martedì 6 maggio 2014

CAMMINI

Se scrivere è lasciar andare via qualcosa da me che mi permette di far spazio dentro liberandomi dagli strati inutili del mio essere, confrontarmi con la mia amica di sempre, mia sorella vivente, mi riempie di spunti innovativi e possibilità inesplorate, anche solo mentali.

Ho bisogno di condividere e dare aria a ciò che rimugino in solitudine, per giorni, nel vano tentativo  di sentirmi finalmente forte. Ma parte della forza risiede nella messa in comune.

C’è un gran bisogno di condivisione in giro.

In una piovosa sera di aprile,  sei donne che appena si conoscono, sedute in cerchio sul pavimento di una palestra  yoga, si raccontano le une alle altre. Si dovrebbe parlare di dipendenze ma la serata imbocca la sua originalissima via. 

Dolori e risate vengono gettate in un falò immaginario.

Dopo pochi istanti, il calore del fuoco diventa percettibile e rende l’avvicendamento dei racconti  naturale e scorrevole.

Sei donne che incarnano, per età e stile, sei modalità distinte di essere donna: un mondo complesso e variegato il nostro che non cessa di stupirmi per la sua capacità di reinventarsi un posto nel mondo anche dopo le peggiori esperienze. Capacità d’introspezione e sfrontato utilizzo dell’autoironia costituiscono il vero potere del nostro genere.

Un giro, un soffio di ognuna.

La donna bella e intelligente inesorabilmente sofferente per l’amore di un lui,  forte e sicuro nella scelta di lasciarla ma altrettanto debole e ambiguo di fronte all'inaspettata autonomia di lei. Una storia di tira e molla, di “padroni” che allentano e ritirano il guinzaglio a sè. Lei, consapevole di ogni dinamica di dipendenza tra loro; lui affatto. La classica situazione tanto facile da leggere quando sei al di fuori quanto dolorosa da gestire quando è il tuo cuore, in prima linea, a vivere quel massacro.

L’ho compresa in profondità.

La donna di mezza età che finalmente si riapre ai sentimenti. Tre anni di lettere, di scambi, confidenze che, sebbene virtuali, le smuovono qualcosa dentro, le fanno sentire, dopo tempo immemorabile, le farfalle allo stomaco e risvegliare i sensi. Dall'alto dei suoi bianchi capelli, racconta ogni dettaglio ridendo, di un riso amaro e triste. Finalmente si incontrano, nel paese di lui,  ma quest’ultimo, senza preavviso e con una banale scusa, scompare all'appuntamento successivo. Il  sorriso nervoso di lei, quella sera, si ostina a voler conservare il buono, il bello, il salvabile di un’esperienza affettivamente rivitalizzante.

L’avrei abbracciata.

La donna schiava del proprio lavoro e di una titolare ossessionata dalla performance dice “basta!” e si licenzia, dall'oggi al domani, senza avere una opportunità alternativa. Ama se stessa più di qualsiasi certezza perché sa che rimanere in quella situazione significherebbe ammalarsi. In lei ho adorato la forza e la fiducia nelle proprie competenze e capacità oltre che una smodata speranza nella vita che “per forza se fai spazio dentro di te al nuovo, ti porterà verso il nuovo”.

L’ho ammirata in silenzio.

Lo spirito guida della serata è una donna un po’ al di sopra delle parti, l’unica che conoscevo. Con lei condivido empaticamente una storia di separazione, figli in crescita e difficoltà nel ricostruirsi una vita da sola dopo innumerevoli anni in coppia.

Ho sentito ogni sua parola d’incoraggiamento come frutto di un’esperienza palpabile e viva: il suo apporto ha fatto da collante a tutte le nostre storie.

Infine c’è stata lei. Il suo intervento mi ha destabilizzata.

Sembrava non avere nulla da dire e invece esordisce così “io, a differenza vostra non ho nulla o nessuno da cui devo liberarmi, ho scelto la solitudine. La mia è stata una scelta consapevole!”

“Tu scegli la mia più grande paura!!” ho detto incredula.

Poi ha raccontato il perché di una scelta tanto drastica ed ha anche aggiunto che le è costata “tutto” ma non poteva fare altrimenti. Inutile dire  che solo un dolore immenso può condurti verso certi lidi. Ora sta facendo un percorso al contrario: vuole re imparare ad avere delle relazioni perché, per troppi anni, ha avuto se stessa come unico rifugio e ne è uscita avvizzita, come una pianta bisognosa d’acqua.

Lei mi è rimasta dentro. Più di chiunque altra.

L’ho re incontrata qualche sera dopo ad una conferenza in libreria. Lei incarna ciò che più mi terrorizza e mi ricompare davanti due sere di fila, non può essere un caso. Non lo è. Da lei ho molto da imparare.

Ci vuole coraggio, Penelope, per compiere una scelta al contrario, muoversi controcorrente rispetto a quel “ luogo” dove tutti credono di essere arrivati.

Dico ciò perché siamo in tanti a credere di essere giunti ad un livello sano di vita relazionale, ma è davvero così?

Non so come sia stato per te sorella. Io ho il dovere di guardarmi intorno per sentire che siamo in tanti su questa via della ricostruzione dalle fondamenta e, allo stesso tempo, ho la necessità di ripercorrere, come lei, alcuni cammini al contrario per giungere al centro vero di me stessa.

Per farlo bisogna liberarsi o riappropriarsi necessariamente di qualcosa. Ognuno ha il suo fardello da gettare nel fuoco e da purificare.

Grazie a queste donne per aver deposto i loro doni e grazie a lei per la paura che ha suscitato in me.






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