Tornare equivale a sapere che le
cose saranno diverse, Penelope.
L’acqua del mare con il suo
movimento costante sciacqua via qualche ricordo, le ferite si seccano sotto
il sole e le risposte, a cui non hai mai dato ascolto nel frastuono dei giorni
pieni di impegni, ora risuonano limpide nella testa e nel cuore.
Si torna ripuliti dalle scorie
dell’inutile e dalle mille scuse.
Staccare la spina da tutto e
tutti per qualche giorno rappresenta un lusso, un privilegio assoluto se
vissuto come l’occasione per riequilibrare mente, corpo e spirito. Rientrare
dopo un periodo di vacanza rigenerante è sempre un’esperienza eccitante quasi
al pari del pre-partenza: si riapre la porta di casa ben disposti ad a sentirne
nuovamente l’odore e il calore, come se ci entrassimo per la prima volta. Ci si
sente grati per possedere una casa, proprio quella, e si riassapora quell'avvolgente
senso di accoglienza varcandone la soglia, come fosse un abbraccio.
Ed è da un abbraccio che riparto.
Quello con Kinne, una senegalese
conosciuta sulla spiaggia e "intrecciatrice" di capelli, come ce ne sono tante
sul lungo mare. Una donna che mi abbraccia commossa per la mia partenza, dopo aver
condiviso spezzoni di racconti reciproci, e mi regala qualcosa di suo: una
bellissima collana di legno colorata. Questo dono mi imbarazza e penso che dovrei
io, semmai, fare un regalo a lei. Invece no, è lei a farlo a me. Ma il donare non ha attinenza con ciò che possiedi concretamente.
- Questo lavoro è peggio che fare la badante. Qui
hai sempre la sensazione di disturbare la gente. Credimi, non è bello!
- Lo immagino Kinne. Ma anche fare la badante deve
essere un lavoro duro ed estenuante.
- Si, ma meno. Lì sei tu che dai, non devi chiedere.
- Si, ma meno. Lì sei tu che dai, non devi chiedere.
Una senegalese sulla spiaggia mi
insegna l’importante lezione del dare e, come sempre, la vita insite a più riprese concetto assicurandosi che tu l'abbia fatti tuo. Mi capita tra le mani un libro di un certo W. W. Dyer,
famosissimo in America e in tutto il mondo per la sua opera divulgativa in
materia di self-improvement e crescita spirituale.
L’autore in questo libro insiste
su una semplice verità: per evitare di vivere una vita a metà, fatta di scuse
che ne impediscono la vera realizzazione, è importante assumersi la piena
responsabilità di ogni cosa che ci capiti. Il fine è aderire al proprio vero io che è spirito puro lasciando da
parte l’ego, un impostore condizionato dall'avere e dall'apparire, nella cui
trappola siamo in molti a cadere.
Egli elenca in maniera
dettagliata ed esauriente una serie di principi da cui non ci si può esimere
per condurre una vita davvero in linea con il nostro vero essere e l’ultimo di
questi sette assiomi è proprio quella che lui chiama compassione.
Attiriamo a noi non ciò che vogliamo ma ciò che siamo, dice lui,
per cui dare all'altro ciò di cui
necessita in quel momento, creare in lui gioia regalandogli qualcosa di nostro
che sia un oggetto, del tempo, attenzioni o semplici parole è sinonimo di vivere
davvero l’amore e quindi attirarlo a noi con forza.
Grazie Kinne per lo scambio umano
di questi giorni e la lezione di umanità che hai dato a me e ai miei figli. Per
dare non è necessario essere ricchi o possidenti basta essere aperti all'altro
e vederlo nella sua essenza, liberi dai pregiudizi imposti dall'ego.
Consapevolezza, capacità di
vivere il presente, contemplazione e gratitudine sono state le mie compagne di
viaggio in questi giorni di distacco dal mondo, Penelope.
Ho riscoperto, tra le altre cose,
la bellezza e la natura primaria del mio essere madre, finalmente libera dagli odiosi
vincoli degli orari e degli impegni quotidiani. Vivendo con i miei ragazzi,
osservandoli e ascoltandoli attentamente ho compreso quanto sia sacro il
compito a cui sono stata chiamata nella vita; crescere un figlio è un enorme
privilegio oltre ad essere una questione molto seria.
Mostrami il tuo Telemaco, amica
dei mari! Ha il tuo sorriso e crescendo somiglia sempre più al padre oppure no?
Parlami di lui. E tu che madre sei? Lo lasci libero di essere o lo vincoli
inconsapevolmente al tuo vissuto?
Qualche anno fa scrivevo questo
rispetto al mio essere diventata madre:
Diventare madre mi ha regalato per la
prima volta la primitiva e violenta sensazione del mio essere femmina. E’ stato
in sala parto che ho percepito nettamente di appartenere ad un genere
privilegiato, cui non avrei abdicato nemmeno in cambio di una riduzione del
dolore. Ricordo che il ginecologo, al momento del mio primo e complicato parto,
dopo ore di intenso travaglio ha
sentenziato:
-
Questo è uno di quei momenti in cui ringrazio Dio di essere
nato uomo!
Mettere al mondo un figlio è dolore
puro che ti strazia e ti sfinisce benché odori di vita ma è anche la via che
conduce al fulcro della nostra natura, al tempio sacro dell’essere. Non so se
esista un tale corrispettivo nell'universo maschile.
Mia madre mi racconta sempre che sono nata con
gli occhi spalancati e aperti e li ho fissati nei loro non appena mi hanno
depositata sul ventre di lei, ancora caldo. Ho imparato a credere che un
bambino nasca veramente in quel momento, a parto già concluso, quando quello
sguardo viene dolcemente ricambiato con sussurri e dolci parole di benvenuto e
d’accoglienza ".
Oggi affermo con certezza che in
quell’istante la nascita non è solo del figlio ma anche di colei che lo mette
al mondo. Ho smesso di sentirmi figlia nell'istante in cui è nato il mio
bambino e si è fatta strada in me la consapevolezza di due nuove nature
visceralmente unite: la donna e la madre.
Da quando il mio primo bambino è nato
e, ancor di più con l’arrivo di mia figlia, ho percepito il mio corpo e la mia
anima cambiare inesorabilmente. Una metamorfosi ineluttabile di cui i bambini
sono stati inconsapevoli fautori insieme alla loro genitrice. Loro mi hanno
obbligata ad entrare in quei meandri che non avevo mai esplorato per viltà e
pigrizia; loro sono stati la chiave di apertura di serrature chiuse e
arrugginite dal tempo e dalla superficialità del mio non essere di allora. La maternità è un viatico verso il tuo vero
essere.
Oggi dico solo grazie alla vita
per avermi chiamata a svolgere questo importante compito che ben riassume il
tema del dare e nel quale trovo
parti fondamentali del mio vivere.
L’amore Penelope. L’amore, me lo sono ricordata in questi giorni, è elargire, contemplare, ascoltare, accogliere anche là dove non si comprende e
dove ci si sente feriti sempre e inevitabilmente dalle stesse frecce che provocano
dolori antichi.
L’acqua, Penelope, voglio essere come lei.
Essere aperta e poter fluire ovunque, lieve e gentile come lo scorrere di un
piccolo ruscello, impetuosa e potente come un’onda dell’oceano ma voglio
circolare, defluire, filtrare.
Nessuna, più di te, può
comprendere.
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