Ho conosciuto una Penelope
moderna.
Anche lei tesse una tela ma, a differenza tua, inserisce nella trama
del suo telaio una serie di filati composti non solo di fibra ma anche di natura, parole, carta e tanto silenzio.
Lavora sola, in una bottega nel centro della mia città, accompagnata dalla sua
passione artistica e dall'incessante battito del suo telaio. Entrando nel suo
angolo di mondo ho messo piede anche nel tuo Penelope, sono entrata in contatto
con il telaio, un oggetto antico quanto misterioso e colmo di un fascino senza
tempo davanti al quale ho provato vero incanto.
La
tua figura ritorna, Penelope, in modo prepotente, accanto a quella di altre
donne che fecero della tela la loro ragione di vita. Il tuo nome è di dubbia
etimologia ma non ha importanza; ora so bene chi sei e cosa rappresenti per me.
Il tuo lavorio silenzioso e misterioso ha accompagnato le mie battaglie fatte di
vittorie e sconfitte, la tua calma paziente ha osteggiato il mio impeto
rivoluzionario e spesso i fili che tu hai riannodato e poi sciolto hanno
regalato alla sottoscritta momenti di pura libertà. Sei una donna che resta
accanto nel suo silenzio laborioso. Mai come oggi riconosco il valore del
“fare”, dell’occupare le mani o l’intero corpo e non solo la mente. Il fare è
sinonimo di costruire sottintendendo un impegno attivo e concreto. Ecco tu mi
hai insegnato questo, Penelope, a non accontentarmi dei miei voli pindarici ma
ad ancorare i sogni alla realtà fatta di tutto, comprese quelle contingenze
talvolta così fastidiose. Senza il disfacimento dei nodi la creazione del nuovo
non potrebbe avvenire così come senza le trame ben sistemate l’ordito non può
assumere la sua perfetta forma.
Torni e ritorni Penelope nei miei
incontri e per le strade del mio girovagare artistico.
Il tuo nome è donna e la tua presenza, desiderata ed
odiata, è costanza, certezza, riparo. Da
te ho imparato l’arte della costruzione e della decostruzione, con te ho esercitato la mia vocazione
alla libertà e per te ora preparo la
mia tela fatta dei colori di un’anima che oggi possiede un'identità.
Mi hanno rubato alcuni oggetti
nei giorni scorsi che credevo simboli necessari alla sopravvivenza del mio essere. La loro perdita mi ha fatto traballare, in preda alla fragilità, ma poi ho capito che l’identità, se ben radicata, è un fiore
che sboccia dentro a dispetto di qualsiasi intemperia e resta vivido e integro
anche sotto la neve o in mezzo alle fiamme. Il mio fiore è vivo e colmo di
colori più che mai e tu hai contribuito a tenerlo in vita in questi anni. Di te
si dice che non hai avuto identità se non quella del tuo Ulisse mentre io
sostengo che la tua pazienza ha generato una energia forte e gioiosa che ha
pervaso il tuo mondo e anche me nonostante tutte le perdite verificatesi lungo il cammino.
La tela che si crea e poi si
disfa è l’immagine dell’anima di ognuno di noi che con fatica cerca di essere
fedele alla sua natura senza cedere ai compromessi imposti dall'esterno. Quei
fili annodati e poi sciolti cosa sono se non le esperienze di noi umani che
quotidianamente ci imponiamo nel tempo di veglia? Una serie di regole e modalità di
comportamento sempre e inevitabilmente riletti e capovolti da quel saggio
maestro di vita che è l’inconscio. Lui è lì vigile, si palesa nei nostri sogni
o nei nostri viaggi ad occhi aperti e ci mette in contatto con la nostra nudità
e verità. E allora sì che la tela chiede di essere sciolta e poi ricreata dolce
Penelope di sempre. Essa chiede di essere rimodellata sugli impulsi di un’immagine o di un volto
che si affacciano nel momento più inatteso lanciandoci messaggi inequivocabili.
Nessuna tela può rimanere intatta o invariata troppo a lungo senza rischiare
d’incancrenirsi e sbiadire: essa si modifica giorno dopo giorno, risveglio dopo
risveglio. Tu l’avevi compreso per prima. Tutti
noi ti abbiamo tacciata di lentezza, inganno e stratagemma ma tu Penelope, nel
silenzio di quelle notti, svelavi a te e al mondo i segreti incantati di quella
parte sotterranea che aleggia in ognuno di noi.
Sei veste e nudità, alba e
tramonto, luce ed ombra, intreccio e scioglimento.
Il filo che conduce la trama di
una vita è colmo di intrecci che intessiamo in modo più o meno consapevole e di
cui siamo responsabili sino al momento in cui decidiamo di reciderli o
riannodarli ad altri. Tagliare è l’operazione più difficile e complessa, richiede
sforzo, presenza a se stessi e moltissima forza. Tagliare è un’arte che non
possiedo ancora ma che inizio a ritenere necessaria soprattutto in presenza di
nodi che non si sciolgono. Se non li si guarda prendendone le distanze non si
ha modo di comprendere l’ostinazione dura di quegli avvitamenti che creano
matasse inutili. Sbarazzarsi di un filo, prezioso o meno, è dunque un atto di viltà o
semplice pura sopravvivenza?
Non ho ancora risposte certe ma
so che giungeranno a me in una notte inaspettata.
Sei la mia immagine più fedele e
la mia musa quieta e raccolta alla quale posso accedere nei momenti felici e in
quelli di sconforto. Mi siedo accanto a te lasciando fuori tutto il resto e mi
dedico con amore laborioso al mio progetto che altro non è se non la confezione della tela.
Il mio lavoro sarà bello e
valorizzato dalla vicinanza di quelli altrui: un intreccio di intrecci unici e
a se stanti che formeranno naturalmente un tappeto vitale su cui correre e, allo
stesso tempo, poter riposare.
Grazie amica fedele.
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