Ci sono azioni o parole che
sgorgano libere, fuori dal controllo della nostra mente pensante. Stefano
Sgambati esordisce, nel suo ultimo romanzo, dicendo che ci sono alcune cose che "vogliono essere dette”.
Non solo di parole si tratta ma di tutte quelle manifestazioni di gioia, d’ira
o di sentimento che ci fanno compiere un passo in là, al di fuori del sentiero
sapientemente tracciato da noi stessi. Gesti senza calcolo, partoriti senza un
fine. I cosiddetti “passi falsi”, chissà poi perché “falsi”. Rispetto a cosa?
Ad un programma di vita o di comportamento da tenere in determinate
circostanze?
“Ci siamo lasciati, allora devi sparire dalla mia vita come se non fossi mai esistito” oppure “Avevamo deciso
di andare al mare ed ora non possiamo smontare tutti i programmi per decidere
di andare in montagna” o ancora ”Vorrei cambiare lavoro perché quello che
faccio non mi rappresenta affatto ma non si fa una pazzia del genere in questo
momento storico, non alla mia età poi”. Gli esempi sarebbero davvero infiniti.
Sembriamo macchine da guerra programmate
per scopi univoci, per far soldi, per procreare, raggiungere e oltrepassare i
propri limiti o amare le “persone giuste”, quelle che, almeno in apparenza,
combaciano con la nostra natura. Algoritmi d’amore e di vita perfettamente
vissuta.
Non ne posso più, Penelope, di
tutto ciò che è corretto, degli schemi logici e della coerente programmazione.
Sostare nei ranghi dovrebbe proteggere dalla sofferenza, lo crediamo tutti per
un po’, mentre uscirne ti rende fragile, ti scopre la pelle, ti pone alla “mercé”
del mondo. Perché la vita, lo sai anche tu dolce amica, è davvero altra cosa dall'esistere.
Dal basso dei miei quarant'anni
urlo ad alta voce che la vita è bruciarsi il culo, un giorno dopo l’altro, come
quando dici un “ti amo” dopo anni che non lo dicevi o come quando prendi
decisioni impopolari ma profondamente tue.
Può andarti bene come male.
Sei stato tu lì, in quel momento,
a raccontare la tua verità, spogliata di ogni paura o falso mito, tu e il tuo
sentire. Questo ti basti.
Questo ti deve bastare per vivere
davvero. Tutti esistono e tutti stanno al mondo ma pochi, seppur siano in lieve aumento,
escono dal proprio micro cosmo per spalancare le porte dell’anima e del cuore. Viaggiare
aperti, trasportati da una corrente di fiducia e consapevolezza, uscire da
quella dannata zona di comfort dove
tutto è neutro e grigio ma così maledettamente certo e sicuro.
Qual è la tua zona di comfort Penelope?
Itaca, la tua tela, il tuo mare,
le braccia del tuo uomo o nulla di tutto ciò. Un solo luogo, un solo lavoro, un
solo amore, una sola vita da madre. No.
Sei stata per anni nel tuo
comfort con Ulisse, nel tuo mondo incantato, e poi ne sei dovuta uscire: la
tela che ordisci è uno stratagemma che
hai cercato per non dover abbandonare del tutto la tua zona comoda ma è, allo stesso
tempo, una forte azione di coraggio, una strada contro le regole e l'irreprensibilità.
Brava amica, ora ti abbraccio:
se tu fossi qui batterei sul palmo della tua mano!
Andare oltre quella zona è contro
natura, ti strappa dalla tranquillità acquisita in anni e anni, ma è
nostro dovere farlo perché vivere è un’esperienza per audaci.
Non credere che l’audacia appartenga unicamente
al tuo Ulisse e a chi, come lui, compie gesta memorabili che verranno ricordate
nel tempo.
Audace è ugualmente colui che
resta, amando in silenzio, e da lontano, fidandosi nient’altro che di se
stesso.
Audaci oggi sono le donne che
dicono “basta”, gli uomini che sanno anche piangere, i lavoratori che lottano per un
diritto e tutti coloro che usano l’intelligenza per dire o non dire, per
denunciare o, viceversa, farsi carico di ogni responsabilità.
Io sto dalla loro parte e mi
coloro di tutti i colori dell’arcobaleno: il blu creativo, il giallo selettivo,
il verde energetico, il rosso passionale
e vitale, il viola trasformante.
Con un respiro profondo anniento
il grigio e il nero imperanti, cupi e ansiogeni e prego, nel profondo, per il più
audace di tutte le categorie umane, colui che dice “ti amo” a chi l’amore
nemmeno sa cos'è.
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