arte, libri, cuore, dono, rivoluzione, vita, figli, ricordi: il disequilibrio creerà la melodia del vero cambiamento. 




mercoledì 1 aprile 2015

CADDE LA PIOGGIA E STRARIPARONO I FIUMI....

Sono stata in silenzio, cara Penelope, ad ascoltare il mare: mi ha parlato della vita e della sua burrascosa incostanza.

Tutto, dentro e fuori di noi, è in perenne  movimento e saper vivere è riuscire a seguire fluidamente il corso delle cose senza farsi stravolgere o sopraffare. Esse cambiano continuamente, si trasformano  modificandoci nel profondo. Ci sono giorni o istanti a partire dai quali noi cambiamo, nulla è più come prima ed è così che  veniamo colti da una smania irrefrenabile di manifestare, anche all'esterno, la rivoluzione che segna il nostro mondo interno. Non hai mai desiderato trasformare tua immagine per urlare al mondo “sono diversa, da oggi sono un’altra!” Un taglio corto e sbarazzino, un colore azzardato di  capelli o semplicemente un abito shock, uno di quei pezzi che verrebbero commentati con espressioni del tipo “Non è proprio da lei!”

E invece si. Che ne sapete voi della mia intrepida natura?

Le tue vesti bianche e color del cielo, donna Penelope,  andrebbero adattate al tempo della consapevolezza in questo continuo divenire che è la vita. Un giorno il sole splende e quello seguente il mare ti travolge in tempesta costringendoti all'adattamento, la cosiddetta resilienza. 

Ogni giorno il vento ci recapita suggerimenti, intuizioni, desideri che, se solo avessimo il coraggio di ascoltare e seguire, ci condurrebbero proprio là dove vorremmo essere. E nonostante ciò, siamo ancora in tanti, troppi, ad ignorare i segnali senza arrivare mai al  centro: al tuo tempo ci avrebbero chiamato stolti! Al mio esistono altri epiteti meno cordiali ma dall'equivalente significato.

Inconcludenti, stupidi o arroganti sprechiamo tempo, energie e pensieri dietro al nostro falso e illusorio ego  fatto di parole, parole, parole sprecate per descriverci o, ancor peggio, per  assolverci. L’ego è il nostro apparente punto di partenza e di  attracco ma privo di sostanza in quanto costruito su false credenze e non su una forza o una fede reale in noi stessi. Non riesco a non pensare a Matteo e al versetto biblico di cui ricordo sempre  Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia(Matteo 7, 24-25)

La qualità di quella roccia fa differenza, amica mia. Una grande differenza.

La tua certezza, Penelope, era Ulisse e vostro amore costruito negli anni. Qualcosa che non stava in te ma fuori da te. Anche la mia certezza, al pari della tua, era riposta in qualcosa che non albergava qui dentro.

Abbiamo tutti paura di abbandonare le nostre certezze ma nulla è certo, nulla è sicuro e soprattutto nessuno è tenuto a regalarci una tale vana speranza. Ciò che viviamo come una sicurezza unicamente mentale e razionale oppure sentimentale ci scompensa in quanto ingannevole e non autentica. Ricordo un antico senso di precarietà e instabilità proprio durante gli anni della mia vita in cui credevo di possedere tutto ciò che avevo sempre ardentemente  desiderato. 

Avevo tutto tranne me stessa.

Chi è in vero equilibrio, invece, possiede innanzitutto se stesso. Tutto il resto è un supplemento.

La profonda conoscenza di sé crea  la  forza e genera amore sincero, unico artefice del vero equilibrio. In tal caso, le fondamenta poggiano sulla roccia e non più sulla sabbia instabile e ambigua. Chi è saldo ha lo sguardo bello e sereno, non conosce la paura e il suo respiro è calmo e sicuro. In lui o lei, la mente, il cuore, la pancia e lo spirito si trovano allineati e concordi sulla direzione da seguire. Un vero e proprio stato di grazia determinato da una combinazione rara, vagamente magica, ma tutt'altro che irraggiungibile.

Penelope, un tale  equilibrio lo si conquista solo dopo aver abbandonato del tutto le proprie sicurezze  non necessariamente a causa dell’imponderabile ma soprattutto in seguito  all'azione che più di ogni altra fa sentire vivi e protagonisti della propria esistenza: la scelta.

Si sceglie ogni giorno, donna del mare, di restare o di andare, rischiare o rinunciare,  piangere o ridere, amare davvero fingere di farlo accontentandosi.  L’importante è possedere la consapevolezza che ogni scelta implicherà inevitabilmente una perdita e un arricchimento. Amo coloro che scelgono con coraggio di rinunciare alle proprie certezze propendendo per ciò che in apparenza è sbagliato, azzardato, irragionevole, imprudente ma dannatamente vero per la loro anima. Chi ha coraggio ne guadagna in saggezza e chi è saggio si libera dalle paure. 

Osho, il mistico contemporaneo amante per eccellenza della consapevolezza in tutte le sue forme ,  parlava della vita come di un “fenomeno insicuro”, ignoto e talmente sconosciuto da trasformarti in une vero e proprio “vagabondo” senza una dimora sicura in cui sostare, un letto in cui dormire la sera o cibo certo per sfamarti ma che procede senza paura e con fede in ciò che sarà.

Vagabonda del mare e del vento dovrai essere pronta ad entrare nell'oscurità dell’ignoto dove non esiste comodità e certezza ma solo rischio, pericolo e cielo aperto. Nessuna prigione Penelope ti renda schiava o vecchia prima del tempo: spalanca le braccia a ciò che non conosci  e corri incontro a ciò che dimora fuori da te, oltre i tuoi schemi  e le tue rive. Molto di quanto ti accadrà da quel momento in poi, sarà incomprensibile e inafferrabile innanzitutto a te stessa ma sarà il tuo modo per vivere a pieno. Chi si aggrappa e non crede nella potenza delle proprie ali interpreta solamente il ruolo di chi vive ma in realtà muore dentro giorno dopo giorno. Gli specchi riflettono un’immagine ma tu sei fatta di carne e sangue; quella carne deve bruciare e quel sangue fuoriuscire affinché tu senta e ti senta parte integrante di questo Universo.

Diffido di chi non spalanca il cuore e la mente all'ignoto, temo chi ama solo qualcuno e a piccole dosi, chi si risparmia e si rinchiude in un mondo aprioristico rifiutando la felicità per paura di doverla gestire. Il vivere implica la salvezza dall'aggrapparsi alla vita stessa: essa termina prima o poi per cui lasciamola scorrere e intanto issiamo le vele, come ha fatto Ulisse e, come lui, tanti altri. Abbandoniamo gli spazi angusti e generiamo l’entusiasmo con la danza della mutazione e del coraggio.

Desidero correre su queste mie gambe e renderle sempre più forti per affrontare maratone ancora più impegnative e urlerò il tuo nome affinché tu non muoia negli strascichi che la paura inevitabilmente lascia dietro sé.

A  te, amica della trasformazione, non bastano le parole. Io non sono che il tuo riflesso.